1216_GIUNGLA D'ASFALTO (The Asphalt Jungle). Stati Uniti, 1950; Regia di John Huston.
Riconosciuto universalmente come capolavoro, Giungla d’asfalto di John Huston è un film effettivamente eccellente. In prima istanza c’è probabilmente lo sguardo sul mondo criminale che al tempo era di una modernità illuminante: “il delitto non è che uno degli aspetti della lotta per la vita”, sono parole dell’avvocato Emmerich (Louis Calhern), uno dei personaggi del film. E non uno qualunque: l’avvocato è l’elemento di congiunzione, o almeno il più illustre, tra la società civile e quella criminale. E’ una funzione simbolica: W.R. Burnett, autore del romanzo preso a soggetto, e Huston vogliono un personaggio emblematico che rappresenti quanto è corrotta la società nel suo insieme. Del resto c’è almeno un'altra figura che mette in connessione le due presunte anime della città, quella legale e quella criminale, ed è il tenente Ditrich (Barry Kelley). Ditrich è il primo poliziotto che vediamo all’opera e nella successiva scena, quando è chiamato a rapporto dal commissario Hardy (un grande John McIntire), lo sguardo di Huston sembra solidarizzare nettamente con lui. Da questo incipit, sembrerebbe proprio lui il riferimento legale del film; in realtà è un poliziotto corrotto, in combutta con l’allibratore disonesto Cobby (Marc Lawrence). Quel ruolo di tutore della legalità è invece destinato al commissario, personaggio che non sprizza certo simpatia e che, nel finale, ci rifila un pistolotto morale con cui Huston cerca di evitarsi rogne da parte della censura dell’allora agguerritissimo senatore McCarthy e della sua caccia alle streghe comuniste. Ma i veri protagonisti del film sono loro, i criminali che Burnett e Huston descrivono con attenzione: persone vere, vive, umane, anche; sebbene di un’umanità dura che non si concede troppo facilmente a sentimenti teneri.
Certo, c’è l’amicizia tra il barista gobbo Giulio e il gangster da quattro soldi Dick, interpretati da James Whitmore e Sterling Hayden, una coppia di attori che sfoderano un’interpretazione superlativa che è uno dei punti di forza del film. Ma notevole anche Sam Jaffe nei panni del Dottor Riedenschneider, ex detenuto che, durante il soggiorno al fresco, ha preparato il piano per la rapina del secolo e, una volta uscito, non vede l’ora di metterlo in atto. La rapina – ad una gioielleria, in questo caso – è il tema portante dell’opera e lo è in un modo che farà scuola tanto da divenire il riferimento costante per un sacco di film, basti citare Rapina a mano armata (1956, regia di Stanley Kubrick) dove ritroviamo Hayden e i suoi amati cavalli come evidente tributo a Giungla d’asfalto. La rapina è vista sì come un gesto criminale, e ad esso si collega il fato avverso che aleggia sin dal principio sull’operazione, ma è trattata dal film come una normale attività professionale.
La forza nel racconto si fonda sui personaggi che si costituiscono squadra, le loro simpatie reciproche – l’amicizia tra Giulio e Dick, oppure la stima istintiva del dottore per lo stesso Dick – e i rapporti di sopportazione per necessità – l’opinione che ha Ciavelli (Anthony Caruso) di Dick o quella non dissimile che Dick ha nei confronti di Cobby. Come si può intuire Dick tiene un po’ il centro della scena, essendo Hayden l’unico da avere il physique du role adatto nel cast, e anche il rapporto che ha con la sua donna sottolinea la mancanza di affetto – amore è una parola totalmente fuori luogo in Giungla d’asfalto – che permea la storia. La povera Olga (una brava Jean Hagen) è bistrattata quasi inavvertitamente da Dick che è effettivamente un buzzurro ma lo è in modo genuino, senza malizia. E anche l’innocenza della ragazza, che fa capolino goffamente tra le ciglia finte che si staccano o le sigarette sgualcite che prova a fumare, è un originale ed efficace mix – per niente armonico ma onesto e sincero proprio per quello – tra prostituta da night club e premurosa casalinga. Quando poi scatta l’azione, il film quasi sospende il fiato, e in questa capacità di modulare il ritmo narrativo risiede la magia che fa di Huston un vero maestro di cinema. Ma questa è Storia del Cinema, risaputa e riconosciuta a cominciare dalla corrente dei caper movie – i film che raccontano di colpi criminali – che mette Giungla d’asfalto sempre in cima alla lista dei riferimenti. Altresì lo sguardo cinico, tipico di Huston, che pervade l’opera e descrive la tipica città americana ormai disumanizzata, corrotta ad ogni livello e assimilabile ad una giungla urbana, è evidente e noto. Un aspetto che resiste ancora con forza è l’assenza del quadro morale – al netto del sermone finale del commissario Hardy – certificato dalla simpatia per i criminali e in particolare per Dick, nonché dalla fine tutto sommato poetica che la storia gli riserva. Ma forse l’elemento più interessante è di natura metalinguistica e riguarda appunto il cinema, anche se, in America più che altrove, questo potrebbe significare molto anche nella società reale. In Giungla d’asfalto abbiamo una serie di personaggi tipici del noir americano: semplici uomini, al massimo bravi professionisti e niente più.
C’è però una figura, quella del dottor Riedenschneider, che, con la sua mente superiore e la sua origine tedesca, sembra quasi provenire dai capolavori dell’espressionismo tedesco (per dire, potrebbe essere un emulo del Dottor Mabuse di Fritz Lang) o forse dai crime movie americani degli anni 30. Quelli con James Cagney o Edward G. Robinson, per intenderci: Doc Riedenschneider è certamente più mite anche di questi ma ha lo stesso carisma e la stessa leadership, cosa sconosciuta ai proletari che compongono la sua banda in Giungla d’asfalto. La rovina del dottor Riedenschneider sarà la passione per le donne, nel passaggio in questione condita dalla musica rock’n’roll: è il fato, d’accordo, ma i due sbirri lo prendono perché si ferma giusto un giro di Juke Box di troppo a guardare la ragazza ballare. Sono gli anni Cinquanta, appena iniziati, e Huston non sembra poi così avaro di morale, adesso. Ma si è detto, il suo sguardo è del tutto asciutto in tal senso. Anche perché, sebbene possa sembrare strano, il vero mentore di Giungla d’asfalto, quello che ne incarna pienamente lo spirito, è il personaggio le cui parole abbiamo citato in apertura. E’ l’avvocato Emmerich la voce della verità. Quella stessa voce che dà il giudizio finale sulla prorompente figura che, in questo specifico film rimane un po’ defilata ma, di lì a poco, sbaraglierà tutti quanti. E poi, anche qui, Marilyn Monroe ha un ruolo marginale ma decisivo: è per soddisfare i capricci di Angela, il suo personaggio, che Emmerich si rovina. E sarà proprio la condizione economica precaria ad indurre l’avvocato a rischiare il tutto per tutto assumendosi, virtualmente, i costi per preparate la rapina convincendo Cobby ad anticipare il grano necessario. E’ quindi Angela il vero motore che fa partire il meccanismo che manda all’aria tutto quanto. Compreso il suo viaggetto a Cuba, è vero. Ma, come dice appunto ancora Emmerich, di viaggi, Marylin, ne farà ancora tanti. Gli anni Cinquanta sono appena iniziati e l’era atomica – nei due sensi in cui è interpretabile il termine – è appena agli inizi. Che sia morale o meno, lo sguardo di Huston sembra dirci che il destino è comunque segnato: è nata una stella, fatevene una ragione.
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