Ci sono argomenti
narrativi talmente entusiasmanti che si pensa, erroneamente, possano
giustificare da soli una storia da raccontare. Dove per argomenti si può
intendere eventi, personaggi, miti, popoli, animali, perfino macchine; quello
che si vuole insomma. Ad esempio anche un tipo di dirigibile della Prima Guerra Mondiale. I famosi Zeppelin
tedeschi erano macchine meravigliose e terrificanti insieme: esattamente come
quello protagonista del film di Étienne Périer che prende il nome da questa
straordinaria aeronave. In sostanza l’errore del regista belga è grave, perché
non sfrutta a dovere la potenzialità che gli capita tra le mani; se alla fine
se la cava è perché comunque Zeppelin,
il suo film del 1971, è comunque divertente ed interessante. Ma poteva e anzi
doveva essere di più. L’impressione è che Périer si concentri prevalentemente
sulle sequenze che vedono in scena il maestoso dirigibile, che sono
effettivamente spettacolari, ma non costruisca un film adeguato a supporto di
quello che è e sarebbe rimasto comunque il motivo di interesse principale. Ma
che da solo non basta a far davvero decollare il film. In un certo senso
l’impiego di Elke Sommer conferma questo modo di operare da parte del regista:
vero è che la Sommer
forse aveva già visto sfumare il suo momento di gloria, non colto pienamente
dopo l’exploit di Uno sparo nel buio
(1964, regia di Blake Edwards). Ma la sua presenza in Zeppelin appare davvero solo legata al suo aspetto e se è vero che
a livello scenico è l’unica a reggere il paragone col fascino tecnologico del
dirigibile, non vi risulta troppo compatibile. Insomma, evidentemente tra gli
ingredienti della storia era richiesta una figura femminile e si è preso la Sommer senza curarsi se poi
il suo ruolo potesse avere uno sviluppo inerente al soggetto. Con una bambola come Elke che scorazza per il
dirigibile, peraltro nel ruolo di una assai poco credibile scienziata, l’unica
scena un po’ pepata è un bacio rubato nella cabina della radiotrasmittente.
Tanto valeva prendere un’attrice meno avvenente, a questa stregua. La bellezza
e il fascino di Elke finiscono infatti per creare inevitabilmente
un’aspettativa nello spettatore che poi Zeppelin
lascia delusa.
Ed è lo stesso discorso che si può fare per il dirigibile
stesso. Il copione senza nerbo imbastito dagli autori è il punto debole
dell’operazione sebbene l’incipit con le scene dell’attacco sopra a Londra sembrava
dare buone speranze; poi la storia si complica un po’ con il protagonista Geoffrey Richter-Douglas (Michael York) che viene rimpallato tra
inglesi e tedeschi. Siamo nel 1915,
in piena Guerra
Mondiale; il tenente dell’aviazione Geoffrey è inglese ma ha sangue
tedesco. Forse temendo un suo tradimento, l’esercito di sua maestà non lo ha
ancora impiegato in nessun ruolo di valore. Almeno finché il servizio segreto
inglese opta per spedirlo in Germania: facendo leva sulla sua origine tedesca Geoffrey
otterrà un incarico nell’esercito imperiale mentre continuerà a servire
l’Inghilterra nello scomodo ruolo di spia. In Germania sono ovviamente
sospettosi nei suoi confronti ma provano subito a sfruttare la sua conoscenza
del suolo britannico per una pericolosa missione in Scozia. Il volo inaugurale
dell’EZ 36, l’enorme dirigibile vero protagonista del film, è presto
trasformato in un’incursione che mira a distruggere l’originale Magna Carta inglese, la Carta Costituzionale
del Regno Unito. L’idea è piuttosto bizzarra ma intendeva mettere in rilievo
come l’operato degli Zeppelin sui cieli inglesi avesse un impatto più
psicologico che concreto: il fatto che i dirigibili volassero a quote che non
erano raggiungibili dai caccia
alleati li teneva fuori portata da qualunque controffensiva con grande
disappunto per i britannici. Inoltre, per abbattere gli zeppelin, occorrevano
proiettili incendiarli; diversamente il dirigibile, una volta forato, perdeva
semplicemente un po’ di pressione ma non in modo così rilevante. Questo era
ulteriormente fonte di frustrazione per gli inglesi a cui non restava di subire
le incursioni tedesche senza poter replicare almeno fino al completamento dello
sviluppo costruttivo di nuovi proiettili incendiari adeguati. La distruzione
della Magna Carta sarebbe stata
un’ulteriore umiliazione che avrebbe, secondo i piani tedeschi del film, minato
in modo irrimediabile il morale inglese. Come prevedibile, essendo il film una produzione appunto inglese, questi
propositi rimarranno tali e l’operazione finirà in un fiasco. Anzi in un falò:
concreta fine del dirigibile e anche efficace metafora delle risorse investite
nel film a fronte del penoso risultato al botteghino. Il finale con Geoffrey ed
Erika, il personaggio della Sommer, che riparano nella neutrale Olanda con il
destino di rimanervi fino alla fine della guerra, sembra inoltre un tentativo
un po’ maldestro degli autori di prendere le distanze dal conflitto. Non a caso
il protagonista è di sangue sia inglese che tedesco ed è conteso dalle due
potenze nemiche, una posizione in bilico sin dall’inizio, sebbene rimanga
sempre fedele alla corona. La scelta di un esilio forzato e pacifico in Olanda sembra
però simbolica: e, anche in questo caso, l’idea di non adottare una soluzione
narrativa forte tradisce gli autori. Insomma, nemmeno il finale convince,
nonostante si possa ipotizzare che, ad allietare il soggiorno inglese di
Geoffrey, ci sia la presenza della bella Elke. Ma, in sede di commento
conclusivo, non si può andare oltre ad un buon
per lui.
Elke Sommer
In pratica come avere un fumetto con disegni strabilianti che però non sono supportati da una valida sceneggiatura...
RispondiElimina... ti ricorda qualcosa, neh? 0:)
RispondiEliminano, davvero (^^)
RispondiEliminada quando i fumetti li faccio io stesso, sono diventato meno critico verso gli altri...
Poi certo ho le mie preferenze, lo si vede da quali fumetti mi viene voglia di rileggere...😇
Si certo, la mia era solo una battuta. Non polemizzo più sugli sceneggiatori di fumetti nelle sedi apposite, figuriamoci se voglio farlo qui. :)
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