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mercoledì 24 novembre 2021

NON APRITE QUELLA PORTA

931_NON APRITE QUELLA PORTA (The Texas chain saw massacre); Stati Uniti, 1974; Regia di Tobe Hooper.

Trattandosi di un film che ha quasi mezzo secolo, non si dovrebbe incappare in rischi di spoiler che rovinino l’eventuale visione. Tuttavia meglio essere cauti: la cosa forse più interessante in Non aprite quella porta, film cult di Tobe Hooper, è il finale. Quindi, se non avete ancora visto il mitico e imprescindibile film del 1974, sappiatevi regolare.
Il punto chiave è: si può davvero dire che siamo di fronte ad un lieto fine, eventualmente anche solo parziale? Dei cinque ragazzi protagonisti involontari e passivi del famoso massacro della motosega del Texas (dal titolo originale The Texas chain saw massacre), sopravvive la sola Sally (Marilyn Burns). Non è certo il primo caso, anche solo rimanendo in terreno cinematografico, che ci sia un solo superstite ad una tragedia; in genere, chi la scampa si trova combattuto da due differenti e contrapposti stati emotivi. Da una parte c’è il sollievo per essere in salvo, dall’altro il dispiacere per la perdita di amici, parenti o conoscenti; inoltre l’adrenalina causata dalla paura necessita di tempo per defluire. Ciononostante, almeno per quel che riguarda lo spettacolo cinematografico, di norma la gioia per lo scampato pericolo basta per gettare una luce positiva sul finale. Osservando la risata nevrotica di Marilyn Burns coperta di sangue, tutto si può invece pensare tranne che il suo personaggio, la Sally di Non aprite quella porta, possa vedere qualcosa in ottica benevola. Certo, c’è una forma di soddisfazione nel non essere caduta vittima di Faccia di Cuoio, (o Leatherface, come in seguito è stato chiamato anche nelle edizioni italiane il personaggio, interpretato qui da Gunnar Hansen), una specie di rivalsa che si unisce al semplice istinto di sopravvivenza che, nella povera giovane, ha finalmente libero sfogo nella sequenza conclusiva. 

La ragazza non sembra, in quel momento, essere in grado di superare il trauma: il che potrebbe anche essere normale, in medicina o comunque in ambito scientifico. Ma Non aprite quella porta è un film horror, un film di genere, mica un trattato documentaristico; e in un film dell’orrore ci si aspetta che se ti salvi, dovresti essere perlomeno soddisfatto; comunque più soddisfatto per la tua salvezza, in maniera anche egoistica, d’accordo, di quanto tu possa essere addolorato per le perdite dei compagni di avventura. Oh, insomma, perlomeno nel momento in cui la tua salvezza si concretizza ci si aspetta un moto di sollievo! Che proprio non c’è nel film di Hooper. E la cosa migliore del film, forse, è che la risata isterica di Sally, mentre si allontana dall’orrore, la sentiamo davvero nostra. 

Perché Non aprite quella porta non è il classico film dell’orrore sulla famiglia di pazzi che si diverte a massacrare i viandanti per cui se si riesce a fuggire è la salvezza. Cioè, è sostanzialmente quello, una storia su una famiglia di folli cannibali ma Tobe Hooper non vuole raccontarci che nelle aree retrogradi degli Stati Uniti (e, quindi, del mondo, visto che il cinema di Hollywood è un cinema universale) ci siano sacche di violenza immotivata. Hooper ci dice un’altra cosa, e la dice sin da subito, sin dall’intro ma soprattutto sin da quelle parole, totalmente sconnesse alle immagini, che provengono dalla radio: è il mondo intero ad essere una sacca di violenza immotivata. 

Mentre i cinque giovani stanno viaggiando nella lussureggiante campagna americana per andare alla casa di famiglia di Sally e Franklin (Paul A. Partain), suo fratello disabile, dagli altoparlanti del pulmino la voce del notiziario racconta ogni tipo di efferatezza senza fornire mai alcuna motivazione che la giustifichi. Persino l’asettico crollo di una palazzina, che produce comunque morte in notevole quantità, è lasciato senza risposte dai tecnici responsabili della costruzione edile. Non serve, quindi, imbattersi nella famiglia di pazzi cannibali più famosa del cinema per trovare l’orrore: l’orrore è ovunque. Non è forse un orrore indicibile il modo in cui si macellavano le bestie nel mattatoio, a colpi di martello? E si può dire davvero superata la cosa, ora che si abbattono con un punteruolo pneumatico? 

Il tema del macello è in effetti strettamente collegato alla trama del racconto visto che il nonno dei due ragazzi in questione vi lavorava e anche l’altro patriarca, quello mostruoso (Nonno Sawyer interpretato da John Dugan), era un veterano di quella professione e nel corso del film si cimenta con l’antico sistema cercando di ammazzare a martellate la povera Sandy. La scena è quasi comica, tanto che il grottesco nel registro di Hooper fa costantemente irruzione anche solo per le movenze e gli atteggiamenti di Faccia di Cuoio, Nubbins (Edwin Neal), Drayton (Jim Siedow), insomma della famiglia Sawyer, nonno ovviamente compreso. In verità Tobe Hooper mette in primo piano anche un altro tema: quello astrale. 

Dai titoli di testa incendiati dalle fiamme della superficie solare, alle inquadrature dello stesso sole, della luna, alla lettura dell’oroscopo che fa continuamente Pam (Teri McMinn), si potrebbe pensare che ci sia un collegamento col Destino, che la sorte dei nostri sia segnata sia dal principio. In realtà, i segni, li producono ben più prosaicamente i Sawyer: a cominciare da Nubbins, l’autostoppista, già segnato da una voglia sul volto che oltretutto prima si segna una mano, tagliandosela, poi segna allo stesso modo Franklin sul braccio, infine marchia col suo sangue il pulmino dei gitanti con quello che gli stessi ragazzi interpretano come una sorta di segnale malaugurante. Il Destino non è nelle mani degli astri, quindi, ma in quelle degli esseri umani. 

Piuttosto, il rapporto tra uomini e corpi celesti sembra dirci che rispetto all’inaccessibilità e alla lontananza degli astri, le differenze sulla terra, tra chi macella viandanti e chi cagiona la morte di ignari inquilini per noncuranza e scarso senso di responsabilità, sembra davvero minima. Ah, va anche detto che per far questo Hooper produce un film disturbante che, pur avendo una trama prevedibile oltre ogni dubbio (il racconto è di fatto anticipato da una voce narrante in apertura) le particolari inquadrature della macchina da presa e le movenze dei personaggi, in primis la schizzata rapidità di azione di Faccia di Cuoio, e non da ultimo l'originale ricchezza del bizzarro decor di casa Sawyer, spiazzano e sorprendono costantemente. Il che sembra la concretizzazione cinematografica di un concetto espresso anche dal film stesso: anche se pensiamo di aver già la consapevolezza che il mondo sia un posto ben poco raccomandabile, non per questo possiamo dirci al sicuro. Oltre a ciò, Non aprite quella porta ci dice che, dovessimo anche salvarci, non ne usciremo certo puliti e sollevati.   




Marilyn Burns




Teri McMinn



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