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domenica 13 maggio 2018

IL CAPITALISTA

146_IL CAPITALISTA (How anybody seen my gal?). Stati Uniti1952;  Regia di Douglas Sirk

‘Hey! Devi fare tutto questo rumore per suonare “Notte silente”?’ E’ una simpatica battuta che passa inosservata nel film Il capitalista di Douglas Sirk, ma che condensa quasi tutta l’atmosfera della pellicola. Innanzitutto c’è la scena natalizia, il carrettino ambulante che suona appunto Silent night (da noi conosciuta come Astro del ciel o Notte silente), posizionato davanti all’emporio che vende un po’ di tutto, di quelli che si vedono in tanti film americani. Siamo nei tardi anni venti del XX secolo, e questo sembra il quadro perfetto per uno dei famosi film di Frank Capra, se non fosse che è a colori. A questo punto esce dal negozio mister Quinn, il proprietario, che invita in malo modo, con la frase citata, l’ambulante a fare meno rumore. Ecco, Douglas Sirk opera in tutto il film con questa filosofia, costruendo una storia molto edulcorata, quasi zuccherosa, ma poi vi inserisce sempre una nota un po’ critica. Ed è una nota critica non da poco, perché all’alba dei favolosi anni cinquanta si denuncia la pericolosità del denaro all’interno della società americana. Il tono ironico della pellicola ha permesso alla Universal di scherzare sopra al messaggio comunista dell’opera: “Che ne dice Carlo Marx?” recita infatti il promo del film negli Stati Uniti, e forse deve aver ispirato i distributori italiani per quel Il capitalista così diverso dal titolo originale How anybody seen my Gal (“Qualcuno ha visto la mia ragazza?”). Il film è in realtà molto leggero, aiutato in questo suo essere disimpegnato dai briosi intermezzi musicali, che non ne fanno certo un musical ma, senza mai annoiare o essere d’intralcio, aiutano a dare ritmo alla narrazione. Il capitalista del film è Mister Fulton (uno straripante Charles Coburn) che, ricco sfondato e senza eredi, decide di lasciare tutto alla famiglia di una sua vecchia fiamma.
La motivazione che porta ai suoi esterrefatti legali è un altro piccolo tassello che aiuta a capire la logica del film di Sirk: la ragazza in questione a suo tempo rifiutò la proposta di matrimonio di Fulton; per la delusione questi andò in cerca di fortuna, trovandola. Quindi, in un certo senso, la ricchezza trovata da Fulton ha un merito anche nella decisione della giovane; di qui la scelta di premiare con l’eredità i suoi discendenti, visto che la stessa donna è già trapassata. E allora, se la dolce melodia di Notte silente può essere definita rumorosa, (contraddicendo il nome stesso del brano) e la fortuna (economica) di una vita può essere motivata da un insuccesso (amoroso), il film può essere benissimo una critica al sistema economico americano, seppure sia apparentemente una commedia leggera che ha addirittura come protagonista un vecchio capitalista filantropo.

La pellicola presenta una serie di contrapposizioni attraverso le quali procede la storia: la più evidente è la rivalità tra i pretendenti della deliziosa Millicent Blaisdell (Piper Laurie), il sincero ma semplice commesso Dan (Rock Hudson) e il ricco e sfrontato Carl Pennock. Ma si possono notare anche la differente condizione tutto sommato ospitale dei Blaisdell quando erano semplici borghesi, rispetto all’atteggiamento snob tenuto nel momento in cui arricchiscono; lo stesso divario esiste al principio tra i Blaisdell prima maniera (ovvero non ricchi) e i più facoltosi Pennock; e ci sono poi contrapposizioni concrete, ad esempio il cane bastardino sostituito dai due barboncini di razza francese o la stessa casa abbandonata per la sfarzosa villa. E anche Fulton adotta un comportamento contrapposto: rigoroso (pur se con qualche licenza, vedi i mozziconi dei sigari nascosti sotto le coperte) nella sua vita abituale, passa per un vecchio reprobo pluripregiudicato nella sua seconda identità di John Smith. Proprio a proposito del nome adottato da Fulton per non essere riconosciuto (è infatti famosissimo per via della ricchezza accumulata) c’è un’altra simpatica battuta che aiuta a capire la natura critica dell’opera; purtroppo nella traduzione italiana se ne è perso un po’ il senso, ma quando il magnate si presenta come John Smith, la piccola Roberta Blaisdell, una vivace bimbetta di una decina d’anni, gli chiede se si tratti del famoso marito inglese di Pocahontas, la principessa pellerossa.

Nella traduzione italiana si fa riferimento ad una generica principessa atzeca, ma il paragone può comunque reggere: entrambi i John Smith (sia quello storico che lo pseudonimo di Fulton) arrivano con la cultura dell’economia di mercato a corrompere la genuinità là dei nativi americani, qua di una famiglia piccolo borghese. Il senso più generale è naturalmente che il denaro non fa’ la felicità, anzi; ma lo sguardo di Sirk è più sottile di quanto non voglia farci intendere lui stesso a prima vista. Certo, il film può definirsi ottimistico, ma lascia troppi punti in sospeso: come valutare la signora Blaisdell (Lynn Bari), vero e proprio capofamiglia che dimostra nell’opera valori abbastanza discutibili? Forse un po’ migliore si dimostra il marito, che però le è succube. 

Anche la bella Milli è una mezza delusione, in quanto si lascia trasportare troppo dal corso degli eventi, mentre più defilata la posizione del fratello; chi è sicuramente positiva è la piccola Roberta, l’unica veramente innocente (probabilmente in quanto ancora fanciulla). Malissimo i Pennock, tipica famiglia alto borghese piena di soldi ma vuota di valori; male il giudice, dipinto come un tipo superficiale; male anche il nuovo proprietario dell’emporio, il signor Quinn avaro e incapace di capire perfino lo spirito natalizio (sua la battuta su Silent night). E, in fondo, anche Fulton, come ne esce? Letteralmente, dal racconto, alla chetichella, per paura di essere riconosciuto dai giornalisti; ma in senso più generale, il film non può essere considerato poi così positivo, e sempre perché lascia in sospeso troppi passaggi: a questo punto, il magnate, confermerà la volontà di lasciare la sua eredità ai Blaisdell, dopo aver visto che solo 100.000 dollari li avevano trasformati in modo così infelice?

E il suo bilancio personale, in questa vicenda, qual è? Anche questo non certo positivo: a parte aver vissuto un periodo in cui si è divertito, alla fine si è dovuto allontanare in incognito, ritornando alla solitudine dorata che aveva all’inizio della storia. Insomma, un film piuttosto strano, insolito, in cui accompagniamo un miliardario in incognito e siamo gli unici a conoscere tutti i retroscena, che permettono le gustose gag. Ma anche in questo caso, da un punto di vista narrativamente tecnico, c’è un’anomalia: perché in genere questi equivoci trovano il libero sfogo nella loro rivelazione, mentre in questo Il capitalista rimangono tutti trattenuti, non rivelati ai personaggi della storia.
E’ quindi questa non consapevolezza, questa incoscienza che Douglas Sirk vuole quindi evidenziare? E’ forse per questo che ambienta con una didascalia esplicita la storia nei tardi anni 20, poco prima della Grande Depressione del 1929, ma ci mostra una cittadina colorata con balli e situazioni, che sì, riprenderanno anche lo stile dei roaring twenties ma sembrano perfettamente incarnare i favolosi anni ’50?
Insomma, che la storia non abbia insegnato nulla all’America?



Lynn Bari




Piper Laurie






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