1576_IL BATTAGLIONE PERDUTO (The Lost Battalion). Stati Uniti, Lussemburgo, 2001; Regia di Russell Mulcahy
Prodotto televisivo che ha la confezione paragonabile ad un vero film per il cinema, Il battaglione perduto di Russell
Mulcahy racconta di fatti realmente accaduti durante la Prima Guerra Mondiale. Siamo nell’ottobre del 1918,
nelle Argonne, in Francia. E’ un momento decisivo per le sorti della guerra e
la 77° Divisione americana guidata dal maggiore Whittlesey (Rick Schroder) è
comandata per condurre un’incursione oltre la linea tedesca, fiancheggiata ai
lati da un’altra formazione statunitense e da una francese. Al maggiore sembra
una missione suicida, ma l’ordine è perentorio: bisogna rompere gli indugi e
dare la spallata decisiva al nemico. Pur consapevole di condurre i propri
uomini al macello, all’ufficiale non rimane che obbedire. I 600 uomini partono
all’assalto e raggiungono il bosco obiettivo dell’offensiva a prezzo di perdite
carissime; pare che se la caveranno in meno di 200. Durante la battaglia, dei
due reparti alleati che dovrebbero essere ai fianchi dei nostri uomini, non c’è
traccia. In effetti soltanto la 77° Divisione è riuscita nell’impresa di
occupare la posizione nemica, i colleghi americani e francesi sono stati
respinti. Praticamente circondati in territorio nemico, gli uomini di Whittlesey
vengono isolati anche dai collegamenti: il bosco è una autentica foresta e i
tedeschi sembrano ovunque. Il senso di smarrimento, il timore per un nemico che
può arrivare da qualsiasi parte, assale i soldati trasforma Il battaglione perduto in qualcosa di
simile ad un horror. Mulchahy è ora
sul suo terreno: riconosciuto regista di videoclip musicali e di film di azione
( Razorback-Oltre l’urlo del demonio,
1984; Highlander, l’ultimo immortale,
1986) padroneggia le paure di protagonisti e spettatori infierendo senza fare
sconti. L’atrocità della guerra trova un valido testimone ne Il battaglione perduto ma non siamo
ancora all’apice della rappresentazione: entra in scena, in modo maledettamente
efficace, l’artiglieria. I colpi di cannone aprono vuoti spaventosi sulla
collina boscosa tanto quanto nelle fila degli americani e, per completare il
discorso sull’assurdità della guerra, si tratta di fuoco amico. Nelle retrovie, infatti, non è giunta notizia
dell’impresa della 77° Divisione e si pensa di bombardare una posizione nemica:
perfino i tedeschi ne sono stupefatti. Tedeschi che, per onor di cronaca,
sembrano affascinati dalla folle audacia degli yankee e offrono ai loro
valorosi avversari una resa onorevole. In questa fase c’è uno dei passaggi meno convincenti de Il battaglione perduto: Mulcahy sa il
fatto suo in materie adrenaliniche ma appare un po’ improvvisato in quelle
sociologiche. Il fatto che la 77° Divisione trovi una sua forza nell’origine
indisciplinata dei suoi soldati può anche essere possibile; assai meno che gli
ufficiali tedeschi riescano a cogliere queste sfumature nel corso della
battaglia. Il punto che preme al regista è affermare che il battaglione
americano sia composto prevalentemente da gente della periferia newyorkese,
ragazzi di strada, figli di immigrati non propriamente wasp (White Anglo-Saxon Protestant). Un proposito certamente
lodevole nelle intenzioni: il discorso di Mulcahy cerca di valorizzare la
società multiculturale e quindi di abbattere gli steccati tra le caste sociali.
Un argomento anche inerente nello specifico alla Prima Guerra Mondiale che vide, nel suo svolgersi, la caduta
ufficiale dell’Ancien Regime,
incarnato dagli Imperi Centrali e dalla dinastia degli Zar. Ma tra messa in
scena ben calibrata tra azione e tensione emotiva rimane poco posto per questi
approfondimenti che sarebbero validi spunti, se lasciati appunto come tali. Il
regista insiste invece un po’ troppo, specialmente nel confronto coi tedeschi
che, con il loro senso dell’onore cavalleresco, ben incarnano, almeno
nell’etichetta, i valori di quel mondo a cui la Grande Guerra avrebbe posto
termine. Tutto sommato un peccato veniale, peraltro congenito alla cifra
stilistica di Mulcahy, di un regista comunque bravissimo nel suo terreno, tra
l’altro assai adatto ad una rappresentazione bellica. E allora godiamoci le
gesta dei gangster dei sobborghi newyorkesi divenuti eroici soldati per quel
che sono: un’ora e mezza di vibrante azione bellica.
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