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sabato 27 gennaio 2018

DIFRET - IL CORAGGIO PER CAMBIARE

92_DIFRET - IL CORAGGIO PER CAMBIARE   (Difret). Etiopia, 2014;  Regia di Zeresenay Berhane Mehari .

Prima di sbilanciarsi in qualche considerazione a proposito del film etiope Difret - Il coraggio per cambiare, vale la pena riflettere sul significato del termine Difret che è, emblematicamente, il titolo originale dell’opera. In amarico, la lingua ufficiale dell’Etiopia, il termine ha due significati: normalmente vuol dire coraggio, e questo corrisponde, grosso modo, al senso della traduzione data dai distributori per il mercato italiano; ma, in maniera abbastanza spiazzante, difret viene usato anche per indicare la violenza dello stupro. E prima di affrontare l’argomento trattato nell’opera, occorre rimarcare come ci sia da rimanere sconcertati dal fatto che, evidentemente, anni e anni di consuetudine abbiano prodotto una lingua nella quale vengano accumunati nello stesso vocabolo l’atto di violentare una donna con una prova di coraggio. Hai voglia a cercare di intendere il racconto filmico di Mehari come un’opera di finzione e, quindi, non essendo un documentario, non necessariamente da prendere alla lettera; (per quanto le didascalie ci indichino che i fatti narrati siano veri). Diventa evidente che quelli narrati possono essere, e lo saranno sicuramente, fatti realmente accaduti, anche semplicemente basandosi, come prova inconfutabile, sul fatto che in quel paese si adotta una soluzione linguistica tanto aberrante come accomunare due concetti diametralmente opposti: l’atto più vile, la violenza sessuale, definito come una prova di coraggio. Nel film, una povera ragazza di 14 anni viene rapita dall’uomo che la vuole sposare, che poi provvede a picchiarla duramente, rinchiuderla e violentarla nella speranza di metterla incinta.
Il padre di lei ne aveva rifiutato una sua precedente richiesta di prenderla in sposa. Pare che, nelle campagne etiopi, in queste circostanze sia (quasi) abitudine andare in gruppo di mezze dozzine di uomini, a cavallo e armati di fucile, a rapire ragazzine riluttanti. Poi una mano di botte, giusto per far capire come gira il mondo, e infine la violenza sessuale; che se la ragazza rimane in stato interessante poi anche il padre si convincerà che la soluzione più accomodante sia celebrare il matrimonio. La ragazza della storia, Hirut (Tizita Hagere), è però un tipetto tosto e dopo la bella nottata approfitta della distrazione degli uomini per scappare con il fucile del presunto futuro marito: verrà ripresa ma, a sorpresa, userà il fucile in modo anche troppo preciso, eliminando il focoso pretendente.


Omicidio a sangue freddo: se una donna lo commette ai danni di un uomo, deve essere impiccata, è l’antica legge. Meno male che ad Addis Abeba opera Meaza (Meron Getnet), un’avvocatessa di Andenet, un’associazione che difende le donne e i bambini dalle violenze e che prontamente si incarica di prendere le parti della povera ragazza. 

Pur nelle difficoltà create sia della comunità rurale, che rinuncerà a giustiziare la troppo giovane ragazza ma ne imporrà l’allontanamento dalla famiglia, sia dalle istituzioni ufficiali, restie ad approfondire una questione che appare più opportuno liquidare come omicidio, la brava Meaza riuscirà, anche mettendosi addirittura contro il ministro di giustizia del governo, a far assolvere Hirut. Dal punto di vista strettamente cinematografico il film è appassionante, evidentemente anche per via dell’argomento ma, in ogni caso, la storia ha ritmo e gli attori sono professionali.
Amaro costatare ancora una volta come chi detenga il privilegio, a qualunque latitudine, faccia di tutto, anche a fronte delle peggiori porcate, per difendere la propria categoria.


Meron Getnet


Tizita Hagere



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