1570_NOTTI DEL DECAMERONE (Decameron Nights). Spagna, Regno Unito 1953; Regia di Hugo Fregonese
Come intuibile dal titolo, lo spunto per questa produzione anglo-spagnola è Il Decamerone di Giovanni Boccaccio, raccolta di cento novelle risalente al XIV secolo. L’idea alla base di una simile operazione è curiosa, perché gli autori hanno preso uno dei testi scollacciati della letteratura del Medioevo, per farne un film in costume che oscilla tra l’avventuroso e il romantico senza mai lambire alcun elemento piccante. Emblematico, di questa manovra tesa a rendere il soggetto assolutamente morigerato, lo spostamento della voglia cutanea di Ginevra da sotto il suo seno –dove si trovava nel libro di Boccaccio– all’innocente spalla di Joan Fontaine nel film di Hugo Fregonese. Notti del Decamerone è comunque un bel film, garbato e divertente, con alcuni spunti interessanti. Il soggetto adatta «alla bisogna» cinematografica il testo, inserendo, come personaggio di riferimento della «cornice» narrativa, lo stesso Giovanni Boccaccio, interpretato da Louis Jourdan, mentre la vera protagonista dell’opera è, ovviamente, la citata Joan Fontaine. La Fontaine, al tempo, era già una star di prima grandezza di Hollywood, avendo nel suo curriculum opere come Donne [The Women, George Cukor, 1939], Rebecca – La prima moglie [Rebecca, Alfred Hitchcock, 1940], e Il sospetto [Suspicion, Alfred Hitchcock, 1941], mentre insieme a Louis Jourdan aveva interpretato Lettera da una sconosciuta [Letter from an Unknow Woman, Max Ophüls, 1948]. Joan era una eccellente interprete ed era in grado di recitare parti differenti, ad esempio la dark lady in La seduttrice, [Born to be bad, Nicholas Ray, 1950] ma è chiaro che il suo ruolo tipico era quello della vittima sofferente in amore. E in Le notti del Decamerone è quello che il copione le offre, seppure in forme leggermente diverse. Perché nel film la Fontaine è Fiammetta, la vedova ancora in lutto di cui è innamorato Boccaccio, ma è anche Bartolomea, Ginevra, Isabella, insomma le protagoniste dei racconti liberamente ispirati dalla raccolta dello scrittore italiano.
Infatti, nella pellicola, gli attori principali hanno ruoli multipli interpretando, pur con le inevitabili differenze, il personaggio simile nei vari racconti. Tornando alle parti assegnate alla Fontaine, tutte le donne citate, in un modo o nell’altro, dimostrano le qualità che, almeno nel medioevo e anche assai più tardi, erano considerate quelle adeguate alla condizione femminile: fedeltà e assoluta devozione al marito, con annessa accettazione di qualsiasi sottomissione pur di mantenere saldo il matrimonio. Se la vedova Fiammetta è impegnata «obtorto collo» a rifiutare le focose ma premature avances di Boccaccio, nella cornice narrativa, Bartolomea, nel primo racconto, accetta di legarsi al pirata Paganino (ancora Jourdan), che l’ha rapita a scopo di ricatto, pur di sottrarsi alla vita coniugale sessualmente insoddisfacente che le offre il marito Ricciardo (Godfrey Tearley). Qui, naturalmente, il ruolo di Bartolomea sembra contraddire quanto appena affermato, circa la sudditanza a cui era costretta la donna nella tradizione italiana ed europea: in effetti questo primo racconto è un esempio di quanto scostumato fosse Il Decamerone, considerato i tempi. Però, anche un ruolo come quello di Bartolomea, che decide di abbandonare il marito, uomo che ha sempre una scusa astrologa per non fare il proprio dovere sotto le lenzuola, non è frutto della sua indipendenza, e qui si rientra in quella considerazione subordinata che la figura femminile aveva nella cultura europea. Bartolomea si dona spontaneamente al suo rapitore, senza che questi l’abbia fin lì degnata di uno sguardo realmente interessato, se non al riscatto da chiedere a Ricciardo. In fin dei conti, a fare «bella figura» è Paganino, il classico casanova o dongiovanni che dir si voglia, che si ritrova una donna bellissima ai suoi piedi senza nemmeno sprecarsi a farle la corte. E se, nel XIV secolo, tempo di pubblicazione del racconto, si poteva comunque intuire una certa intraprendenza nella scelta di Bartolomea, nel 1953, quando uscì il film, la Fontaine dovette essere brava a mostrare come una donna antica si dovesse sottomettere a priori ad un ipotetico amante per trovare quel che meritava nella vita coniugale e fin lì non aveva ricevuto.
Nella cornice, la bigotta Fiammetta, rimprovera Boccaccio per la licenziosità di questo racconto e propone una sua storia dove la morale del tempo venga pienamente rispettata. Giulio (Jourdan), scommette con Bernabò (Tearley) di riuscire a sedurre la moglie di questi, Ginevra (la Fontaine), donna di provata fedeltà: pur non essendoci riuscito, inscena un tranello per assicurarsi la posta. Bernabò ci casca, e Ginevra le è talmente fedele da accettare di venire uccisa per un tradimento che non ha neppure commesso. Qui il film si riserva uno dei passaggi umoristici che mantengono il tono da commedia alla narrazione: i due sicari dal cuore tenero sono interpretati dai Bernard Brothers, George e Bert, una coppia di comici americani famosa fin dagli anni Trenta. A titolo di curiosità si può segnalare che i due artisti non fossero parenti, nella realtà. In ogni caso, proprio la rassegnazione di Ginevra, che nemmeno protesta o si dispera –ligia com’è ad accettare qualunque cosa ordinata dal marito, persino la sua morte per un adulterio mai commesso– crea degli ipocriti scrupoli di coscienza nei due buffi lestofanti che, in fin dei conti, non riescono ad espletare il loro compito, lasciandola quindi in vita. Il racconto prevede che i tre protagonisti si ritrovino, Ginevra, Bernabò e Giulio, e la donna, dopo aver dimostrato le sue ragioni, accetti clamorosamente di tornare col marito. Per l’ultimo racconto prende parola ancora Boccaccio, deciso a dimostrare a Fiammetta di essere capace di far trionfare la felicità coniugale a discapito delle scappatelle amorose a lui tanto care. Isabella (la Fontaine) è riuscita ad incastrare –ops, sposare– Don Bertrando (Jourdan) che, tuttavia, non ne vuole sapere di vita domestica e se ne va per il mondo a spassarsela. Prima di andare, fa giusto promessa di redimersi eventualmente ad una vita tra le quattro mura di casa solo quando la moglie avrà ottenuto la fede nuziale e gli avrà dato un figlio. Il che è un evidente paradosso, considerato che il dongiovanni sparisce dalla vista della povera Isabella all’istante. Un paradosso non più grande del folle innamoramento della ragazza, che proprio è privo di senso, stante l’atteggiamento dell’uomo, ma questo è ancora niente. Infatti, Isabella accetta di infilarsi nel letto al posto di Maria (Joan Collins) e, approfittando dell’oscurità della stanza, giacere con il proprio inconsapevole consorte. Come la donna ottenga la fede nuziale, rimanga incinta e, infine, dimostri tutto ciò all’esterrefatto Don Bertrando sono dettagli narrativi meno incredibili del fatto che Isabella accetti un escamotage tanto umiliante per la propria persona.
Joan Fontaine, come detto, aveva nelle sue corde quella stoica sofferenza femminile e riesce a rendercelo passabile, almeno per un film dalla credibilità «sui generis» come Notti del Decamerone. Ben diverso il registro interpretativo della giovanissima Joan Collins: vent’anni, bellissima, l’attrice inglese bruciava di vita e, pur avendo una parte tutto sommato limitata, mette a segno alcuni passaggi memorabili. Nella cornice del film Joan è Pampinea, una delle ragazze che sono ospitate nella villa della campagna fiorentina da Fiammetta. Innanzitutto, tra le quattro giovani dame si distingue istantaneamente per bellezza e carisma, eclissando persino Binnie Barnes che pure era un’attrice già conosciuta e per cui, nel film, erano previsti ruoli più illustri, come la contessa di Firenze. Per quanto ricopra un ruolo marginale, il copione riserva alla Collins alcuni passaggi cruciali: è Pampinea che toglie il chiavistello al portone della villa, permettendo a Boccaccio di entrare dando il via alla vicenda. Il suo cenno di intesa all’amica è un breve istante, ma funzionale al racconto, così come il contatto di sguardi col protagonista, che dimostra subito di averne notato le grazie. È poi ancora Pampinea a stuzzicare Boccaccio nascondendo il volano, la sorta di pallina del gioco noto anche come badminton, nella scollatura che rende onore al nome della ragazza, che significa infatti «la rigogliosa». La Collins è perfetta per interpretare questo personaggio che nel Decameron letterario ha più spazio: indipendente, audace, Pampinea è una donna che non rinuncia alle canoniche armi della figura femminile, la grazia e la bellezza, ma le utilizza in chiave moderna. E che dire della sfuriata con cui Maria, sempre interpretata dalla Collins, investe l’inconsapevole Don Bertrando che l’ha tradita giacendo con la propria consorte? Se Joan Fontaine passa il tempo del film a far chinare docilmente il capo ai suoi personaggi, anche di fronte alle peggiori angherie, quest’altra Joan dimostra di quale pasta possano essere fatte le donne moderne. A patto di avere la classe di Joan Collins.
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