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domenica 28 novembre 2021

CIMARRON

933_CIMARRON ; Stati Uniti, 1960; Regia di Anthony Mann. 

Nelle considerazioni che si possono fare in merito a questo film, non aiuta certo il fatto che il regista sia un asso come Anthony Mann. Mann ha al suo attivo alcune pellicole di assoluta eccellenza per il genere western e per il cinema in senso assoluto: vengono subito in mente i film col sodalizio con James Stewart, ma non solo. Purtroppo Cimarron è un film che non raggiunge nemmeno la sufficienza, in senso compiuto, come opera; si potrebbe ben definirlo un film brutto. Questo viene da dire a botta calda, subito dopo la visione; smaltita la delusione, possiamo anche valutare le cose positive che ci sono nell’opera, che ci ricordano il talento del regista americano. La prima ora è buona, c’è una solida impostazione, sebbene la melassa sentimentale affiori già qua e là. Notevole però lo spunto storico della corsa alla terra dell’Oklahoma; poi ci sono le classiche scene alla Mann, con la tensione che sale fortissima, le varie scazzottare, le ingiustizie ai danni dell’indiano, l’impiccagione dello stesso, i divertimenti da prepotenti dei bulli del paese, la resa dei conti nella scuola. Oltre che il titolo del film, Cimarron è il soprannome di Yancey Cravat (Glen Ford) che è il classico raddrizza torti dei film western; niente di originale ma è comunque un tema classico. Glen Ford non ha la presenza scenica di John Wayne o James Stewart ma, a suo favore, va detto che è un eroe più moderno, meno granitico. Il vero danno, nella storia raccontata dal film, è che si innamora di una delle donne più insulse della storia del cinema, ovvero tal Sabra (una scialba Maria Schell), che prende via via più importanza nell’economia della vicenda, mandando a gambe all’aria ogni pretesa di mantenere un minimo interesse sulla questione. La donna passa il tempo a contestare le scelte del marito e del figlio avanzando pretese, salvo poi commuoversi nel ricordare i tempi perduti. Una melassa senza capo né coda che si protrae per ben 147 minuti, di cui salvare appunto solo la prima oretta citata prima, non eccelsa ma comunque di altro tenore. Peccato veder coinvolta anche Anne Baxter in un simile pasticcio, per altro a sua volta in una parte per nulla memorabile. A livello di struttura, il film parte con un forte riferimento storico (la suddetta corsa alle terre dell’Oklahoma) e rimane legato a quel periodo per tutta la prima fase; poi, pian piano il tempo della narrazione si dilata fino a coprire uno spazio temporale enorme che va dalla fine dell’epoca del vecchio west alla Grande Guerra. E, purtroppo, anche questa difformità nella struttura temporale della narrazione non giova alla riuscita dell’opera. Va detto che, almeno stando ad alcune voci, Mann sia stato ostacolato in alcune scelte e, da un certo punto in poi, si sia disinteressato alla realizzazione del lungometraggio. Curiosamente, in definitiva, il film riesce, anche se in modo probabilmente involontario, a dare comunque uno spunto di riflessione interessante. Finale del film, l’allegra combriccola di Osage, la città ormai cresciuta, vuole celebrare lo spirito del pioniere con una statua di bronzo che raffiguri Cimarron (ma solo perché la moglie, scelta in prima istanza, ha rifiutato di essere immortalata!): non è più tempo per l’epica dei film di Mann con Jimmy Stewart, adesso per celebrare il Mito del Far west si ricorre ad un pacchianissimo monumento. Oltre alla mancanza dei valori (dispensata a piene mani nel film in ossequio al pragmatismo yankee), anche la mancanza di gusto. Terribile. 






Maria Schell




Anne Baxter 


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