Translate

martedì 15 maggio 2018

RAPPRESAGLIA

147_RAPPRESAGLIA  Italia, Francia 1973;  Regia di George Pan Cosmatos.

L’episodio della strage delle Fosse Ardeatine è un argomento delicato e, in prima istanza, verrebbe da pensare che vada trattato con il massimo riguardo storico. Ci sono 335 morti verso i quale viene naturale portare un rispetto sacro, vista la gravità di quanto accadde. Ma, pensandoci meglio, questi timori riverenziali forse sono solo una forma un po’ di maniera con cui le nostre coscienze mettono in atto una sorta di autoindulgenza. Mannò, ben vengano invece film come quelli di George Pan Cosmatos, che sfruttano un fatto storico per scuoterci un po’; se poi si vuole una ricostruzione storica, precisa e puntuale, possiamo sempre approfondire con altri sistemi, nessuno ce lo vieta. Nello specifico, il film Rappresaglia ci da’ un bello scossone, soprattutto con le terrificanti scene finali, quelle dell’eccidio nelle grotte ardeatine di 335 italiani, per ritorsione all’attentato che, in via Rasella, aveva mietuto 33 tedeschi. A essere sul banco degli imputati, in questo atto di denuncia che in fin dei conti è il film di Cosmatos, è l’opportunismo della ragionevolezza che, specialmente in ambito nazista, spesso sfocia nell’ottusità della sadica burocrazia del potere. Per quale motivo, si chiede padre Antonelli (Marcello Mastroianni) la cosiddetta rappresaglia (l’eccidio dei 335 italiani), viene programmata in segreto e in tutta fretta? Perché prima non si reclama, pubblicamente, la resa di chi ha commesso l’attentato di via Rasella? Una volta proclamato l’appello, se nessuno si fosse consegnato, allora la ritorsione avrebbe almeno una logica vendicativa. “Nella città ci sono gli attentatori, la città non me li consegna, punisco la città”. Una metodica processuale crudelmente infantile, ma perlomeno con una sua logica. Invece, quale motivazione si può assurgere al racimolare tra i condannati a morte, tra i detenuti, tra le minoranze, un numero ritenuto congruo (più di 10 a 1), per poi trucidarli quasi in segreto? Mah.

Forse quello tedesco era un tentativo di restare in bilico tra il non creare ulteriori disordini e il poter ottenere, dando l’annuncio a cose fatte, un effetto terrorizzante e traumatizzante sulla popolazione romana. In ogni caso, rimane sempre l’orrore per quello zelo burocratico (di cui si trova traccia anche negli ordinati registri dell’Olocausto) per cui quando muore uno dei soldati, in un primo momento solo ferito durante l’attentato, allora occorre trovare assolutamente altri dieci italiani per riequilibrare l’equivalenza; come se la contabilità fosse un ordine superiore a cui obbedire a ogni costo. Dovevano essere 320 per 32 tedeschi morti, ma con il decesso del trentatreesimo ne occorrevano appunto altri dieci; infine saranno 335, cinque in più, forse perché una delle parole d’ordine della burocrazia è il famoso proverbio melius abundare quam deficere

Questa filosofia è resa in modo convincente dalla figura del maggiore Kappler (un efficace Richard Burton): un uomo intelligente, istruito, amante dell’arte, dotato di buon senso, ma incapace di prendere una posizione al di fuori della macchina burocratica di cui è un perfetto ed efficiente ingranaggio. Ecco, oggi forse il nazismo è un problema superato (da sottolineare il 'forse'); ma nelle pastoie della burocrazia ci siamo in pieno. Gli uffici, le caserme, le società pubbliche e private, sono piene di addetti e impiegati zelanti che, se per fortuna non mandano a morire nessuno, creano però ugualmente problemi e disagi spesso per il puro gusto di farlo. Del resto, il sadismo, come forma comportamentale, è sempre lo stesso.     


Nessun commento:

Posta un commento