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lunedì 17 agosto 2020

ACCADDE A LISBONA

618_ACCADDE A LISBONA ; Italia, 1974Regia di Daniele D'Anza.

Sceneggiato in tre puntate per un totale di 200 minuti, Accade a Lisbona, scritto da Luigi Lunari e diretto da Daniele D’Anza, è l’ennesimo esempio di come la RAI, la rete televisiva nazionale italiana, a suo tempo avesse una notevole capacità di produrre opere tra loro eterogenee mantenendo un elevato tasso qualitativo. Accadde a Lisbona è basato sulla vicenda dello Scandalo della Banca del Portogallo del 1925, che vide il personaggio storico di Alves Reis organizzare una delle più clamorose truffe del secolo. Lo sceneggiato di Lunari e D’Anza parte un po’ in sordina, sostanzialmente nel primo episodio, ma già verso la fine di questo ha catturato l’interesse dello spettatore. Nel resto del racconto filmico l’attenzione non andrà mai più scemando e, semmai, si può rimpiangere che l’epilogo arrivi troppo in fretta, sebbene questo sia legato alle vicende storiche a cui i narratori si attengono abbastanza scrupolosamente. Rispetto ad altri prodotti simili dell’epoca, il soggetto all’origine di Accadde a Lisbona ha alcune peculiarità che gli autori riflettono poi nelle scelte narrative e registiche per un risultato finale assai singolare ma nel complesso convincente, nella migliore tradizione RAI. 
Chiamato non soltanto ad essere il protagonista della storia ma a fungere da vero e proprio mattatore è Paolo Stoppa, un attore di grandissima esperienza non solo in campo cinematografico ma anche teatrale. E alla sua verve da palcoscenico Stoppa fa appello per recitare il ruolo di Alves Reis, il truffatore della nostra storia: il personaggio avrebbe una trentina d’anni mentre l’attore romano quasi settanta, ma la sua istrionica performance regge praticamente da sola la storia. La scelta di un attore così ingombrante è ben sfruttata dal regista Daniele D’Anza: a Stoppa, in borghese, sono affidate anche le introduzioni ai tre episodi e una sorta di epilogo, nei quali l’attore dà un minimo di indicazioni per comprendere le coordinate per una storia interessante ma abbastanza estranea ai canoni dell’abituale narrativa di intrattenimento. Con l’interprete del personaggio principale in una veste più contemporanea immerso in una Lisbona degli anni settanta mentre fornisce alcune delucidazioni sulla vicenda, la credibilità della storia viene così alimentata. Ed è un’impressione corretta, perché lo sceneggiato RAI segue abbastanza fedelmente gli incredibili avvenimenti che portarono Reis e i suoi collaboratori a stampare in modo privato un centinaio di milioni di escudo portoghesi; banconote tecnicamente non false, quindi, visto che furono realizzate dallo stesso fornitore che abitualmente aveva l’incarico di produrle per la Banca del Portogallo.
Come detto la storia è incentrata su un Paolo Stoppa in gran spolvero, che si prende i suoi tempi e spesso dialoga con la telecamera, riflettendo sui quei passaggi che gli sono necessari per imbastire una truffa così colossale. Ad affiancarlo, in tono certamente minore (il che, in questo caso, non può certo essere un demerito), Paolo Ferrari, Enzo Tarascio, Roberto Brivio, tra gli altri. Maria Fiore, nei panni di Maria Luisa, moglie di Reis, è l’unica presenza femminile di un certo rilievo, ma non è che la vicenda gli conceda poi questo grande spazio. D’altra parte si è già ripetuto, il racconto è abbastanza fedele agli eventi e gli autori decidono di rispettarne anche quegli aspetti, come il ruolo avuto dalle donne nella storia, che in altri casi si sarebbero potuto invece accomodare in linea con la consuetudine narrativa della televisione. Insomma, dando un po’ più di corda a qualche intreccio amoroso; ma il punto più sorprendente della coerenza alla realtà storica di D’Anza e Lunari è un altro e di ben altra portata. Perché a mancare, nel loro sceneggiato, è soprattutto il cosiddetto quadro morale: d’accordo si parla di soldi equando ci sono di mezzo loro si sa che è dura mantenere la barra dell’onestà dritta ma la RAI non aveva mai nascosto la sua natura educativa. Che, volendo, è presente in modo esplicito anche in Accadde a Lisbona, nel momento in cui l’emittente riporta in luce un evento storico tanto importante quanto misconosciuto. Però nel racconto manca completamente una figura a cui far riferimento in senso etico, il classico eroe, insomma e, in alternativa, manca anche un narratore esterno che funga un po’ da grillo parlante. In questo ruolo è chiamato addirittura Stoppa che, seppure si mantenga abbastanza distaccato nelle introduzioni agli episodi, è pur sempre lo stesso che è protagonista del racconto nella parte del truffatore.
Ma attenzione: non è che la RAI faccia un elogio alla furbizia che tante altre volte si è visto al cinema di casa nostra, soprattutto nella commedia; qui ci si attiene ai fatti e, semmai, c’è un approccio adulto e rispettoso della maturità degli spettatori che sono chiamati a trarre da soli la morale della favola. Un aiuto, in questo senso, è affidato alle canzoni di Fie Carelsen (Marisa Bartoli) ma per contrasto, visto che la sua interpretazione nel cabaret è uno spudorato inno al potere del denaro. Del resto la vicenda è ambientata nei ruggenti anni venti che, con la loro folle euforia finanziaria, portarono il mondo alla catastrofe finanziaria del 1929. E, proprio ascoltando le parole della cantante, Reis riflette su come ci sia poca differenza tra sfondare una banca (per rapinarla) e fondarla, coagulando in modo dichiarato la vena critica che corre lungo tutta la vicenda in modo implicito. Curiosamente, in un’opera che sembra scegliere di non esporsi sugli aspetti morali della vicenda, è proprio la finzione nella finzione a manifestarli, sebbene, come detto, rovesciati nel senso. Ha naturalmente torto l’austera Fie così come si sbaglia anche Reis nella sua riflessione guardando nell’obiettivo della telecamera; il denaro non dà la felicità e nemmeno si può pensare che le banche siano un covo di poco di buono. Alla fine la truffa viene smascherata in modo abbastanza banale, come in fondo è, se non banale perlomeno ovvia, anche la morale di tutta quanta la storia: ma, un po’ nella scia dello sceneggiato, lo è talmente che si può lasciare anche implicita.
Maria Fiore
     

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