1763_LA SPIA DELLE GIUBBE ROSSE (The Pathfinder), Stati Uniti 1952. Regia di Sideney Salkow
C’è un aspetto che salta subito all’occhio, guardando La spia delle
Giubbe Rosse di Sidney Salkow: si intuisce, infatti, che il soggetto abbia
una struttura perlomeno solida e, a quel punto, la messa in scena quasi
amatoriale desta una certa perplessità. Anche perché sono troppi elementi che
concordano a creare un certo disagio visivo per poter soprassedere: la prima
nota stonata riguarda unicamente l’uscita italiana, ma cronologicamente, è solo
il primo motivo di perplessità che si incontra. Il film è degli anni 50, nel
pieno del momento d’oro dei Mountie Movie e, per quanto si trattò di un filone
poco conosciuto, probabilmente i distributori del Belpaese provarono a
sfruttarne l’effetto traino. Perché, perlomeno in Italia, quando si parla di «giubbe rosse» si pensa
sempre al glorioso North West Mounted Police, la polizia canadese a cavallo,
mentre i soldati in casacca scarlatta del film di Salkow sono i militari
inglesi del XVIII secolo. Niente di grave, per carità, ma suscita sempre un
certo fastidio accorgersi che ci sia una informazione fuorviante proprio nel
titolo, che spesso è il primo elemento che si prende in considerazione per decidere
la visione di un film. Nel quale, l’ambientazione è dunque quella delle Guerre
di Frontiera nordamericane che vedeva fronteggiarsi Inglesi e Francesi che si
disputavano la supremazia anche in ambito coloniale. Questi continui conflitti
videro coinvolti, da una parte e dall’altra, gli Indiani, che ne La spia
delle Giubbe Rosse hanno naturalmente un ruolo rilevante. E qui veniamo al
vero punto debole del film, perché la razzia nel campo mohicano ad opera dei
guerrieri Mingo è realizzata in modo davvero poco convincente e per nulla
evocativo. Il film di Salkow delude in modo particolare nelle scene con protagonisti
i nativi americani, raffigurati in modo troppo semplicistico ma, in generale,
tutte le riprese in esterni non riescono a persuadere nemmeno il più ben
disposto spettatore. Le foreste del nord est americano, che sono il teatro
degli avvenimenti narrati, hanno, al solo parlarne, un fascino che, ne La
spia delle Giubbe Rosse, è totalmente assente.
Vanno un po’ meglio le scene
d’interni e le sequenze che vedono all’opera i soldati europei, gli Inglesi in
divisa rossa e i Francesi in completo bianco: si tratta forse di un’impressione
opinabile, ma una ricostruzione posticcia è più credibile se raffigura quei militari
in uniforme che siamo abituati a vedere nei musei o sui libri di scuola. Per la
storia americana, a cui, in qualche modo La spia delle Giubbe Rosse fa
riferimento, il rimando comune è il cinema e la pellicola di Salkow, spiace
dirlo, non onora a dovere il media stesso a cui appartiene. Non si è fatto
ancora menzione di quella che forse è la fonte di maggiore scorno, per lo
spettatore appassionato ai temi nordamericani, guardando La spia delle
Giubbe Rosse. Il soggetto del film è, infatti, il romanzo La staffetta
di James Fenimore Cooper, in pratica uno dei capitoli della saga di cui è parte
anche il notissimo L’ultimo dei Mohicani. In effetti, nell’originale, il
titolo è The Pathfinder, ovvero lo stesso del testo di Fenimore Cooper,
e protagonisti del racconto sono Pathfinder (George Montgomery), che altro non
è che Occhio di Falco, Nathaniel Bumppo o Calzadicuoio, ovvero l’eroe con più
soprannomi della letteratura americana, e Chingachgook (Jay Silverheels), il
suo padre putativo mohicano. Occhio di Falco e Chingachgook sono i protagonisti
anche de L’ultimo dei Mohicani, vicenda nella quale perderà la vita
Uncas (Edward Coch), che qui vediamo ancora bambino. Come lascia intendere,
stavolta giustamente, il titolo italiano, nella storia ci sono elementi tipici
dello spionaggio e, come facile intuire, il soggetto, avendo solida origine
letteraria, è ben costruito. Il che è pienamente avvertibile ma, purtroppo,
questa valida impostazione alla base non fa che acuire il disappunto e la
delusione per una messa in scena tanto fiacca in troppi passaggi. Insomma, un
film ambientato nelle tenebrose foreste della Guerra di Frontiera americana che
difetta proprio da un punto di vista scenico è un autentico delitto
cinematografico.



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