924_LE COLLIER ROUGE . Francia, Belgio, 2018; Regia di Jean Becker.
Tipico gioiello della scuola francese (nello specifico, l'opera è franco/belga) colpevolmente ignorato in Italia, Le
collier rouge è un film girato con rara perizia narrativa da Jean Becker. La
sua regia è discreta, funzionale, eppure il film ha una confezione formalmente
adeguata al testo, che è il vero punto forte dell’opera. Il racconto, pur
mostrandosi come un dramma sulla Prima Guerra Mondiale e i suoi
risvolti, si dipana come una storia misteriosa, con colpi di scena narrativi
degni del miglior giallo. Non manca, anzi è uno dei fulcri della vicenda, la
storia d’amore i cui passaggi sentimentali sono però sagacemente stemperati con
la funzionale presenza del cane, altro perno attorno al quale ruota il
racconto. Il titolo del film, che rimane incomprensibile fino al colpo di scena
finale, fa riferimento proprio al cane senza nome che si è appostato fuori
dalla prigione militare in un piccolo paesino francese. Dentro è rinchiuso
Morlac (Nicolas Duvauchelle), suo padrone (o meglio, compagno della sua
padrona) in attesa di giudizio per oltraggio alla patria. Di quella guerra
mondiale finita da poco, Morlac era però un soldato decorato sul campo di
battaglia con la Legion d’onore; giudicarlo non era quindi cosa da
prendere alla leggera. Il comandante Lantier (François Cluzet, bravissimo)
arriva appositamente per studiare il caso e prendere una decisione nel merito,
se condannare o meno l’imputato. Le indagini del vecchio ufficiale scavano sia
nella vita privata di un recalcitrante a collaborare Morlac, sia nella sua
esperienza in prima linea durante la guerra.
Il cane, a questo punto, non
sembra poi un elemento così essenziale nel racconto: d’accordo, c’è l’aspetto
bizzarro del fatto che seguì Morlac in guerra, diventando a sua volta una sorta
di combattente francese, ma pare più che altro un elemento coreografico. Come
detto, Le collier rouge ha la costruzione narrativa di un giallo e,
infatti, proprio sul più bello, il cane ci sorprende determinando la svolta
cruciale nel racconto in flashback di Morlac. Fronte orientale, i russi
sono affiancati ai francesi fronteggiando i bulgari; tra i primi serpeggiano i
moti rivoluzionari che finiscono per contagiare non solo gli alleati ma
addirittura anche i nemici. Si decide quindi di dare il via ad una sorta di insurrezione
internazionale nel nome della fratellanza dei popoli: all’ora stabilita, tutti
e tre gli schieramenti escono dalle trincee per cantare insieme.
Il cane, che
fino a quel momento aveva combattuto chi proveniva dalla trincea opposta,
fraintende la situazione e scatena il finimondo: a Morlac verrà attribuito il
merito, e la decorazione, per la gloriosa offensiva in campo aperto. Se il
soldato, in un primo momento prende in odio il suo animale che per aver mandato
in malora i suoi progetti pacifisti, in seguito si rende conto che, in fondo,
il cane aveva fatto solo il suo dovere di soldato, ed era quindi lui ha
meritarsi quella Legion d’onore che avevano erroneamente affibbiato a
lui. I politici, gli alti ufficiali, vogliono semplicemente bestie per fare le
loro inutili guerre e il comportamento adeguato del cane ai loro dettami ne era
la prova: grazie all’abilità narrativa di Becker, questi aspetti metaforici del
racconto non vengono sviliti una volti esposti esplicitamente, dalle parole di
Morlac, che li sputa in faccia a Lantier senza mezzi termini. Il comandante,
però, non è solo un uomo saggio e comprensivo ma possiede soprattutto il fiuto
del detective e comprende che questa spiegazione, per quanto funzionale, non
basta a giustificare il comportamento di Morlac. Per la verità, questa
graffiante zampata funziona egregiamente come riflessione sulla guerra ma ha
una logica maggiore al di qua dello schermo. Dentro al racconto, a
Morlac, in fondo, Lantier chiede unicamente di dare una minima pezza
giustificativa al suo gesto irriguardoso senza la quale la condanna sarebbe
inevitabile. Ma Morlac non cede. Almeno finché non saltano fuori, e qui ritorna
l’abilità di giallista di Becker, alcuni risvolti, rivelati con precisa
tempistica, della storia sentimentale che pian piano emerge e si intreccia alle
indagini.
Protagonista è la splendida Sophie Verbeeck nei panni di Valentine,
la citata padrona del cane: la capacità di dosare la sua presenza e in generale
quella delle beghe amorose, peraltro, come detto, cruciali nella risoluzione
della storia, è un altro aspetto che depone a favore de Le collier rouge. Il
film di Becker non diviene mai un drammone sentimentale e nemmeno scivola nella
favola animalista vista la presenza del simpatico cagnolone. Le collier
rouge è un superbo film che racconta come, alle volte, dietro a forti prese
di posizione ci siano unicamente motivi strettamente personali e si ricorra all’ideologia,
alla fede politica o ad altri temi altisonanti, arrivando per questo a pagare
sulla propria pelle, pur di nascondere la verità. E non sempre c’è un cane che,
con il suo sincero abbaiare, come nel finale de Le collier rouge, possa
aiutarci.
Sophie Verbeeck
Si direbbe un finale migliore di quello del 90% dei film francesi, che spesso mi lasciano deluso proprio per i loro finali incompleti...
RispondiEliminaIncompleti o sospesi?
RispondiEliminanon lo so... 🤷🏻♂️
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