145_FURIA INDIANA (Chief Crazy Horse). Stati Uniti, 1955; Regia di George Sherman.
E’ consuetudine ancora troppo diffusa considerare
la svolta revisionista del genere western degli anni settanta come la presa di
coscienza del cinema americano circa la vera natura della conquista del west,
che non fu propriamente l’epica storia della civilizzazione di un paese
selvaggio, ma piuttosto uno scontro tra due civiltà che vide la più progredita
ed evoluta, parlando soprattutto dal punto di vista tecnologico, prevalere. Questa
credenza, pur essendo radicata, è almeno parzialmente infondata, in quanto il
cinema western ha in moltissimi casi mostrato le ragioni degli indigeni, i
pellerossa, e gli esempi che si possono fare risalgono fin già dagli anni ‘50 (L’amante indiana, di Delmer Daves, 1950,
tanto per fare un titolo), che furono il periodo di massimo splendore del
genere nella sua forma considerata classica. Proprio a metà di quegli anni si colloca Furia indiana dello specialista del
genere western George Sherman; è un’opera certamente poco conosciuta, ma comunque
importante, perché è un racconto totalmente visto nell’ottica dei pellerossa,
con il protagonista Cavallo Pazzo (Cavallo
Folle nella traduzione dell’epoca) interpretato da una star di buona
grandezza come Victor Mature. Il film è girato in modo sicuro, che Sherman è un
valido regista e conosce molto bene come si conduce un western; e l’eccessivo
lirismo continuamente ricercato non è fine a se stesso, ma è un tentativo di
tradurre, coi metodi del cinema hollywoodiano, quella spiritualità intrinseca
alla cultura dei nativi americani e del mitico Cavallo Pazzo, che fu un uomo
singolare anche da questo punto di vista.
I titoli di testa scorrono sulle immagini del
cielo, con grandi nuvole estive ad esaltare la profondità della volta celeste e
a lasciare presagire una vita fatta anche di fenomeni violenti; sullo stesso
cielo il grande leader indiano vedrà proiettata la sua visione (una sorta di messaggio divino), e lo stesso cielo sarà
inquadrato durante la battaglia del Little
Bighorn, lasciando in questo modo il massacro di Custer e dei suoi uomini
fuori campo. Se questa scelta può essere stata fatta per non urtare la
sensibilità degli americani (quella di Custer è comunque una delle sconfitte
più brucianti subite dall’esercito a stelle e strisce) non si può ignorare come
un personaggio del calibro del biondo colonnello delle giacche azzurre sia
inquadrato solo di sfuggita nel film di Sherman, come un qualunque nemico senza
particolare importanza.
La trama, pur se fortemente romanzata, corrisponde, grosso
modo e nei suoi punti salienti, alla vita di Cavallo Pazzo; è però un motivo di
prestigio e un segno di rispetto, che ci siano alcune differenze dalla nuda
biografia storica. Se l’opera fosse infatti un fedele documentario, starebbe a
significare semplicemente una presa di coscienza dal punto di vista storico, da
parte di Hollywood; invece Furia Indiana è
a pieno titolo un’opera di finzione ispirata ad un personaggio storico e agli
eventi che lo videro protagonista. Nella sua messa in scena Sherman si prende, cioè,
non poche libertà, com’è giusto che sia, perché Cavallo Pazzo è, prima che un
personaggio storico, un eroe, una leggenda, ed è sacrosanto che venga
raccontato come tale, romanzandone le gesta.
Notevole, anche da questo punto di vista, la presenza di Raggio di Sole, la moglie di Cavallo
Pazzo, interpretata dalla bellissima e sfortunata Suzan Ball che morì di cancro
a soli 21 anni in quello stesso 1955.
Molto bello l’incipit della scena finale che la vede punto
focale di svolta della sequenza: Cavallo Pazzo ha ormai deposto la scure di
guerra e si trova presso il forte dei soldati; di ritorno dal quartier generale
si incontra con Raggio di Sole, che lo abbraccia e gira la testa per stringersi
più vicino al petto del compagno. Con questo movimento la ragazza si volta
verso l’obiettivo e la sua espressione muta dalla felicità del momento alla
preoccupazione.
Uno stacco in controcampo della mdp ci permette di vedere il gruppo di scout (indiani impiegati
nell’esercito come guide) che vengono a prelevare Cavallo Pazzo; in realtà si
tratterebbe solo di una nuova convocazione nel quartier generale, ma l’antico
rivale in amore del condottiero, ora arruolato, ne approfitta per vendicarsi e
lo uccide con un colpo di baionetta alle spalle.
Un finale certamente triste, in linea con la vera storia del
valoroso personaggio storico, che venne realmente ucciso a tradimento pare con
la complicità di un rinnegato; e soprattutto, ahinoi, un finale simbolicamente
adatto a rappresentare il destino di un intero popolo.
Suzan Ball
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