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martedì 20 aprile 2021

LA ZONA MORTA

800_LA ZONA MORTA (The Death Zone). Stati Uniti1983. Regia di David Cronenberg.  

Videodrome aveva rappresentato per David Cronenberg un punto di svolta cruciale: il canadese era riuscito ad esprimere al meglio la sua poetica, la sua sensibilità cinematografica e, da buon cineasta, più che il meritato riposo gli sembrò congeniale rilassarsi mettendosi al lavoro per una volta su un soggetto di qualcun altro. Particolare non trascurabile, l’opera in questione era un romanzo, La zona morta, appunto, nientemeno che di Stephen King, l’acclamato re dell’horror letterario. Qui occorre fare alcune precisazioni: la prima delle quali è che arrivare ad una sceneggiatura non fu così scontato, nonostante la prosa di King in genere sembri già un trattamento cinematografico. Anzi, in questo caso, lo scrittore statunitense, messo al lavoro sul suo stesso romanzo, confezionò un adattamento ritenuto dalla produzione particolarmente scarso. Dopo una manciata di tentativi, venne scelta la stesura di Jeffrey Boam che lavorò con buona sintonia insieme al regista, soprattutto considerando che Cronenberg era abituato a scriversi in prima persona le sceneggiature. Un altro aspetto da tenere presente è che al tempo era ancora lecito pensare che Stephen King fosse un autore ideale per il cinema; dopo l’eccellente Carrie, lo sguardo di Satana (1976, di Brian De Palma) c’era stato il capolavoro di Stanley Kubrick, Shining (1980), che peraltro lo stesso King non aveva affatto apprezzato. Opere minori come Le notti di Salem (1979, di Tobe Hooper), Creepshow (1982, di George A. Romero) e Cujo (1983, di Lewis Teague) non avevano ancora cristallizzato l’impressione che, senza la prosa suadente del re del terrore a sostenerli, i soggetti kinghiani rischiavano di sgonfiarsi nelle mani di registi troppo ordinari od ossequiosi. 

Queste premesse non devono essere considerate secondarie perché sono indispensabili per inquadrare al meglio il lavoro di Cronenberg ne La zona morta, oltre ad aiutarci a capire perché a suo tempo il film non sembrò troppo convincente (nonostante sia da sempre ritenuto uno dei migliori adattamenti di King per lo schermo). L’impressione era che l’autore canadese si fosse come contenuto: la storia mancava infatti di scene scabrose, sessualmente spinte o particolarmente terrorizzanti. Era un horror, d’accordo, ma nemmeno tanto impressionante. Eppure un senso di disagio, perfettamente nelle corde di Cronenberg, rimane nello spettatore alla fine della visione del film: ed è proprio questo che rende La zona morta un lavoro che si inserisce con armonia nella filmografia del canadese. L’autore nato a Toronto arriva a questo risultato senza negare o contraddire la poetica di King che ha, per la verità, una sensibilità diversa, ma quasi sublimandola. 

Lo scrittore del Maine è un narratore d’eccezione, è davvero il Big Mac della letteratura: e chi non si mangerebbe un panino con doppio hamburger da McDonald? Un paragone che invece non calzerebbe in nessun modo per Cronenberg, autore di culto ma anche di nicchia quasi per definizione. E’ chiaro che l’approccio di King è facilmente condivisibile e comprensibile istantaneamente da molti, diversamente non si spiegherebbe il suo successo in un campo come l’horror letterario, non sempre considerato lettura comune ai più. Non a caso, volendo vedere, il suo protagonista in La zona morta si chiama John Smith, nome simbolicamente comune negli States, nel film interpretato con efficacia da Christopher Walken. Quello che capita a Johnny, ovvero finire in coma per cinque anni e acquistare facoltà paranormali, potrebbe capitare a chiunque, sembra suggerire lo scrittore nato a Portland. E’ lo stesso meccanismo con cui in genere il cinema mette in campo l’eroe americano: un uomo qualunque che assurge a ruolo di eroe in condizioni eccezionali. Ed è, anche questo, un approccio che facilita, appunto, l’immedesimazione del lettore o dello spettatore nel personaggio. Il punto nevralgico della storia è rappresentato dalla responsabilità che deriva dal potere paranormale con cui si ritrova a convivere il protagonista. Essendo un racconto horror (o fantastico), lo scopo del soggetto de La zona morta è estremizzare alcuni elementi basilari della natura umana per renderli più facilmente comprensibili. 


Le capacità dell’individuo, da cui derivano le responsabilità nel gestirle, vengono quindi amplificate, mettendo il soggetto di fronte ad un problema maggiore rispetto a quanto può capitare nella vita quotidiana di ognuno. Il tema della responsabilità dell’individuo è così ulteriormente spinto al suo eccesso dalla trama, quando Johnny si ritrova a dover decidere se intervenire violentemente nel corso della Storia, per evitare un futuro tragico all’umanità. Stringendo la mano all’esuberante e demagogo politico Greg Stillson (nel film Martin Sheen), candidato al Senato degli Stati Uniti, il nostro scopre infatti che questi rappresenta un concreto pericolo per il suo paese e per il mondo intero. Il racconto mette Johnny di fronte ad un atroce dilemma: come fare per fermare Stillson, non avendo prove credibili a supporto delle sue, peraltro purtroppo attendibili, visioni? L’unica soluzione pare quella di eliminare il candidato senatore; il finale avrà un esito diverso da quello previsto ma Johnny raggiungerà comunque il suo scopo. Rimangono però alcuni dubbi circa la scelta estrema del protagonista, che prende la decisione di uccidere un uomo in base alle sue visioni oltre che ad un calcolo matematico che giustifica il suo operato: meglio che muoia una canaglia piuttosto che milioni di innocenti.


Ma è davvero una scelta così condivisibile? King, con alcune pennellate della sua storia, prova a convincerci di sì. Tra queste, le principali sono il sacrificio di Johnny, che assume una valenza quasi cristologica (si sacrifica per il bene dell’umanità) e l’atteggiamento vile di Stillson che si fa scudo di un bambino quando si vede minacciato dagli spari; a cui va aggiunta la verve narrativa dello scrittore che opera in tal senso. In fondo, King è un autore, si potrebbe dire, conservatore (usando il termine senza accezioni negative) o tradizionale: l’eroe deve fare l’eroe, a costo di assumersi responsabilità scomode. Cronenberg non contraddice questa impostazione ma, rafforzandola, acuendola, finisce per metterla in dubbio. Le visioni di Johnny sono rese dalla regia in modo molto personale e intenso, tanto che viene spontaneo pensare che siano una sua interpretazione della realtà, più che la realtà stessa. Certo, i risvolti della storia confermano che corrispondono al vero; del resto Cronenberg non vuole dire che Johnny non abbia il suo potere, anzi. Quello che Cronenberg sembra voler mettere in dubbio, senza di fatto farlo, è che il media-Johnny sia necessariamente sempre l’oracolo della verità. Erano gli anni 80 e in quel tempo si affermava la convinzione che una cosa fosse vera perché era mostrata in Tv (oggi accade lo stesso con internet) e cos’è il protagonista di La zona morta se non una sorta di canale in grado di proiettare la visione al di là del tempo e dello spazio? Insomma, per certi versi ricorda molto il media televisivo, con le sue dirette, le sue differite, le sue previsioni, provenienti da qualunque angolo del globo e da qualunque tempo. Ma, per quanto le sue facoltà non siano messe in discussione dai passaggi della trama, Cronenberg ricorre all’etica per ricordare che nessuna presunzione di verità (attendibile o meno) può rendere moralmente accettabile un gesto immorale. Neppure se il protagonista è infallibile, se è John Smith, il tipico eroe americano, e se a raccontarne le gesta è il re della letteratura a stelle e strisce. 



Brooke Adams


3 commenti:

  1. mi sa che devo approfondire i film di questo regista, ho visto un bel po' di titoli... a parte Videodrome che conosco già...
    anche perchè non sono tanto fan del Macdonald, io :D

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Beh, quella era una citazione di una battuta più o meno famosa ma che rende bene, secondo me, la poetica di King.
    Per quel che riguarda Cronenberg posso solo dirne bene: è il regista contemporaneo che preferisco.

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