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mercoledì 18 agosto 2021

PAISA'

874_PAISA' Italia, 1946; Regia di Roberto Rossellini.

Se il precedente Roma città aperta poteva in qualche modo essere inteso come un testo costruttivo, nell’ottica di mostrare l’Italia come un paese che cercava di superare il tragico momento storico disconoscendo il suo essere (stata) fascista, con Paisà Roberto Rossellini ci riporta coi piedi per terra. Il film è strutturato in sei episodi, e già questa è una scelta significativa e dimostra come per rendere un quadro un minimo attendibile del paese non si possa utilizzare un unico racconto, ma ne servano svariati e differenti. Un film frammentato per un paese frammentato; paese e non nazione: non a caso, i sottotitoli vengono usati non solo per i soldati alleati o tedeschi, ma anche per gli stessi italiani che, non essendo nazione, non parlano tutti la stessa lingua. Ma quello della lingua, in fondo, è solo un dettaglio: l’Italia nel suo profondo è un paese disperato e senza futuro. Che speranza possono avere gli abitanti siciliani del primo episodio, quando la sola ragazza che si presta ad aiutare gli alleati pagherà con la vita ma verrà ricordata come una traditrice sia dai suoi concittadini che dai soldati americani? E quale il bambino napoletano, che vede il militare di colore rinunciare addirittura alla funzione educativa (i rimproveri per il furto della scarpe) di cui si era volontariamente fatto carico, una volta visto che i quartieri partenopei sono ben peggiori della miseria della baracche dove viveva in America? E quale speranza può coltivare Francesca, la giovane romana, che in fin dei conti prova ad ingannare Fred, il soldato americano, cercando di non farsi riconoscere tra le ragazze di vita e di recuperare (in modo posticcio) la propria verginità? 

Fred non la riconosce a livello individuale ma la riconosce per quello che è (e che rappresenta: l’Italia). Una ragazza che ha svenduto la propria innocenza e che, all’occorrenza, prova a ingannare il prossimo pur di recuperare una parvenza di onestà. Senza riuscirci. E che speranza può esserci se il paese dell’arte si è messo a far la guerra, proprio come il Lupo, il pittore di Firenze? O per il paese custode della Chiesa, i cui però più devoti rappresentanti non riescono ad accettare tra loro la presenza di sacerdoti di altre dottrine?
Nessuna, naturalmente. 
Vedendo, nell’apertura del sesto capitolo, il cadavere che scorre nel Po, il grande fiume del paese, verrebbe da pensare che non sia solo quello di un partigiano, ma anche quello della stessa Italia. Ma l’episodio è solo all’inizio, e poi verrebbe a mancare il famoso tema dell’attesa, tanto caro a Rossellini.

Quell’attesa sempre delusa per i protagonisti di Paisà: il finale di ogni episodio ha sempre un sapore amaro, compreso quello dei frati, incapaci di accettare intimamente l’altro. Ma l’ultimo paragrafo del film è quello forse con l’ambientazione più congeniale alle tematiche dell’autore romano, con il grande fiume che scorre lento accompagnando, insieme alla lugubre musica, i protagonisti, un gruppo di soldati americani fiancheggiati dai partigiani, che cercano scampo verso il mare. Ma prima che possano giungervi, arrivano i tedeschi: e allora gli americani imprigionati in casa, con l’ufficiale tedesco ad offrir loro da bere e a parlare e a capirsi nella stessa lingua, pur essendo di nazioni diverse; cosa che, nel film, quando ci sono di mezzo gli italiani, è sempre mostrata come più difficoltosa. Parlare discutendo di cose comuni, come delle grandi stufe che scaldano le case in legno in Germania, ma finendo, inevitabilmente, per esaltare l’orgoglio nazionale teutonico. Gli italiani, sorvegliati dai mitra, fuori, al freddo, come bestie.
Il giorno dopo, il mare: per i partigiani, nessuna possibilità, gettati nell’acqua fonda con le mani legate dietro la schiena.
L’attesa è davvero finita; e con lei le speranze dell’Italia.




Maria Michi


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