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domenica 15 agosto 2021

L'INTRUSA

872_L'INTRUSA . Italia, 1956; Regia di Raffaello Matarazzo.

Sulla base del dramma già portato in teatro La moglie del dottore di Silvio Zambaldi, con L’intrusa, Raffaello Matarazzo scatena i suoi tipici torbidi intrighi in una storia anche più tormentata del solito. L’impronta teatrale rimane ben visibile nella seconda parte dell’opera, dove l’azione si concentra prevalentemente nella casa del dottore in questione, Carlo Conti (un appesantito Amedeo Nazzari). A quel punto, la problematica donna che ha preso in moglie, Luisa, (Lea Padovani) si trova infatti a tu per tu con l’uomo, l’ingegner Alberto (Andrea Checchi) che l’aveva inguaiata in gioventù, abbandonandola dopo averla fatto abortire incidentalmente. Come di consueto, in Matarazzo gli intrighi si moltiplicano e si replicano quasi seguendo un modello matematico, in qualche caso perfino alimentati dalla buona fede maldestra di qualche personaggio. In quest’ottica, in L’intrusa, abbiamo don Peppino (Cesco Baseggio) e Rosa (Rina Morelli), che sbadatamente lasciano capire alla povera Luisa che, a causa dell’aborto subito in gioventù, non potrà più avere figli. Gli eccessi melodrammatici si sprecano e, in questo caso, sorprende il manifestarsi di sentimenti più che altro ostili, di Luisa nei confronti di Alberto e, successivamente, di Carlo nei riguardi della moglie. Più che sentimento, L’intrusa è un film che gronda risentimento: anche contro il Cielo, reo di aver permesso le cattiverie che vediamo dipanarsi sullo schermo. E’ quindi necessaria la bonaria figura di don Peppino che richiama i personaggi, in particolare Luisa, ad atteggiamenti meno rancorosi. 

Da un certo punto di vista, queste sacche di rabbia che esplodono durante il lungometraggio, rendono più credibile la storia raccontata: in genere era il sognante trasporto amoroso a far accettare allo spettatore le trovate più eccesive, tipiche dei melodrammi. In questo caso è il rancore: se un odio come quello di Luisa è credibile, ed è credibile, deve essere credibile anche la pur eccessiva storia che pare lo abbia scatenato. Ne L’intrusa questo sentimento negativo deve sgorgare, non può più essere represso; ci si mettono anche le circostanze, d’accordo. E’ infatti il caso se la moglie di Alberto venga accolta quasi partoriente proprio in casa dei Conti; la sua auto finisce fuori strada proprio a due passi dall’abitazione e, nelle sue condizioni, la donna non può sopportare alcuno spostamento. Partorirà il figlio di Alberto nella casa di Luisa, che invece apprenderà incidentalmente proprio allora che non potrà più avere figli; proprio lei che un figlio, da Alberto, lo aveva perso proprio per colpa di quello stesso uomo. Che l’aveva oltretutto ripudiata una volta scoperto fosse incinta. 

Ora Luisa è giustamente furibonda, ce l’ha con Alberto e, come detto, anche con il Cielo per averla rimessa in una situazione insostenibile; don Peppino prova a calmarla, ma è inutile, l’odio è troppo e non è più contenibile. In fondo, è una scelta coerentemente melodrammatica: il melò è il genere dove vengono resi manifesti i sentimenti, abitualmente romantici e amorosi, e così dev’essere anche per il loro opposti. Per altro, una volta superato l’acme drammatico, può tornare il sereno e con lui anche un credibile, perlomeno più di altre occasioni, lieto fine. Nel suo insieme, inteso come melodramma, L’intrusa è un film coinvolgente e girato con bravura da Matarazzo. La storia prevede anche scene in esterni e l’autore se la cava egregiamente, ad esempio con l’incipit in riva al mare; comunque molto bene anche le ambientazioni al chiuso. Un po’ imbolsito Nazzari, mentre la Padovani è funzionale al suo ruolo di donna sofferta e sospesa. Il tono melodrammatico della storia è ben contrappuntato tra scene sentimentali e i citati momenti biliosi, mentre l’ironia, tenuta sempre desta da Rita Morelli, alleggerisce il clima. Insomma, un lavoro originale per certe sue scelte e sorprendentemente molto ben equilibrato tra i suoi eccessi.      

Lea Padovani




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