894_PROFESSIONE ASSASSINO (The Mechanic); Stati Uniti, 1972; Regia di Michael Winner.
Michael Winner, il regista di Professione assassino, si rese conto subito, evidentemente, di aver
trovato l’interprete giusto, ossia Charles Bronson, per la sua poetica. Dopo averlo diretto in Chato, il regista britannico arruolò
ancora l’attore per il quasi contemporaneo film sulla figura di Arthur Bishop,
un sicario, freddo e spietato, con il quale provare a dare credito alle sue
idee per la verità pericolosamente interpretabili come reazionarie. Che Winner fosse convinto che la società non
soddisfacesse i criteri di giustizia, è evidente sin da questi due film, Chato e Professione assassino, entrambi del 1972, ma il punto di vista del
regista diventerà celebre grazie soprattutto alla serie del giustiziere della notte, sempre con
Bronson. In realtà, almeno stando a Professione
assassino, la posizione di Winner non è così netta: traspare un certo
disamore (eufemismo) per la società, per le leggi che devono essere rispettate
per poter far parte della collettività, che imbrigliano la vena individualista.
Ma, e lo dice lo stesso coprotagonista Steve Mckenna (Jean-Michelle Vincent) a
Bishop, l’organizzazione nella quale il sicario opera per poter stare fuori
dalle regole che la gente comune è costretta a seguire, gli impone altre
regole, e quindi crolla tutto il castello di considerazioni fatte da questi in
precedenza. In effetti, nei passaggi in cui Bishop spiega (spesso controvoglia) a Steve le motivazioni della sua
professione, sembra trasparire parte della filosofia
del regista, e questo rende legittima l’impressione di fastidio per una certa pretenziosità
del testo.
Ma poi la trama, soprattutto il finale, si conclude
malamente sia per Bishop, finito sulla lista delle persone da eliminare della
stessa organizzazione di cui fa parte, sia per Steve, colpito dalla vendetta
postuma dell’esperto killer. Se consideriamo che Bishop non aveva esitato ad
eliminare il padre di McKenna, suo grande amico, proprio per via degli ordini
dall’alto, si comprende che i protagonisti si muovono all’interno di una
spirale che non concede loro via di uscita. In questo senso, qualche dubbio sul
fatto che il film comunichi valori reazionari
deve venire, non avendo, nel film stesso, questi valori un risultato complessivo consolante. Dal punto di vista
visivo, sia Winner che Bronson, nell’action-movie
ci sanno fare, e numerose sono le scene interessanti. Dai primi 16’ in silenzio, al folle
inseguimento ambientato sulla costiera a sud di Napoli, tra una meravigliosa Fiat 130 e una Peugeot 404, concluso poi con un’insolita Alfa Romeo 2600 Berlina
e l’immancabile Alfa Romeo Giulia Ti
che finisce distrutta dopo uno spettacolare volo nella scarpata sul litorale.
Da segnalare anche un’altra nobile auto che fa una tristissima fine, ovvero la Ford Mustang rosso
fiammante che salta per aria nell’esplosivo finale. Insomma, un film nemmeno
disprezzabile, ma per il quale non potremmo parafrasare il saluto con cui Steve
congeda definitivamente Bishop: vedi Napoli e poi muori, non può certo
diventare vedi ‘Professione assassino’ e
poi muori. Ci sono molti film da vedere, ancora, e molti di loro onestamente
migliori di questa professionale
opera di Winner.
Jill Ireland
anch'io sono dell'idea che molte cose della società andrebbero sistemate... ma non non lo dico in un'ottica individualista, anzi...
RispondiEliminasono per una collettività che funzioni :)
Beh, come darti torto.
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