147_RAPPRESAGLIA Italia, Francia 1973; Regia di George Pan Cosmatos.
L’episodio della strage delle Fosse Ardeatine è un
argomento delicato e, in prima istanza, verrebbe da pensare che vada trattato
con il massimo riguardo storico. Ci sono 335 morti verso i quale viene naturale
portare un rispetto sacro, vista la gravità di quanto accadde. Ma, pensandoci
meglio, questi timori riverenziali forse sono solo una forma un po’ di maniera
con cui le nostre coscienze mettono in atto una sorta di autoindulgenza. Mannò, ben vengano invece film come quelli di
George Pan Cosmatos, che sfruttano un fatto storico per scuoterci un po’; se
poi si vuole una ricostruzione storica, precisa e puntuale, possiamo sempre
approfondire con altri sistemi, nessuno ce lo vieta. Nello specifico, il film Rappresaglia ci da’ un bello scossone,
soprattutto con le terrificanti scene finali, quelle dell’eccidio nelle grotte ardeatine di 335 italiani, per
ritorsione all’attentato che, in via Rasella, aveva mietuto 33 tedeschi. A
essere sul banco degli imputati, in questo atto di denuncia che in fin dei conti
è il film di Cosmatos, è l’opportunismo della ragionevolezza che, specialmente
in ambito nazista, spesso sfocia nell’ottusità della sadica burocrazia del
potere. Per quale motivo, si chiede padre Antonelli (Marcello Mastroianni) la
cosiddetta rappresaglia (l’eccidio
dei 335 italiani), viene programmata in segreto e in tutta fretta? Perché prima
non si reclama, pubblicamente, la resa di chi ha commesso l’attentato di via
Rasella? Una volta proclamato l’appello, se nessuno si fosse consegnato, allora
la ritorsione avrebbe almeno una logica vendicativa. “Nella città ci sono gli
attentatori, la città non me li consegna, punisco la città”. Una metodica
processuale crudelmente infantile, ma perlomeno con una sua logica. Invece,
quale motivazione si può assurgere al racimolare tra i condannati a morte, tra
i detenuti, tra le minoranze, un numero ritenuto congruo (più di 10 a 1), per poi trucidarli
quasi in segreto? Mah.
Forse quello tedesco era un tentativo di restare in
bilico tra il non creare ulteriori disordini e il poter ottenere, dando
l’annuncio a cose fatte, un effetto terrorizzante e traumatizzante sulla
popolazione romana. In ogni caso, rimane sempre l’orrore per quello zelo burocratico (di cui
si trova traccia anche negli ordinati registri dell’Olocausto) per cui quando
muore uno dei soldati, in un primo momento solo ferito durante l’attentato,
allora occorre trovare assolutamente altri dieci italiani per riequilibrare l’equivalenza; come se la contabilità fosse un ordine superiore a cui obbedire a ogni costo.
Dovevano essere 320 per 32 tedeschi morti, ma con il decesso del trentatreesimo ne occorrevano appunto altri dieci; infine saranno 335, cinque in più, forse perché
una delle parole d’ordine della burocrazia è il famoso proverbio melius abundare quam deficere.
Questa filosofia è resa in modo convincente dalla
figura del maggiore Kappler (un efficace Richard Burton): un uomo intelligente,
istruito, amante dell’arte, dotato di buon senso, ma incapace di prendere una
posizione al di fuori della macchina burocratica di cui è un perfetto ed
efficiente ingranaggio. Ecco, oggi forse il nazismo è un problema superato
(da sottolineare il 'forse'); ma nelle pastoie della burocrazia ci siamo in pieno. Gli uffici, le
caserme, le società pubbliche e private, sono piene di addetti e impiegati
zelanti che, se per fortuna non mandano a morire nessuno, creano però
ugualmente problemi e disagi spesso per il puro gusto di farlo. Del resto, il
sadismo, come forma comportamentale, è sempre lo stesso.
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