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venerdì 11 maggio 2018

FURIA INDIANA

145_FURIA INDIANA (Chief Crazy Horse). Stati Uniti, 1955;  Regia di George Sherman.

E’ consuetudine ancora troppo diffusa considerare la svolta revisionista del genere western degli anni settanta come la presa di coscienza del cinema americano circa la vera natura della conquista del west, che non fu propriamente l’epica storia della civilizzazione di un paese selvaggio, ma piuttosto uno scontro tra due civiltà che vide la più progredita ed evoluta, parlando soprattutto dal punto di vista tecnologico, prevalere. Questa credenza, pur essendo radicata, è almeno parzialmente infondata, in quanto il cinema western ha in moltissimi casi mostrato le ragioni degli indigeni, i pellerossa, e gli esempi che si possono fare risalgono fin già dagli anni ‘50 (L’amante indiana, di Delmer Daves, 1950, tanto per fare un titolo), che furono il periodo di massimo splendore del genere nella sua forma considerata classica.  Proprio a metà di quegli anni si colloca Furia indiana dello specialista del genere western George Sherman; è un’opera certamente poco conosciuta, ma comunque importante, perché è un racconto totalmente visto nell’ottica dei pellerossa, con il protagonista Cavallo Pazzo (Cavallo Folle nella traduzione dell’epoca) interpretato da una star di buona grandezza come Victor Mature. Il film è girato in modo sicuro, che Sherman è un valido regista e conosce molto bene come si conduce un western; e l’eccessivo lirismo continuamente ricercato non è fine a se stesso, ma è un tentativo di tradurre, coi metodi del cinema hollywoodiano, quella spiritualità intrinseca alla cultura dei nativi americani e del mitico Cavallo Pazzo, che fu un uomo singolare anche da questo punto di vista. 

I titoli di testa scorrono sulle immagini del cielo, con grandi nuvole estive ad esaltare la profondità della volta celeste e a lasciare presagire una vita fatta anche di fenomeni violenti; sullo stesso cielo il grande leader indiano vedrà proiettata la sua visione (una sorta di messaggio divino), e lo stesso cielo sarà inquadrato durante la battaglia del Little Bighorn, lasciando in questo modo il massacro di Custer e dei suoi uomini fuori campo. Se questa scelta può essere stata fatta per non urtare la sensibilità degli americani (quella di Custer è comunque una delle sconfitte più brucianti subite dall’esercito a stelle e strisce) non si può ignorare come un personaggio del calibro del biondo colonnello delle giacche azzurre sia inquadrato solo di sfuggita nel film di Sherman, come un qualunque nemico senza particolare importanza. 
La trama, pur se fortemente romanzata, corrisponde, grosso modo e nei suoi punti salienti, alla vita di Cavallo Pazzo; è però un motivo di prestigio e un segno di rispetto, che ci siano alcune differenze dalla nuda biografia storica. Se l’opera fosse infatti un fedele documentario, starebbe a significare semplicemente una presa di coscienza dal punto di vista storico, da parte di Hollywood; invece Furia Indiana è a pieno titolo un’opera di finzione ispirata ad un personaggio storico e agli eventi che lo videro protagonista. Nella sua messa in scena Sherman si prende, cioè, non poche libertà, com’è giusto che sia, perché Cavallo Pazzo è, prima che un personaggio storico, un eroe, una leggenda, ed è sacrosanto che venga raccontato come tale, romanzandone le gesta.

Notevole, anche da questo punto di vista, la presenza di Raggio di Sole, la moglie di Cavallo Pazzo, interpretata dalla bellissima e sfortunata Suzan Ball che morì di cancro a soli 21 anni in quello stesso 1955.
Molto bello l’incipit della scena finale che la vede punto focale di svolta della sequenza: Cavallo Pazzo ha ormai deposto la scure di guerra e si trova presso il forte dei soldati; di ritorno dal quartier generale si incontra con Raggio di Sole, che lo abbraccia e gira la testa per stringersi più vicino al petto del compagno. Con questo movimento la ragazza si volta verso l’obiettivo e la sua espressione muta dalla felicità del momento alla preoccupazione.

Uno stacco in controcampo della mdp ci permette di vedere il gruppo di scout (indiani impiegati nell’esercito come guide) che vengono a prelevare Cavallo Pazzo; in realtà si tratterebbe solo di una nuova convocazione nel quartier generale, ma l’antico rivale in amore del condottiero, ora arruolato, ne approfitta per vendicarsi e lo uccide con un colpo di baionetta alle spalle.
Un finale certamente triste, in linea con la vera storia del valoroso personaggio storico, che venne realmente ucciso a tradimento pare con la complicità di un rinnegato; e soprattutto, ahinoi, un finale simbolicamente adatto a rappresentare il destino di un intero popolo.





Suzan Ball





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