954_L'EQUIPAGGIO (L'équipage); Francia, 1935; Regia di Anatole Litvak.
Ormai sembra che il racconto ci abbia detto tutto: su un letto di un ospedale militare il tenente Maury (Charles Vanel) è assistito dalla bella moglie Hélèn (una fulgida Annabella), che ha un’aria comprensibilmente mesta. Il suo amato Jean (Jean-Pierre Aumont) è morto ed ora la sua vita le pare non aver più senso; certo, il marito è un brav’uomo ma al cuor non si comanda (specie nei film romantici) e, qualche tempo prima, si era inopinatamente innamorata di quel giovane aviatore che stava per andare in guerra; e si trattava della Grande Guerra, mica una guerra qualsiasi. Alla stazione, quando Jean era in procinto di partire per il fronte, il giorno dopo averla conosciuta, lei aveva chiesto in quale squadriglia fosse destinato. Alla risposta del cadetto, un moto di sconcerto le aveva attraversato il viso. Anatole Litvak, il regista di L’equipaggio, era un maestro della regia e gli bastano pochi minuti per darci gli strumenti per poter comprendere quanto poi accadrà. Jean si unisce così al 37° stormo senza sapere che in quella squadriglia è arruolato il marito di quella ragazza che crede si chiami Denise ma che è in realtà Hélèn, la consorte del tenente Maury. Il quale ha avuto qualche colpo di sfortuna ed è ora additato come menagramo dagli altri aviatori. In realtà il tenente è un ottimo pilota e se i suoi compagni di volo, gli osservatori, erano morti nei combattimenti aerei, si trattava di semplici casi del destino. Il tema della fortuna, in un ambito in cui la morte era una presenza ossessiva come nell’aviazione della Prima Guerra Mondiale, era molto sentito dai membri della squadriglia e permetteva di affrontare con un certo fatalismo un’attività tanto pericolosa.E’ un argomento che si è già
visto, in questo tipo di film, sebbene raramente in modo così ben articolato:
in L’equipaggio è anche mostrato uno degli effetti negativi di questo
atteggiamento, con la ricerca di un capro espiatorio a cui addossare tutte le
sfortune del caso. L’arrivo di Jean, con la sua indole in buona fede, permette
di spezzare questo meccanismo: la sua scelta di volare con Maury, fin lì evitato
da tutti, finisce per ribaltare completamente la situazione. Maury può finalmente
farsi valere e in coppia con Jean presto diventano l’equipaggio di riferimento
della squadriglia. L’onestà di fondo di Jean è quindi certificata dal suo
atteggiamento nei confronti del più anziano pilota, soprattutto quando la fama
di questi era completamente negativa.
Questi dettagli psicologici sono
importanti perché, forti della scena dell’incipit con il volto dell’attrice
Annabella che si era turbato all’improvviso, siamo in grado di comprendere
subito che c’è un inghippo tra i due uomini, già dal loro primo incontro. I due
parlano delle rispettive donne, Hélèn moglie di Maury e Denise la ragazza
incontrata solo il giorno prima della partenza da Jean: qualcosa ci dice che,
inevitabilmente, si tratti della stessa persona. Siamo nel classico triangolo
melodrammatico in cui i due uomini sono però scagionati da qualunque eventuale
critica di scorrettezza. Quando la doppia identità di Hélèn/Denise viene
scoperta da Jean, il giovane reagisce malamente, allontanandosi da Maury e
cercando di fare la stessa cosa nei confronti della donna. La quale però ormai
ha perso la testa per il ragazzo e non demorde; Maury, nel frattempo, non ci si
raccapezza più. Il compagno di equipaggio, con cui aveva un’intesa perfetta,
ora lo evita come la peste; e se la donna fin lì aveva mantenuto un profilo
ordinario nelle comunicazioni per lettera, ora se la ritrovava addirittura al
fronte! In realtà Hélèn/Denise è andata a trovare il marito perché Jean non
rispondeva alle sue lettere, ovviamente, ma di questo il povero Maury non
sospetta ancora nulla. L’atteggiamento della donna è evidentemente discutibile:
lei è la moglie di Maury quando si innamora di Jean ed è questo il punto
critico della vicenda. Ma già questa stringata definizione contiene la risposta
a questo problema e, in un certo senso, motiva, se non giustifica, anche il
bieco ricatto a cui Hélèn/Denise sottopone Jean: se il giovane non lascia il
combattimento per divenire istruttore, rivelerà infatti la tresca a suo marito.
La donna non solo è terrorizzata dall’idea che Jean possa morire, ma è anche indispettita dal rapporto che lega il ragazzo a Maury; un rapporto che le sembra sia dal ragazzo ritenuto superiore all’amore che prova per lei. Addirittura Jean le sembra anteporre il sentimento corporativo per i propri compagni con cui rischia la vita, alle sue questioni amorose. Qui, va precisato, sia Litvak che Annabella sono molto bravi nella descrizione dei sentimenti della protagonista. A contrariare la donna è quindi un motivo strettamente egoistico: sia Jean, ma prima di lui perfino Maury, la mettono in secondo piano rispetto al loro dovere patriottico. E il ricatto che inscena Hélèn/Denise è un moto di disappunto che deriva da questa amara consapevolezza. Eppure, come detto, è la primissima descrizione dei fatti che contiene la soluzione: Hélèn/Denise si innamora di Jean.
A fronte di
questo sentimento, potentissimo e, ancora una volta, ben interpretato sullo
schermo dall’attrice francese, tutto il resto scivola in secondo piano e non
può assolutamente contare niente. A nulla, al suo confronto, valgono i valori
come l’amicizia, il patriottismo, il senso del dovere: l’amore è una forza
superiore. In ogni caso, alla fine anche un bonaccione come Maury comprende e,
nonostante Jean avesse negato fino all’ultimo, la verità è venuta a galla. E
senza bisogno di parole, a riprova della maestria di Litvak alla regia: il
giovane è morto stringendo tra le mani le foto dell’amata Denise e Maury,
vedendo l’immagine di sua moglie con un nome diverso, ha tacitamente compreso
tutto. Con la dissoluzione del triangolo amoroso e il chiarimento dei ruoli, la
storia sembra quindi esaurita. Invece manca ancora il passaggio più bello, più
intenso.
Come detto, siamo con Maury e Hélèn in un ospedale militare, quando
arriva il piccolo George (Serge Grave) fratello di Jean: alla sua sorpresa nel
vedere la donna, fa eco lo sgomento di questa che teme di essere tradita e
quindi si apparta leggermente. Il ragazzino vuole salutare il compagno d’armi
tanto apprezzato dal fratello e, cosa non secondaria, vuol sapere se Jean in
punto di morte ha avuto un pensiero per lui e per la madre. Maury, l’abbiamo
capito, è un uomo di cuore e risponde di sì: l’ultimo pensiero di Jean è stato
per la sua famiglia. Nel dire queste parole, non si può far a meno di avere un
lieve sospetto, del resto sappiamo che è una bugia; l’espressione addolorata di
Hélèn, nel sentire queste parole, in questo senso sembra una doppia conferma. Di
un certo egoismo che connota l’amore femminile, per cui la ragazza è ferita per
non essere stata l’ultimo pensiero di Jean; e poi, forse, che Maury sia meno
bonaccione del previsto e abbia appena ferito consapevolmente la consorte per
vendicarsi del tradimento. Il tutto con alcune semplici parole di circostanza
tra un reduce di guerra e il fratello del commilitone caduto: ma la questione
non è affatto chiusa. Hélèn, mentre congeda George, trova la maniera di
spiegare al ragazzo la situazione e la profonda motivazione al suo
comportamento: l’amore.
Il ragazzo, conoscendo la sincerità dei sentimenti del
fratello, comprende quindi anche quella della donna nonostante le apparenze. Ma,
la sorpresa, in questo senso, deve ancora arrivare: l’amore è in effetti il motore dell’ultima svolta romantica del racconto, ma l'ultima parola in questo senso spetta all’amore di Maury per
Hélèn. L’uomo, con malcelata nonchalance, le rivela di aver detto al ragazzo una
pietosa bugia: Jean è morto stringendo tra le mani la foto della sua ragazza,
Denise. Nelle parole del veterano, traspare la comprensione per la moglie, per
i suoi sinceri sentimenti di cui non può essere accusata: mentre Maury ha
parole di commiserazione per Denise che sono però rivolte ad Hélèn; la donna,
commossa, prega il marito di lasciar perdere e di cominciare a pensare a sé
stesso. Il sentimentalismo gronda copioso ma assai ben gestito da Litvak che,
in ogni caso, fa aprire la finestra per alleggerire un po’ l’atmosfera e far
defluire la commozione.
Apriamola anche noi.
Apriamola anche noi.
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