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lunedì 29 gennaio 2018

COLLATERAL

93_COLLATERAL   Stati Uniti, 2004;  Regia di Michael Mann.

Un uomo scende dalla metropolitana e si toglie la giacca per coprire le spalle della donna che cammina accanto a lui.
In questa semplice scena, la scena finale, c'è tutto il senso dello straordinario film di Michael Mann, Collateral. Prendiamoci cura. Mettiamo qualcuno al centro al nostro del nostro operare, del nostro fare.
Perché non basta essere qualcuno che fa, anche se è vero che è meglio fare che parlare, su questo si può essere d'accordo con Vincent, il personaggio interpretato da quello che è forse il miglior Tom Cruise mai visto sullo schermo.
Max, (l'ottimo, a sua volta, Jamie Fox) è "uno che fa invece di parlare. E' forte"; per usare appunto le parole di Vincent. Ma non basta; perché nella giungla moderna, fare, lavorare, muoversi, darsi da fare, avere progetti, non basta.
Anzi, ad essere efficienti, ad essere troppo efficienti, si rischia di fare un patto col diavolo, come quello che Max stipula con Vincent: soldi in cambio di lavoro, nient'altro, lasciando perdere gli effetti collaterali.
E proprio da questo rischio ci mette in guardia il film di Mann, opera davvero strepitosa di un autore che è ormai uno dei punti di riferimento del cinema odierno. E tra gli effetti collaterali di cui occorre preoccuparsi c'è anche la nostra umanità. Quell'umanità che nel film è mostrata con tutti i colori della caotica Los Angeles, delle luci al neon, dei taxi rossi e gialli; e non a caso Max, il protagonista, è un uomo di colore; e la sua salvezza è una donna, Annie (una deliziosa Jada Pinkett Smith), anch'essa di colore.


Uomini, donne, ma in realtà nient'altro che prede, per i predatori che nella giungla moderna sono in caccia. Quella caccia mostrata nella parte finale del film, con sequenze mozzafiato sottolineate dal rullare della colonna sonora. Efficienti e spietati, i predatori sono come lupi, grigi come li ha resi l'assenza di umanità, che nel film, lo abbiamo capito, è resa invece dal colore.

Vincent, capelli e pizzetto grigio, abito grigio, non è però un cattivo come siamo abituati a vedere: a un certo punto Max gli domanda "Allora tu cosa sei?" "Indifferente", è la risposta. Indifferente ma molto, molto efficiente. Non si pone dubbi o domande, come al contrario fa Annie; non è un uomo da farsi problemi. In un altro passaggio, tra i tanti e splendidi dialoghi, a domanda precisa e diretta "(Lei) come si chiama?" risponde "Nessun problema". Ha un compito, e intende farlo: "Max, questo è il mio lavoro!" avverte prima dello scontro finale. Non è quindi nemmeno scorretto; è un burocrate dell'efficienza.
E' questa la deriva pericolosa: passare dal girare in tondo senza meta, (come fa Max, che sono 12 anni che si dedica ad un lavoro provvisorio e non ha mai il coraggio di arrivare al dunque), a smettere di avere sogni o anche solo qualcuno per cui preoccuparsi ma badare solo al proprio dovere, con efficienza, precisione, puntualità.

Max ha ancora un sogno, ma forse è solo un pretesto per sfuggire la realtà. Certo, il suo taxi è colorato, lui stesso è un uomo di colore; ma è anche preciso e puntuale, e il suo taxi pulito ed efficiente. Non sono certo difetti, questi, ma sulla capote della sua macchina la scritta pubblicitaria "Silver" lo indica come predestinato all'incontro col lupo argenteo Vincent. Il suo destino è forse già deciso? Il suo percorso sembra davvero segnato: cinque precise tappe nella sera raccontata dal film, da seguire senza fare obiezioni, con scrupolosa diligenza professionale. A concrettizare, capitalizzare, il continuo girovagare infruttuoso dei precedenti dodici anni di servizio. E Max vacilla e, in fede al patto stipulato con Vincent, diventa lupo a sua volta, si cala nei panni della controparte. Poi reagisce: la salvezza passa prima da un deragliamento, una rottura della routine efficiente e senza fine. Max manda il taxi ruote all'aria ma salvarsi non basta. La vera salvezza non è ancora raggiunta. L'unica salvezza davvero valida si ottiene rivolgendo altrove i nostri sforzi, salvando qualcun altro. In questo caso, dal momento che Mann è un autore classico, c'è una "damigella in pericolo" da cavare dai guai.
Avere qualcuno di cui aver cura. Avere un effetto collaterale di cui preoccuparsi.






Jada Pinkett Smith




2 commenti:

  1. eh, chiamalo "effetto collaterale" l'umanità... è la cosa più importante in pratica :))
    comunque la Pinkett Smith... davvero niente male! ;)

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