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martedì 24 agosto 2021

L'UOMO CHE AMO' GATTA DANZANTE

877_L'UOMO CHE AMO' GATTA DANZANTE (The Man Who loved Cat Dancing). Stati Uniti, 1973; Regia di Richard C. Sarafian.

Nel 1971, in Uomo bianco va’ col tuo Dio, il regista Richard C. Sarafian si era occupato della vicenda di un trapper abbandonato in mezzo alla natura selvaggia delle montagne nordamericane. Quel film, certamente valido e interessante, era attraversato da due temi: il passato che ossessiona i due personaggi principali e il muoversi in un contesto estraneo e ostile. Forse, più che l’idea di un rinselvatichito Richard Harris, protagonista nei panni del trapper, è rimasta  memorabile soprattutto la scena della barca montata su ruote che attraversa il paesaggio del west. Il curioso mezzo di locomozione dà concreta forma al passato del personaggio di John Huston e, unitamente al rimorso, non lo abbandona nemmeno durante la spedizione tra mille pericoli. Come detto, i temi portanti erano quindi quelli del passato che ossessiona e quello di un elemento costretto in un ambiente ostile ed estraneo. Con L’uomo che amò Gatta Danzante Sarafian si muove ancora su questi argomenti: una persona civilizzata in un ambiente selvaggio che, attraverso queste difficoltà, ha l’opportunità di svincolarsi dal proprio passato. Anche qui i problemi non derivano soltanto dalla natura selvaggia che, per quanto crudele, ha comunque una sua dignità, ma dalla barbarie dell’uomo civilizzato. La povera Mrs. Catherine Crocker (un’elegante, delicata ma insospettabilmente energica Sarah Mills), facoltosa ragazza di città, si trova coinvolta nella fuga di quattro rapinatori di treni. Siamo in piena epoca del far west ed una elegante signora che si aggira lungo la ferrovia, in una zona desertica dove non ci sono stazioni o siano previste fermate, è chiaramente fuori luogo; come appunto il personaggio di Mrs. Croker lì e nel proseguo della storia. La motivazione che ha portato la donna precisamente in quel posto è un po’ esile: la donna si sarebbe persa, almeno stando alle parole del marito. Difficile da credere, visto che ci si trova in pieno deserto ma, in ogni modo, la mancanza di un pretesto che si sembri comprensibile amplifica l’effetto straniante di vedere un’elegante signora, con tanto di ombrellino para sole, nel bel mezzo di una feroce rapina al treno. In realtà, l’ex capitano Jay Grobart (l’aitante Burt Reynolds) avrebbe voluto un lavoretto liscio liscio, ovvero senza lasciare cadaveri ma, un po’ gli imprevisti e, soprattutto, la feccia che si è tirato appresso, mandano a monte i suoi piani. 

Il morto ci scappa e le cose si complicano quando uno dei suoi uomini, Billy (Bo Hopkins), si trascina dietro la donna, presente per sbaglio sul luogo della rapina, nella fuga. Billy è un elemento pessimo, quasi pari a Dawes (Jack Warden), questi una carogna di prima categoria, e costituiscono la feccia di cui si è detto. Il quarto del gruppo è l’indiano Charlie (Jay Varela) che non ha colpe specifiche se non quella di seguire Jay anche quando questi decide di rapinare un treno. C’è quindi ancora qualcosa di fuori posto, nei presupposti di questa vicenda: nelle storie del west non è particolarmente strano che un ex capitano come Jay finisca a fare il delinquente ma lascia perplessi vederlo farsi accompagnare da simili pendagli da forca come Billy o Dawes. E’ in fondo la stessa perplessità sia di Dub (Ricard Donner), il vecchio sottoposto del capitano, che di Harvey Lapchanche (il grande Lee J. Cobb), incaricato dalla Wells Fargo di inseguire i fuggitivi. C’è quindi una donna ricca trascinata in fuga da una banda di fuorilegge il cui capo è un elemento anch’esso di natura estranea alla situazione. I cinque, i quattro della banda e la donna, sono comunque esponenti della civiltà americana che si avventura in un contesto selvaggio, in pieno territorio indiano. Il film ha qualche crudezza ma nemmeno accentuata considerato che la povera Mrs. Crocker passa un sacco di tempo in compagnia di animali quali Billy o Dawes. Tutto sommato Sarafian non indugia sulle prevedibile sponde erotiche che la situazione suggeriva aiutato, in questo, dalla presenza di una mastino come Burt Reynold. 

Il capitano Jay da lui interpretato è una garanzia che alla donna verranno risparmiate un bel po’ di grane anche se, qualche cosa, giocoforza ci scappa. Ma una volta rimasti soli, nella fuga, ai due personaggi protagonisti viene un po’ naturale fare il bilancio tra la vita precedente e quella che gli si para d’innanzi. Catherine è sposata ad un uomo che non ama, che ha accettato in marito unicamente per denaro; adesso è sola insieme ad un altro uomo, Jay. Il quale è vedovo, ha noie con la legge, poco da offrire ma ha dimostrato alla donna di essere in gamba e di portarle  rispetto (cosa per niente scontata nell’epoca del far west). In ogni caso la trama si snocciola andando a parare dove era prevedibile, seppur nel tragitto il film si mantiene interessante. Mrs Catherine alla fine si innamora dell’ex capitano che, stupito dalla tempra della donna che in più di un’occasione tira fuori gli artigli, ricambia volentieri. Un ritorno alla natura selvaggia, un tuffo fuori dalla civiltà, dagli interessi per il denaro, per l’agiatezza, vale la riscoperta dell’amore, questo in sintesi quanto capita alla donna, vera protagonista della storia. Che, in un western, può sempre avere un significato simbolico sui destini della nazione. Ma, e la prima moglie di Jay, Gatta Danzante, alla quale aspetta addirittura la citazione nel titolo del fim? E’ morta, stando alle parole dell’uomo. E, allora, se il western è il cinema che racconta della nascita dell'America, forse con lei sono morte anche le speranze che gli indiani abbiano un qualunque posto nella società americana, verrebbe da dire. E, in fondo, gli indiani ne L’uomo che amò Gatta Danzante, per essere un western, hanno un ruolo già molto marginale. Forse unicamente quello di dare forma concreta al rimpianto di una vita più libera e selvaggia. 




Sarah Miles










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