Quando dietro alla Macchina
da Presa c’è Howard Hawks, si può stare certi che l’equilibrio non mancherà
mai al film che andremo a vedere. Anche quando, come è il caso de La
Squadriglia
dell’Aurora, manchi un elemento, quello femminile, in genere presente in
qualunque tipo di produzione cinematografica. E dire che, in film come quelli
di genere bellico, tipicamente maschili, le figure femminili vengono spesso
usate proprio per bilanciare un po’ il racconto che, diversamente, rischia di
diventare una semplice cronaca di guerra. Dall’alto della sua classe il regista
americano non se ne cura e se il soggetto non prevede nessuna donna nella
storia, semplicemente non ce ne mette così come, in un caso diverso, potrebbe
invece aggiungerne più di una. Qui però Hawks sembra interessato a bilanciare
in modo perfetto i due temi della vicenda, quello morale sulla responsabilità
del comando e quello spettacolare legato alle mirabolanti azioni dei biplani. L’argomento
principale de La Squadriglia dell’Aurora, anche stando a quanto
dichiarato dallo stesso autore, è l’angoscia che attanaglia il comandante
costretto dagli ordini a mandare i propri uomini incontro a morte sicura ma, conoscendo
Hawks, è comunque evidente che l’aspetto
tecnico della storia non fu per niente trascurato. Sapendo che quest’ultimo
fungeva da richiamo per il pubblico, il cineasta americano comincia subito con
un dogfight (un combattimento aereo)
coi fiocchi che si conclude con una spettacolare caduta in avvitamento di un
Fokker tedesco. Ma ben presto i cieli e gli spazi aperti lasciano sempre più
campo agli interni dell’edificio usato come quartier generale dal 59simo Squadrone Britannico, la Pattuglia dell’Aurora del titolo. E’ infatti qui
che si consuma la maggior quantità di tensione, con il comandate, il maggiore
Brand (Neil Hamilton) costretto a contare nuovi morti tra i suoi uomini ogni
volta che rientrano da una missione.
Le incursioni aeree dello stormo si
susseguono ma per lo più il regista sceglie di rimanere a terra, dove infatti
hanno largo spazio anche i personaggi di mero contorno, come il tenente Phipps
(Edmund Breon), ufficiale di servizio nell’ufficio del maggiore Brand, il
soldato Bott (Clyde Cook), sorta di barman o il sergente Field (il mitico James
Finlayson, ovvero l’omino pelato coi baffoni che strabuzza gli occhi nei film
di Stanlio e Ollio). In realtà, il ruolo più importante, evocato a carattere
cubitali sin dal manifesto, è per Richard Barthelemess nei panni dell’asso
dell’aviazione Dick Courtney; a suo fianco, in quelli di sua degna spalla nei
combattimenti aerei, Douglas Scott è interpretato da Douglas Fairbanks Jr.
Eppure, per buona parte del lungometraggio, l’obiettivo di Hawks sarà puntato
sulla loro assenza, sulla speranza che facciano ritorno e che non siano tra le
sempre più frequenti vittime di von Richter, l’asso degli assi della Luftstreitkräfte, leader di una
squadriglia tedesca composta di soli veterani. Questo permette al regista di
focalizzare bene il tema centrale, quello della responsabilità di comando che,
nel corso del racconto, passa da Brand a Courtney, col secondo che si trova
oggetto delle stesse feroci critiche che riservava al suo comandante in
precedenza. Prima della chiusura, ci sarà un ulteriore drammatico passaggio di
consegne, che permetterà a Scott, nuovo capo squadriglia, di comprendere la
difficoltà in cui si era trovato Courtney nel momento in cui era passato da
semplice compagno di battaglia a ufficiale più alto in grado e quindi costretto a dare ordini. Pur mancando
l’elemento femminile, la vicenda riserva notevoli dosi di emozioni di stampo
sentimentale, seppure in chiave virile oppure fraterna. Giustappunto uno dei
passaggi più drammatici è costituito dall’arrivo, tra i nuovi cadetti, di
Gordon (William Janney), fratello minore di Scott. Courtney è costretto, vista
la scarsità di organico, ad impiegarlo subito in una pericolosa missione e,
come avveniva quotidianamente, in qualità di nuovo arrivato era praticamente
una vittima predestinata.
Questo incrina, quasi definitivamente, il rapporto
tra i due ex compagni di battaglia, e verrà recuperato solamente in extremis
con il sacrificio di Courtney in una missione suicida in cui si era offerto
volontario lo stesso Scott. Da un punto di vista del racconto, una volta chiarito
per bene qual è l’argomento principale, Hawks si concede una serie di scene
acrobatiche di combattimenti aerei d’alta scuola. Il regista era stato pilota e
aveva, oltre che competenza diretta, una evidente passione per la meccanica che
si traduceva nell’attenzione ai dettagli tecnici, dal rombo dei motori alle
scodate prima degli atterraggi, e non solo alle funamboliche evoluzioni in volo
durante le furibonde battaglie. Un aspetto che rende La
Squadriglia
dell’Aurora un film moderno, nonostante si tratti di un’opera del 1930, è
l’assoluta neutralità dello sguardo di Hawks.
I tedeschi sono nemici, dipinti
anche in modo cagnesco, si veda
l’inquietante sovraimpressione che accompagna von Richter quando questi appare
sullo schermo, ma questa era effettivamente l’idea che i militari
dell’Imperatore ispiravano nel nemico. Era una caratteristica propria delle
forze armate del Kaiser e l’aviazione riusciva ad utilizzarla al meglio per
conferire ai suoi cavalieri dell’aria
un fascino non solo nobile ma quasi divino, quasi fossero una materializzazione
del Destino. I piloti erano tanto
calati nella parte che adottavano spesso un comportamento in linea con questa
aurea che li accompagnava: lotta senza quartiere durante la battaglia aerea ma
senza scadere mai in atti di viltà o imbrogli. La scena col prigioniero tedesco
che viene invitato a bere e cantare insieme ai piloti alleati, se pare
insopportabile a Hollister (James Gardner), è in parte perché l’ufficiale è
ancora sconvolto per la perdita di un collega suo carissimo amico, in parte
perché non ha ancora compreso la natura della guerra aerea nel primo conflitto
mondiale.
allora di sicuro mia madre non lo vorrebbe vedere, ogni volta che le capita un film senza personaggi femminili lo sottolinea sempre, come se fosse una grave mancanza...
RispondiEliminaCurioso parlare di ciò proprio nel giorno della Befana :D
Pura coincidenza!
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