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domenica 26 dicembre 2021

IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA

947_IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA (Creature from the Black Lagoon); Stati Uniti, 1954; Regia di Jack Arnold.

Capolavoro assoluto del cinema, Il Mostro della Laguna Nera del formidabile Jack Arnold è un film che offre una serie di chiavi di lettura che ne giustificano la fama in ogni ambito. Volendo è infatti opera di puro intrattenimento che si sviluppa narrativamente come un piccolo gioiello dal punto di vista della costruzione avventurosa. Arnold non sfrutta più di tanto, come potrebbe essere facile pensare, l’effetto suspense per la presenza della Creatura (come da definizione dell’opera originale): del resto la figura dell’uomo pesce era già stata sbandierata su poster e locandine per attizzare la curiosità del pubblico. Il regista gioca comunque con questo elemento con saggia maestria mostrandone quasi subito semplicemente una mano mostruosa per poi, comunque abbastanza presto nell’economia del racconto, mettere bene in mostra lo strano essere sullo schermo. L’efficacia della rappresentazione della Creatura, sia la sua forma che la sua capacità di abitare la storia, ad esempio quando nuota sott’acqua senza maschere per l’ossigeno visibili, è un altro punto di forza del film. Il Mostro della Laguna Nera è una produzione Universal e il fascino della Creatura la colloca di diritto a fianco dei vecchi protagonisti mostruosi dei film horror che lo studio mise nelle sale negli anni 30. In una galleria di personaggi dell’orrore marchiati Universal, accanto a Dracula, alla creatura di Frankenstein, all’Uomo Invisibile, alla Mummia, all’Uomo Lupo, il Mostro della Laguna Nera ha e avrà sempre un posto di rilievo. Quello di Arnold è infatti considerato, giustamente, un film di culto, con schiere di appassionati, anche illustri se pensiamo a Guillermo del Toro e al suo La forma dell’acqua, splendido tributo uscito oltre cinquant’anni dopo al film del 1954. 

Accanto a questi motivi, che già rendono immortale Il Mostro della Laguna Nera, ci sono anche quelli propri del racconto, che rinverdiscono e adeguano il mito della bella e la bestia, ricordando, in alcuni passaggi, l’interpretazione che ne dava un altro film sui mostri degli anni 30, lo splendido King Kong di Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack. L’aspetto più interessante dell’opera di Arnold è però un altro. I film del terrore citati sono, come detto, degli anni 30. Sono film di genere fantastico in parte legati al folclore o alle tradizioni (Dracula, La Mummia), o alla paura della nostra matrice primitiva (King Kong, L’Uomo Lupo) ma altri avevano già spunti scientifici o pseudoscientifici (Frankenstein, L’Uomo Invisibile). Gli anni 30 furono il decennio che portò il mondo nell’immane tragedia della Seconda Guerra Mondiale e quei film coagulavano sullo schermo l’angoscia che aleggiava al tempo, anticipando il terrore che si scatenò poi nella realtà. Quasi in risposta a questo, nel dopoguerra ci fu, soprattutto negli Stati Uniti d’America, il paese che uscì trionfalmente dal conflitto, un forte moto di ottimismo. Questo aspetto è facilmente riscontrabile nel cinema fantastico che prevalentemente ha come scopo quello di intrattenere il suo pubblico e quindi cerca di coglierne e di soddisfarne le aspettative con un ruolo quasi catartico. Infatti, uno dei generi che meglio incarna lo spirito degli anni 50 è la fantascienza americana dei B-movie, film d’intrattenimento ma spesso d’alta scuola, di cui lo stesso Arnold può essere considerato un maestro. 

La fantascienza celebrava la conquista dello spazio con lo spostamento della frontiera, essendo ormai esaurita quella ad ovest, quella del selvaggio west, oltre i confini del pianeta. Era anche il genere che celebrava la competizione con l’Unione Sovietica che nella realtà era il nuovo nemico e il concreto avversario nella corsa nello spazio. Spesso, nei film di fantascienza meno raffinati e più conformati del periodo, il dualismo con i russi era usato in modo strumentale per esaltare le ragioni dell’America, confinando idealmente il nemico sovietico nel ruolo dei mostri o degli extraterrestri cattivi. Arnold, che come detto della corrente era uno dei maestri, utilizzò il genere con una capacità superba e assai più acuta nell’interpretazione di quella che era la realtà del tempo. Gli anni cinquanta non erano affatto quei fabulous fifties che si raccontava, o almeno non solo: sotto la coltre ostentata del benessere del boom economico covavano tensioni che sarebbero rimaste in parte congelate dalla Guerra Fredda e in parte in procinto di esplodere nel decennio successivo. Insomma, il clima era meno idilliaco di quello che si poteva pensare a prima vista. 

Per questo Il Mostro della Laguna Nera, seppur si presenti, in modo programmatico in più di un dialogo, come un film fantascientifico di matrice ottimista, finisce per essere paragonabile ad un horror degli anni ’30. Anche qui siamo ad una vigilia di una guerra, quella cosiddetta fredda coi sovietici, e il tema del racconto è infatti l’incapacità dell’uomo, anche negli anni 50, di confrontarsi con l’altro. Arnold in pratica, utilizzando il cinema di fantascienza, uno degli strumenti che celebrava, romanzandole come costume della settima arte, le conquiste dello spazio americane, ribaltava completamente il concetto, mettendo in luce i problemi che avrebbero attanagliato un mondo che manteneva ancora un’impostazione tra i suoi abitanti di reciproca aggressività. Da un punto di vista squisitamente visivo, il film si avvale di una messa in scena accattivante: Arnold conosce il mestiere e opera le scelte azzeccate per far funzionare il suo film, mantenendo fede alle premesse sopracitate. Il bianco e nero, nel 1954, non sembrava adeguato al genere fantascientifico ma in questo caso funziona alla grande, sia da un punto di vista delle atmosfere dell’ambientazione che nel richiamare i citati horror degli anni 30. L’incipit e parte della spedizione hanno un carattere scientifico, alimentato anche da dettagli tecnici come l’attesa durante la risalita per la decompressione da parte dei subacquei; e c’è anche un tentativo di comprendere scientificamente l’elemento irrazionale, quello della mostruosità della Creatura, paragonando lo spazio infinito ai remoti angoli nascosti del nostro pianeta in particolare sotto il livello delle acque. 

Un quadro certamente positivo e in linea coi tempi, gli anni 50, ma la natura ambigua dell’umanità è già raffigurata dalla differente natura dei due personaggi maschili della storia: David (Richard Carlson) è animato da pura fede scientifica mentre Mark (Richard Denning) è dominato dall’interesse economico. Questa differente inclinazione si riverbera poi nel rapporto con la Creatura, un essere da studiare ma soprattutto da rispettare, per il primo, da catturare per trarne profitto, per il secondo. Curioso che la splendida protagonista femminile, Kay (una perfetta Julie Adams), pur se ufficialmente fidanzata col primo, non compia praticamente mai una scelta di campo decisa. 

Kay, elemento chiave della vicenda, è il contraltare della Creatura, con la quale inscena una splendida danza subacquea: la ragazza impersona la bellezza assoluta, e la Adams è superlativa, laddove la Creatura è un essere mostruoso. E proprio la bellezza di Kay ad ammaliare l’uomo pesce, sulla scorta dell’impostazione tipica della fiaba La Bella e la Bestia, ammorbidendone quasi magicamente l’aggressività. Arnold, però, cambia naturalmente qualcosa nel suo aggiornamento: Kay non è affatto un elemento passivo, la bella ragazza rapita che finisce alla mercé del mostro. La giovane è una studiosa che prende parte all’organizzazione della spedizione scientifica ma dimostra un’attitudine anche pratica, concreta, difendendo le ragioni di Mark, che finanzia la missione, anche dialogando col fidanzato David. Ecco, la grande bellezza de Il Mostro della Laguna Nera è proprio nella sottile insinuazione che Kay abbia comunque un lato oscuro. Non che si veda, eh, sullo schermo. La Adams in costume da bagno sfoggia una forma fisica spettacolare e, grazie alla pulizia delle linee anatomiche, alla forma del viso, al fascino dei grandi occhi chiari, come detto incarna l’ideale perfetto, anzi puro di bellezza. E, appunto, il mostro ne è l’esatta metà oscura. Eppure, nella Creatura alberga una forma di tenerezza, che è possibile riscontrare nella cura con cui evita di far male alla ragazza, nelle occasioni in cui la rapisce. E allora la domanda sorge spontanea: ma se la ragazza ne è l’immagine rovesciata, allora, mantenendo l’equivalenza, qualcosa di poco limpido forse lo nasconde. 

Una considerazione rafforzata proprio dalla bellezza impeccabile della protagonista; fosse stata una dark lady o anche solo una ragazza con un che di ambiguo, il paragone rovesciato non starebbe più in piedi. E l’accondiscendenza nei confronti di Mark, un individuo interessato solamente all’aspetto economico e insensibile alle ragioni dell’altro, potrebbe essere il gancio che cerchiamo. Come qualche mezzo dialogo che sfugge al controllo della giovane, ad esempio quando sembra piccata per la repentina risalita di Mark e David da una missione subacquea nella laguna. Per un attimo, ma poi la ragazza riprende subito il controllo, sembra quasi che Kay sia più preoccupata per la mancata riuscita dell’impresa che per un eventuale problema occorso ai due uomini. Sfumature e congetture? Forse. O forse un’insinuazione, da parte di Arnold, non netta e dichiarata, ma volutamente lasciata sospesa a metà, sospesa in un’ipocrisia tipicamente borghese. Nell’America degli anni 50 la bellezza non salverà più il mondo, come diceva il protagonista de L’idiota di Dostoevskij, ma sé stessa e i propri interessi.  

Julia

Julie Adams









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