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giovedì 27 gennaio 2022

THE EICHMANN SHOW

963_THE EICHMANN SHOW ; Regno Unito, 2015; regia di Paul Andrew Williams.

Un tempo, la matrice televisiva dei tv-movie era generalmente indice di una certa piattezza in sede di regia; oggi questo è un po’ meno vero, visto che in molte serie tv si vede un uso un po’ più personale della tecnica di ripresa. Anche The Eichmann Show di Paul Andrew Williams conferma questo trend e, dal punto di vista tecnico, presenta qualche passaggio apprezzabile. Tra l’altro, il film è incentrato su una produzione di un evento in diretta televisiva, il processo al gerarca nazista Adolf Eichmann, e quindi anche lo stile, che rimane comunque un po’ televisivo, è inerente, se non congeniale, al tema trattato. Siamo nei primissimi anni Sessanta del secolo scorso, un tempo in cui il mezzo televisivo aveva già raggiunto una potenza di fuoco non indifferente, cosa di cui si cominciava ad avere una certa consapevolezza così il racconto filmico si muove su due piani: da una parte vi è la questione approfondita nel processo, dall’altra la spettacolarizzazione che deriva inevitabilmente dal divenire un evento mediatico. Dal lato delle istituzioni preposte (i giudici), vediamo un tentativo di tenere ben distinti i due piani: le telecamere verranno ammesse al processo solo se saranno una presenza non ingombrante. D’altra parte l’Olocausto è un tema da prendere con le molle, e una certa prudenza è più che comprensibile. Il produttore Milton Fruchtman (Martin Freeman) spinge, sull’altro versante, per produrre un evento che sia, oltre che un atto di giustizia esemplare, anche un successo mediatico. Il punto di intersezione tra i due piani è il regista Leo Hurwitz (Anthony LaPaglia) che vuole usare il mezzo televisivo per un’operazione di più elevato livello morale. 

Se riuscirà, infatti, a mostrare il pentimento sul volto di Eichmann, avrà dimostrato come i nazisti non fossero mostri, ma semplicemente uomini come lo siamo tutti; uomini che hanno sbagliato, e sbagliato molto, come possiamo, in determinate circostanze, sbagliare tutti. L’intento è lodevole, sebbene forse un po’ troppo astratto; al cospetto dell’obiettivo della sua Macchina da Presa c’è infatti un individuo che difficilmente potrà mostrare qualche sentimento umano, in quanto, come molti nazisti, ha probabilmente perso la propria umanità di fronte alla gravità di quello che stava facendo. In ogni caso l’operazione auspicata dal regista (raffigurare il pentimento di Eichmann in diretta tv) fallisce, e lo stesso Eichmann verrà colto in fallo solo da una sua contraddizione, attraverso la quale si aprirà un varco nell’impassibile muro ipocrita dietro al quale si celava il gerarca nazista. 

Piccolezze, in fondo, cose meschine; ma emblematiche per capire la statura morale di quegli individui che si nascondevano dietro un mal riposto senso del dovere. Sotto questo aspetto il film di Paul Andrew Williams, al contrario di quello di Hurwitz all’interno del racconto, riesce nel suo intento: il nazismo è mostrato in tutta la sua ipocrisia, nella sua minuscola cifra etica o morale. Eichmann non può pentirsi: è un uomo troppo piccolo, troppo meschino, per potersi pentire (di un crimine così grande poi). Può rammaricarsi di essersi contraddetto, questo sì; perché i nazisti erano solo burocrati senza cuore né cervello. Leo Hurwitz, il regista che nella finzione dirige le riprese, ha però ragione in una cosa: i nazisti non erano mostri. I mostri, lo dice anche l’origine del nome (dal latino “monstrum”, ovvero “prodigio” “cosa straordinaria”) hanno un loro valore insito, una loro forza interiore, sia essa rivolta al bene o al male. I nazisti, al contrario, erano la negazione di ciò: burocrati piccoli e meschini che non avevano alcun significato in sé stessi ma unicamente nel ruolo che dispoticamente svolgevano. E quindi, in sostanza, e qui sta il vero acume di Hurwitz/Williams, molto più simili a noi di quando non ci possa sembrare.


2 commenti:

  1. Sì, anch'io ho notato un miglioramento dei telefilm su quel versante :)
    Poi si può discutere quanto sia importante la tecnica nell'esito finale... Ma certo una fotografia più efficace non può che far bene ;)
    Per capire quanto dignitosa possa essere la figura del mostro, ci vengono in aiuto un bel po' di storie di Zagor... 🙂

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  2. Ah beh, ce n'erano anche al cinema, da cui appunto Nolitta attinse a piene mani. Io trovavo magari non propriamente 'dignitosa' ma comunque apprezzabile, perfino l'Hellingen nolittiano. Trovavo che, nonostante fosse un personaggio completamente negativo (è ovvio), potesse avere delle motivazioni (interpretate in modo aberrante, d'accordo). Ma il fatto che fosse stato rifiutato dalla comunità scientifica, pur essendo il migliore, lo rendeva, in senso un po' lato, un emarginato e, da lì, poteva nascere il disagio che lo aveva portato alla pazzia malvagia. Ecco, in quello ci trovavo uno spessore, un'umanità, che poi si è persa. La variante protonazista dell'ultima (?) storia non mi convince: i nazisti non erano persone di valore, secondo me; l'Hellingen di Nolitta sì.

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