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sabato 6 novembre 2021

WAR HORSE

922_WAR HORSE . Stati Uniti, Regno Unito, 2011; Regia di Steven Spielberg.

All’inizio di War Horse, il film di Steven Spielberg, c’è la scena del parto di una cavalla. Il puledro che vediamo nascere è Joey, ovvero quello che sarà, nella finzione, il protagonista del film. Sono scene sempre emozionanti: quando l’animale è dunque nato, si fatica a distinguerne le sembianze; ma pochi attimi dopo è già in grado di alzarsi in piedi. Nonostante sia una cosa abbondantemente risaputa, l’aggettivo che balza in mente, vedendo quello che accade è sempre incredibile. E’ un modo di dire, naturalmente, troppo spesso usato fuori luogo, per la verità. Però di fronte al mistero della vita, alla capacità degli esseri viventi di compiere atti prodigiosi, come reggersi in piedi senza che nessuno te lo abbia ancora insegnato, si rimane stupefatti; increduli, appunto. E questo è il biglietto da visita che presenta il protagonista di War Horse: alla luce del quale è quasi sorprendente come in molti abbiano notati i tanti, forse anche troppi, errori disseminati da Spielberg nel suo film. Ma come, dopo aver ammirato la magia della vita, che è del tutto irrazionale, c’è chi contesta che le mitragliatrici tedesche siano puntate ad alzo zero ma non colpiscono i cavalli ma solo i loro cavalieri? O si obietta sulla disposizione del campo tedesco, sguarnito sul fronte ed incomprensibilmente protetto dalle suddette mitragliatrici posizionate in retrovia? O si notano le case del villaggio in pietra, quasi ostentate dalla macchina da presa, che non sono affatto tipiche dell’area del Devon, il luogo dove comincia la vicenda? E poi la battaglia, le armi, gli stemmi, le maschere antigas; perfino una canzone che si ascolta nel film è sbagliata. 

E dire che Spielberg si pavoneggia di quanto ha piazzato sullo schermo: c’è un minimo ricorso alla computer grafica, a suo dire, il resto di quanto si vede è stato girato dal vero. Ma se dobbiamo interpretare alla lettera quanto visto, seguendo in un certo senso le parole del regista, ci sarebbe anche da mettersi le mani nei capelli, considerato le tante sviste di cui trabocca la pellicola. Non se, anziché ascoltare le sue parole, guardiamo piuttosto le sue immagini, quelle che, insieme agli errori, ci sono in War Horse; anzi, meglio, quelle che lo aprono, come una vera e propria chiave, quelle citate della meravigliosa nascita del puledro. Il cavallo è uno dei più utilizzati simboli di forza e vitalità, basti pensare che l’horsepower è un’unità di misura della potenza. 

La sua bellezza, la sua naturale espressione di energia, lo hanno eletto spesso a protagonista in questo senso anche al cinema: se c’è di mezzo Spielberg può venire in mente Spirit – Cavallo Selvaggio (2002) prodotto dalla DreamWorks Animation, lo studio fondato dal regista nato a Cincinnati. E War Horse è la celebrazione dello spirito della vita: la nascita di Joey, il puledro, la sua crescita, l’amicizia con Albert Narracott (Jeremy Irvine), il suo approdo al fronte e tutte le traversie che l’accompagneranno fino al ritorno a casa, in Inghilterra. Il protagonista del film, il cavallo, fa quindi un percorso circolare, tornando cioè da dover era partito; del resto, come simbolo della vita e del suo ciclo, la sua strada non può che seguire quella via. 

Il concetto è rimarcato in più modi da Spielberg: un’asta apre in un certo senso la storia del cavallo, e un’altra asta ritorna in chiusura; l’animale di proprietà inglese passa in mano tedesca, ha una parentesi francese, per ritornare a quella tedesca e poi inglese; il vecchio (Niels Arestrup) ritorna a sua volta, alla ricerca di qualcosa di Émilie (Céline Buckens), interpretando in modo corretto, se vogliamo, il ruolo del cavallo, simbolo di vita e quindi adatto a far rivivere il ricordo della nipote. Joey è infatti un simbolo ma ha un concreto influsso benefico per chi gli sta attorno, tanto che istiga un’amorevole cura dalle persone a lui vicine mentre non ne riceve alcun riflesso positivo chi lo considera unicamente come un mezzo, ad esempio Mr Lyons (David Thewlis) o il sottoufficiale tedesco. 

Quest’ultimo, insieme a molti altri rappresentati graduati dei due eserciti, incarna la vera matrice della guerra: quella che cerca di imbrigliare, imprigionare, soggiogare ogni impulso di libertà, ogni anelito di voglia di vita. La scena di Joey aggrovigliato nel filo spinato della terra di nessuno tra le due trincee è abbastanza esplicita in tal senso. Occorre una volontà comune, nel caso sia inglese che tedesca, per ridare libertà al cavallo, ovvero per liberare il mondo dalla schiavitù della guerra. I due militari che risolvono la contesa su chi debba tenersi l’animale, una volta liberatolo dal reticolato, a testa o croce, sono un’altra dimostrazione di come, se ci si pone il bene della vita (in questo caso di Joey) come obiettivo supremo, non lo si metterà mai a rischio in uno scontro violento. 

Anche il nonno, che cede il cavallo quando comprende che il soldato Narraccott ne era davvero il vecchio padrone, comprende che c’è qualcosa di superiore al diritto di proprietà. L’anziano francese si era assicurato la proprietà di Joey vincendolo all’asta, quella del finale: ne era quindi il proprietario legittimo. Ma le due aste viste nel film forse non a caso ne inaugurano e chiudono il periodo bellico: perché la loro matrice è una evidente espressione della violenza intrinseca nel nostro sistema economico, assai simile ai metodi di guerra. I soldi sono infatti utilizzati come una forma di sopraffazione né più né meno degli armamenti in battaglia. Il nonno che cede il cavallo su cui detiene il legittimo diritto di proprietà comprende che l’utilizzo del denaro in questo senso non favorisce la pace e la libertà per le quali si è combattuto. Spielberg ha sempre una visione ottimista e nel film anche David, il figlio di Lyon (Robert Emms) che si offre, in qualità di ufficiale, come proprietario di facciata per agevolare il trasporto in Inghilterra di Joey, è un’altra controversia che si spiana. Il regista ama far commuovere, e ci riesce, e ama chiudere sempre in modo positivo ma, gli va dato pienamente atto di questo anche con War Horse, sempre in modo costruttivo. Del resto War Horse, cavallo da guerra, nonostante il prestigio storico della cavalleria in ambito militare, è un ossimoro: il cavallo è simbolo di libertà e di vita e piegarlo agli scopi bellici è un oltraggio a cui andava posto un minimo rimedio.   



Emily Watson


Celine Buckens

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