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venerdì 26 novembre 2021

YARA

932_YARA ; Italia, 2021; Regia di Mario Tullio Giordana.

Ad un certo punto, nel dibattimento a carico di Massimo Bossetti (interpretato da Roberto Zibetti), il suo avvocato Salvagni (Lorenzo Acquaviva) contesta l’autenticità del video dei Carabinieri in cui si vede il furgone del carpentiere di Mapello passare più volte accanto alla palestra dove era sparita la giovanissima Yara Gambirasio (Chiara Bono), prima di venire uccisa. Il colonnello Vitale (Alessio Boni) lo ammette: il filmato è stato assemblato prevalentemente per calmare l’opinione pubblica. Infatti, puntualizza la vera protagonista del film Yara di Marco Tullio Giordana, ovvero il Pubblico Ministero Letizia Ruggeri (Isabella Ragonese), il video in questione non è stato inserito nel fascicolo agli atti del processo. E allora di che parla Salvagni? Beh, l’operazione dei Carabinieri è certamente scorretta, visto che il caso di Yara Gambirasio, trovata morta tre mesi più tardi dal giorno della scomparsa, era di forte impatto mediatico e operazioni atte ad influenzare l’opinione pubblica potevano avere riflessi sulle scelte dei giudici popolari componenti la Giuria. Ma formalmente la stessa accusa poi si attiene alle regole, evitando di presentare in aula contro Bossetti, unico imputato, prove non perfettamente attendibili; la difesa, dal suo punto di vista anche comprensibilmente, contesta quindi la poca sportività, chiamiamola così, della controparte. Salvo poi accanirsi su un cavillo legale, per confutare la prova schiacciante ai danni del Bossetti, inerente al famoso DNA trovato sul cadavere di Yara; il che sembra un po’ una contraddizione nella linea di condotta della difesa. Insomma, gli avvocati di Bossetti guardano la forma o la sostanza? 

Perché nella storia del filmato sembrerebbe che per Salvagni la sostanza sia prevalente: d’accordo, il video non è stato portato in aula, rispettando le regole, ma in concreto potrebbe comunque danneggiare l’imputato. Ma questo atteggiamento lascia qualche perplessità quando si contesta poi che il lavoro in laboratorio sia stato fatto senza la prevista presenza di un rappresentante della difesa. Probabilmente, per evitare successive obiezioni, sarebbe bastato nominare un rappresentante difensivo d’ufficio per Ignoto 1, come venne chiamato il soggetto identificato dal DNA ritrovato sul corpo della giovane ginnasta. In questo modo le prove avrebbero assunto valore legale inconfutabile, essendo presente al momento delle analisi il rappresentante dell’eventuale imputato; nella concitazione delle indagini questo passaggio venne trascurato, dando luogo ad una presunta debolezza formale nella costruzione dell’accusa. Ma di questo si parla e parla, sostanzialmente, la difesa: ma allora, cavillo per cavillo, anche gli inquirenti non possono essere accusati per un video che non hanno, in sede ufficiale, presentato. Questa incoerenza mina un po’ la credibilità della difesa di Bossetti e, nello specifico del suo avvocato che, per onestà di cronaca, il regista Marco Tullio Giordana tratteggia poi in modo eccessivamente caricaturale. 

Cioè, intendiamoci, è evidente che in un processo in cui c’è in ballo da una parte una vita giovanissima spezzata e dall’altra una pena che può essere l’ergastolo, valga tutto e il contrario di tutto (a patto di stare nei termini consentiti dalla legge, chiaro). Ma l’accusa mostra spudoratamente i muscoli, nel film ostentati simbolicamente anche dalla Ruggeri che si allena al sacco da boxe, perché deve assolutamente trovare il colpevole. La difesa invece ha un atteggiamento più ondivago, scantonando in modo generico su alcuni elementi effettivamente critici e professando poi un candore e una richiesta di rispetto formale che, all’occhio del profano, sembrano un po’ fuori luogo nel contesto creatosi. Questi elementi non sono propri del film di Giordana ma della vicenda vera e reale ma, d’altronde, il lungometraggio altro non fa se non portare sullo schermo abbastanza pedestremente gli elementi principali emersi dalle indagini e facendo propria la tesi emessa dalla sentenza di primo grado, lasciando a semplici didascalie il compito di riassumere i successivi sviluppi, che non hanno cambiato la sostanza delle cose. Il film, quindi, mette sullo schermo la verità processuale come fosse la verità in senso assoluto. La cosa dovrebbe essere anche pacifica, visto che ci si dovrebbe attendere un elevato grado di affidabilità delle sentenze, soprattutto in casi di simile gravità. 

Certo, fa un po’ specie vedere una vicenda di cronaca riproposta al cinema quando ancora non se ne è ancora spento l’eco; ma forse questo è un problema italiano della scarsa fiducia, in qualche caso legittima, che il cittadino ha nelle istituzioni, magistratura compresa. Per cui ogni sentenza non è mai ritenuta definitiva, nemmeno quando passa in giudicato, né tantomeno assurge mai ad elemento realmente attendibile. In questo contesto, forse, il film di Giordana, con il suo asettico e acritico plafonarsi sulle tesi delle sentenze, rischia davvero di avere la stessa funzione del filmato dei Carabinieri citato in apertura. Uno mero strumento, cioè, che convinca il popolo della colpevolezza di Bossetti. D’altra parte, in Italia, pare che, al contrario, i media trovino comodo, per alimentare la fame di ingiustizia, una delle esigenze più singolari e peculiari del Belpaese, continuare a dare corda a qualunque tesi complottista paventando innocenti puntualmente incarcerati al posto dei veri colpevoli. Stando alla Giustizia italiana, e al film di Giordana, Bossetti è colpevole; in trasmissioni televisive, giornali e social network vari, invece, la tesi d’innocenza del carpentiere di Mapello trova sempre, se non credito, perlomeno spazio a volontà.
Oltre che per la vittima, che va sempre ricordata, spiace, nel caso fosse davvero innocente come si professa, anche per il condannato ma, in senso generale, in un paese normale, dovrebbe essere da lodare la scelta del regista, che si allinea sulla versione più attendibile e, come detto, meno appetibile alla voglia di polemica e di protesta della gente. Ma è normale un paese in cui la fiducia nella Giustizia è prossima allo zero? E, di contro, è normale un paese il cui popolo anela strumentalmente a qualunque scusa per indignarsi anche a sproposito? Insomma, il punto è: l’Italia è un paese normale? E, se la risposta fosse no, come potrebbe esserlo il suo cinema?
  


4 commenti:

  1. qui si parla di cose che ho vissuto da vicino... intendo dire il processo... sono già 5 anni che mia sorella non c'è più... 😢

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  2. Non ne sono a conoscenza, Alessandro. Comunque condoglianze anche se in ritardissimo.

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  3. sì, sono cose molto personali e poche volte ne ho parlato su internet... il ritardo è stato prima di tutto da parte nostra, nel capire molte cose che sarebbero potute andare diversamente 😔

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