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giovedì 26 agosto 2021

IL COMPLOTTO DI LUGLIO

878_IL COMPLOTTO DI LUGLIO . Italia, 1967; Regia di Vittorio Cottafavi.

A volte indicato come Operazione Valchiria, l’attentato a Hitler del 20 Luglio del 1944 è alla base del film per la Tv di Vittorio Cottafavi Il complotto di Luglio. Il regista nato a Modena aveva una buona esperienza sia in campo cinematografico che televisivo da cui, probabilmente, attinse per impostare una produzione che, se era perlopiù basata sugli stilemi degli sceneggiati tanto in voga in Rai all’epoca, prevedeva alcuni coraggiosi inserti con immagini di stampo documentaristico. Non solo: il racconto filmico aveva un’introduzione e una serie di commenti in conclusione, mentre durante il flusso della narrazione c’erano degli intermezzi in cui una voce fuori campo introduceva un personaggio storico o approfondiva un passaggio. Una simile impostazione, se da un punto di vista estetico faceva perdere omogeneità al film (basti confrontare la grana delle immagini delle scene di differente origine) permetteva di chiarire e sveltire una narrazione basata, in sostanza, sull’attesa delle conferme di quanto era stato ordito dai congiurati. In effetti, è strano che per essere una storia di guerra (o comunque di ambientazione bellica) il suono che si ode maggiormente nel racconto è quello del telefono che squilla in continuazione. Tutti aspettano la notizia, la morte di Hitler, ma nessuno sa con precisione il punto della situazione perché, proprio il Führer, scampato clamorosamente all’attentato, aveva bloccato tutte le comunicazioni. Questo è uno degli aspetti più interessanti del film, e probabilmente riflette uno degli elementi cruciali del fenomeno nazista: la capacità di gestire le comunicazioni è sproporzionata a vantaggio di Hitler e dei suoi fedeli rispetto ai congiurati. 

Dopo lo scoppio della bomba, Hitler chiude le comunicazioni tra la Tana del Lupo e l’esterno, impedendo ogni fuga di notizia incontrollata. Quando la sua propaganda tornerà a farsi sentire alla radio, sarà la fine del tentativo di ribellione. Anche perché, con colpevole inefficienza, il generale Olbricht (Tino Carraro) e i suoi collaboratori non hanno preso possesso delle stazioni radio per tempo, denunziando una generale incapacità nel gestire la drammatica situazione. Le notizie, a Berlino, al quartier generale della rivolta, le ha portato direttamente von Stauffenberg (Paolo Graziosi), il colonnello che, in prima persona, aveva depositato la valigia piena di esplosivo sotto il tavolo dove Hitler si sarebbe riunito coi suoi generali. 

La bomba era effettivamente esplosa, come sosteneva von Stauffenberg ma, per un caso fortuito (uno dei convenuti l’aveva spostata leggermente ma in modo decisivo ai fini della sua efficacia) gli effetti erano stati diversi da quanto previsto. Lo sceneggiato, di questi passaggi, ci dà unicamente conto ma nella sua essenza è concentrato su quanto avviene a Berlino, con i congiurati che si trovano al centro dell’intrigo ma a cui non arrivano informazioni. Informazioni che, da loro, nemmeno partono, per la verità, come lamentato del terribile capo della polizia von Helldorf (Carlo Hintermann), colpevolmente lasciato in attesa senza ordini mentre le ore cruciali passavano. Il tempo, in effetti, corse velocemente, per i congiurati tanto quanto per gli spettatori del film di Cottafavi e tutti quanti, alla fine, vedono svanire i sogni di ribellione alla dittatura nazista. Se per Olbricht e i suoi questo è un tasto a dir poco dolente, per lo spettacolo televisivo è certamente un segno di efficacia. Il complotto di luglio è infatti un film avvincente, sia per le informazioni che, grazie alla sua formula multiformato, il racconto riesce sempre a fornire al momento opportuno, sia per la capacità di Cottafavi e dei suoi attori di imbastire una rappresentazione di stampo teatrale di grande coinvolgimento. Autore e interpreti si poggiano sull’efficace modello dello sceneggiato televisivo per cui, con i funzionali dialoghi e l’evocativa recitazione teatrale, si compensa una certa artificiosità delle ambientazioni. Insomma, l’ennesima dimostrazione della Rai dell’epoca che con il talento e le idee si potevano raggiungere risultati più che lusinghieri.   

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