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domenica 14 dicembre 2025

IL COMMISSARIO DE VINCENZI - IL CANDELABRO A SETTE FIAMME

1768_IL CANDELABRO A SETTE FIAMME , Italia 1974. Regia di Mario Ferrero

Il primo episodio della serie Il commissario De Vincenzi lascia lo spettatore disorientato sin dallo spiazzante incipit e ce lo lascia a più riprese. Lo sceneggiato comincia in modo anonimo, senza titolo o sovraimpressioni: c’è un signore, nel buio di una strada, una scena inquietante. E a ragione: l’uomo, che ha con sé una curiosa valigia asimmetrica, verrà ucciso da alcuni sinistri individui. A quel punto, irrompe una musica d’altri tempi a tutto volume e compare la scritta «Luce», riferimento al celebre Istituto Luce. A meno di non essersi preventivamente informati sulla natura dello sceneggiato, si potrebbe pensare già a qualche refuso. Poi, la sigla attacca, il bel motivo musicale di Bruno Nicolai in stile anni 30 è abbinato ad immagini dell’epoca e il tutto assume un’aria più coerente. Ma per poco: perché la musichetta allegra cambia leggermente tono e compaiono fotogrammi di repertorio del duce e del fascismo. Quindi è il turno di alcune simpatiche donnine con relativa soave melodia e, a seguire, un’altra virata stavolta più cupa accompagnata da Hitler e dalle parate naziste. Un vero frullatore che lascia basito uno spettatore dei giorni nostri figuriamoci uno di metà anni Settanta, ma non è ancora finita. Ecco che ricompare di nuovo la scritta «Luce» e, perlomeno, la scritta «Milano 1933» ci dà qualche minima informazione. A questo punto dovrebbe cominciare il film vero e proprio; invece no: assistiamo alla divertente scena finale di Due cuori felici [Due cuori felici, Baldassarre Negroni, 1932], sebbene lì per lì non è che sia una cosa immediata da comprendere. Poi, sullo schermo, arrivano Paolo Stoppa e Gina Sammarco (è Antonietta, la sua governante) che discutono del film appena visto, con la donna che non è affatto convinta della novità rappresentata dai film sonori, abituata com’è al cinema muto. Finalmente ci siamo: il racconto filmico è cominciato ma, come è a questo punto facile intuire, non sarà un racconto semplice da seguire. De Vincenzi, il personaggio interpretato da Stoppa, è un commissario di Polizia e si trova coinvolto in un omicidio che è parte di un gioco spionistico internazionale che introduce nientemeno la Questione Palestine, faccenda intricata ora figuriamoci negli anni 70 e peggio ancora negli anni 30. A testimonianza che la trama sia effettivamente difficile da decifrare nei suoi tanti anfratti, in coda al racconto il commissario fa una sorta di riassunto e questa è, in genere, una vera e propria ammissione da parte degli autori che il loro lavoro è un po’ criptico. In effetti, da un punto di vista investigativo Il candelabro a sette fiamme non entusiasma, dal momento che l’intrico giallo è poco decifrabile, tuttavia una serie di fattori contribuiscono a strappare una sufficienza piena. In primo luogo Stoppa, che è perfettamente a suo agio nel ruolo; poi la scelta di alcuni attori, davvero congeniali, come Vittorio Sanipoli nei panni del barone Von Wenzel e Walter Bentivegna in quelli di Johan Veheran, alias il Ragno, formidabile acrobata che sfoggia un look degno di un nemico di Batman, davvero notevole. In tema di fascino, nessuno può sognarsi di offuscare quello di Maria Grazia Spina: l’attrice veneziana è Virginia Olcomb, un’agente israeliana d’elegante bellezza anni 70 eppure adeguata al contesto in cui ambientata la vicenda.
Ingegnoso il lavoro di De Angelis alla base, sul quale si adeguano gli autori dello sceneggiato, riuscendo a renderlo fruibile pur tra le troppe divagazioni. La Questione Palestinese che aleggia su tutta quanta la faccenda, aiuta a rendere il film interessante ma più a titolo di curiosità, considerata la complessità dell’argomento.  


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