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sabato 18 dicembre 2021

GALLIPOLI (2015)

943_GALLIPOLI; Australia, 2015; Regia di Glendin Ivin.

Con il centenario della campagna dei Dardanelli, avvenuta durante la Prima Guerra Mondiale, era prevedibile un rifiorire di interesse sull’argomento; parlando di cinema, peraltro, nel corso dei cent’anni trascorsi, la vicenda era stata racconta attraverso filmati, per grande o piccolo schermo che fossero, già molte volte. E, grosso modo, grazie ai suoi tanti aspetti interessanti, epici o tragici a seconda della vena da voler valorizzare, non aveva quasi mai tradito le speranze dei produttori di turno. Gallipoli era la pagina epica dell’Australia, un po’ come il cinema western per gli americani; forse solo meno emotivamente coinvolti i neozelandesi, almeno stando al livello di risposta cinematografica. Ma anche i turchi, che sui Dardanelli avevano potuto conoscere il loro futuro leader Atatürk, soprattutto negli ultimi anni si erano dati un gran daffare con le commemorazioni sul grande schermo. Insomma, Gallipoli è un tema che difficilmente tradisce. Eppure Gallipoli serie televisiva di Glendyn Ivin, è stato un clamoroso fiasco: dopo il primo episodio con oltre un milione di spettatori, la seconda puntata ha visto il pubblico dimezzarsi. Per altro, nel complesso, la serie non è affatto male, anzi. Certo, forse aggiunge poco di nuovo, essendo la questione, come detto, già vista molte volte sullo schermo in passato. In questo senso è condivisibile l’idea di una serie TV, che può facilmente coinvolgere le nuove generazione che, magari, i vecchi film non li hanno visti. In ogni caso la ragione del sostanziale fallimento dell’operazione risiede nel primo episodio, visto l’ottimo share realizzato (merito della pomposa propaganda) ma non rinnovato successivamente. Il problema principale di The first day è il ritmo; anche la musica, evocativa fin che si vuole, senza una narrazione che ne giustifichi il lirismo, finisce per essere un’arma a doppio taglio. Già My friend, the enemy, risolleva un po’ il morale dello spettatore (peccato che, a suo tempo, il pubblico australiano avesse già mollato il colpo). Nel dettaglio, in questo episodio migliorano i dialoghi, con alcuni scambi divertenti: ad esempio il soldato Cliff (Tom Budge) non riconoscendo il generale Birdwood (Anthony Phelan), in camicia e senza giacca dell’uniforme, gli risponde sbrigativamente, oltretutto appellandolo con un cameratesco “cobber”, termine che nello slang australiano significa qualcosa tipo amico. Simpatici anche alcuni scambi di vedute tra gli aussie e i turchi durante la tregua stabilita per rimuovere i troppi cadaveri che giacevano tra le trincee. 


Un militare turco, riflettendo sulle rispettive urla di battaglia, considerando che gli ottomani attaccavano al grido di Allah! Allah!, domanda a Bevan (Harry Greenwood), uno dei fratelli Johnson, se il dio degli australiani si chiami bastard. Insomma, i dialoghi sono uno dei cardini della narrativa e la serie comincia a segnare qualche progresso. Nel terzo episodio si delineano meglio le caratteristiche del gruppo di protagonisti, a partire dai fratelli Johnson: il citato Bevan è il maggiore mentre il diciassettenne Tol (Kodi Smit-McPhee), dagli occhi grandi e spauriti e l’aria di chi è perennemente a disagio o fuori luogo, è il vero protagonista del racconto. A sorpresa ma con pieno merito, visto l’eroismo dimostrato in un intervento a cavar d’impaccio il fratello, volontario in un’azione offensiva, Tol è promosso caporale sul campo; fa ancora più sorpresa vederlo ferito gravemente alla fine dell’episodio, sdraiato sulla spiaggia in attesa di un imbarco sulle navi ospedale. Tra la truppa, sono da menzionare Cliff, che dopo la gaffe col generale Birdwood continua a stare sopra le righe, e Dave (Sam Parsonson), l’intellettuale della comitiva. Si inasprisce, nel frattempo, il rapporto tra la stampa, Ellis Ashmead-Bartlett (James Callis) in testa, e il comando militare, con il generale Hamilton (John Bach) e soprattutto il generale Braithwaite (Nicholas Hope) preoccupati di risolvere maggiormente la questione coi giornalisti piuttosto che quella coi turchi. Intanto, la quarta puntata, The deeper scar, ci restituisce miracolosamente vivo Tol: il proiettile ha sfiorato il cuore e si è fermato in una posizione in cui è possibile rimuoverlo. 


In poche settimane il giovane viene rispedito a terra: la sua cicatrice è piccola ma profonda. Non è più il ragazzo innocente di prima, ora si offre volontario per fare il cecchino, il mestiere peggiore del mondo. D’accordo, ha visto l’amico Cliff freddato da un tiratore scelto, proprio sotto i suoi occhi; ma, della gravità della sua scelta avrà presto il tempo di rendersi conto. Tra le sue vittime, abbattute senza battere un ciglio dei suoi occhioni, scopre il turco con cui aveva familiarizzato durante la tregua; quella tregua in cui anche un buzzurro nazionalista come suo fratello Bevan aveva scambiato amichevoli parole con un nemico. E che, come detto, si era resa necessaria per liberare lo spazio tra le due trincee dai cadaveri. Una situazione che si stava ripresentando di nuovo: ma che stavolta il generale Hamilton, informato della ritrosia dei soldati turchi ad attaccare calpestando i cadaveri, non intendeva concedere. 

Se i morti ammazzati erano più efficaci del filo spinato, il glorioso impero britannico li avrebbe usati senza indugio: tutto, pur di piegare la resistenza ottomana. E, in questa fase, un po’ a sorpresa, per la verità, Gallipoli di Glendyn Ivin decolla. E’ anche il momento decisivo, della campagna: nel capitolo cinque, The Breakout, gli alleati dell’Intesa scatenano una grande offensiva. Una serie di attacchi e di finte offensive che all’occorrenza devono trasformarsi in azioni concrete; gli australiani conquistano Lone Pine, che però non ha molto senso se non si prende l’altura sovrastante. I neozelandesi sgombrano gli ottomani da Chunuk Bair dopo una lotta senza quartiere; sulla cresta del Nek, invece, l’artiglieria navale interrompe il bombardamento di copertura preventiva con sette minuti di anticipo. Risultato: i turchi hanno tutto il tempo di riposizionarsi in trincea e stroncare le quattro ondate degli Anzac mandati a quel punto direttamente al suicidio dall’ottuso comando britannico. Ma, nel complesso, le azioni diversive stanno funzionando (tralasciando qualsiasi rapporto costi / benefici, parlando di costi in termini di vite umane): le due divisioni britanniche purosangue, al comando del generale Stopford (Shane Briant), possono così dare il via all’attacco di Suvla Bay. Sopford, dipinto dal racconto filmico come un completo inetto, si indispone quando urta leggermente un ginocchio sulle scale della nave e poi, verificata la tendenza del nemico a diventare aggressivo una volta attaccato, preferisce temporeggiare. 


Il film potrebbe, in questi dettagli, essere eccessivamente denigratorio nei confronti di alcuni ufficiali del comando: nel caso lo fosse, si tratta di un trattamento che, anche a cento anni di distanza, è tuttora pienamente meritato. Da un punto di vista adrenalinico, il quinto episodio segna il picco della serie; il successivo si apre con una sconsolata considerazione del generale Hamilton. I neozelandesi avevano preso Chunuk Bair alla fine di una battaglia durissima; sono stati rimpiazzati da due reparti britannici, il North Lancs e il 5th Wiltshire, che hanno rapidamente vanificato il duro lavoro dei kiwi. Con questo preambolo, le ultime due puntate raccontano mestamente della ritirata dell’Intesa dalla penisola, risparmiandoci la pretesa di far passare una fuga di nascosto dal fronte di battaglia per un’impresa militare. 

C’è la destituzione di Hamilton, c’è la visita di Lord Kitchener (Lachy Hulme), c’è l’arrivo sulla scena di Keith Murdoch (Damon Gameau), padre del Rupert odierno magnate dell’editoria mondiale, ma adesso gli aspetti storici rimangono sullo sfondo. A questo punto, quell’aspetto intimo della storia che aveva affossato il primo episodio, con gli spettatori probabilmente non preparati a dovere, stavolta funziona egregiamente. E l’accompagnamento musicale adesso sì che è davvero evocativo e commovente. Gallipoli diventa quindi la storia di due fratelli, anzi, del rapporto tra i due. Bev, il maggiore, che sarà un po’ rozzo nelle sue convinzioni ma in fondo è una persona semplice (un brav’uomo, per usare le parole di Dave) e che vuol bene a Tol senza particolari retropensieri. Tol, diversamente, ha un sentimento duplice verso il fratello, da una parte lo ammira ma dall’altra lo invidia. 

Si spiega così il suo atto eroico che, salvando il fratello che si era lanciato in una missione volontaria, lo spodestava dal centro della ribalta. I sensi di colpa, per aver spacciato per affetto fraterno una manovra dettata dall’invidia, lo rendevano riluttante al momento di ricevere la promozione a caporale, situazione che l’avrebbe visto finalmente superiore, almeno in grado, a Bev. Ma, a tormentare Tol, era in realtà un’altra questione che si intrecciava sporadicamente dall’inizio del racconto agli eventi ma che era sembrata fin lì una mera costruzione narrativa di comodo. Bev, più maturo, aveva una fidanzata, Celia (Ashleigh Cummings) di cui Tol si era a sua volta subito invaghito. Per tutto il film assistiamo ai delicati ricordi del giovane dei fratelli sulla ragazza, dei loro scambi di sguardi fugaci, quasi che tra i due ci fosse una tresca all’oscuro di Bev. Ricordi o fantasie? 

Quale che fosse, il loro lavoro instancabile nell’animo di Tol si concretizzava quando, ormai certi del rimpatrio, il neo caporale si sporgeva avventatamente dalla trincea e solo il pronto intervento di Bev gli scampava un proiettile in testa. Questa impresa del fratello maggiore era un secchio d’acqua gelata sul volto di Tol: forse la promozione a caporale lo aveva convinto di essere migliore del fratello, e lo aveva convinto di averlo superato anche nel cuore di Celia. Ora Bev lo aveva rimesso al suo posto: la reazione iraconda con cui Tol si scagliava sul fratello che gli aveva appena salvato la vita, trovava forse qui la sua spiegazione. Un colpo dei nuovi obici tedeschi appena giunti nelle prime linee turche, metteva tragicamente fine alla questione: Bev sarebbe rimasto per sempre a Gallipoli. Ora Tol ricordava con più chiarezza e del suo flirt con la ragazza del fratello non rimaneva che una flebile illusione. Come quella della vittoria britannica a Gallipoli. 


Ashleigh Cummings

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