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venerdì 27 dicembre 2024

SAVANA VIOLENTA

1598_SAVANA VIOLENTA . Italia 1976: Regia di Antonio Climati e Mario Morra

Nelle stringate parole di Franco Prosperi tratte dall’intervista pubblicata su Jacopetti files, si può cogliere il senso di Savana Violenta. L’intervistatore chiede: “E invece in Savana Violenta, che lei ha definito il premio che Lombardo (Goffredo Lombardo, produttore della Titanus, NdA) le diede con la possibilità di girare questo film, fu, dunque, per il successo di Ultime grida dalla savana o perché c’era ancora del materiale pronto ad un nuovo utilizzo?”. La risposta di Prosperi: “Sì, c’era ancora del materiale. Fui autorizzato ad usarlo e poi io accettai per ragioni economiche. Sì, accettai di girare questo nuovo documentario dato il successo del primo”. [Postfazione. Sopravvivendo in una E. Da Mondo Cane a Belve Feroci. Conversazione con Franco Prosperi. Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 320]. Il commento di Prosperi, che si autodefinisce regista del film ufficialmente firmato da Climati e Morra, non lascia molti dubbi, in merito all’intento ‘alimentare’ di Savana violenta. Non che gli altri esempi di Mondo movie – e, ad essere onesti, di quasi tutto quanto il cinema, in particolar modo quello ‘di cassetta’ – non avessero questo come primo motivo di esistere. Però si può comunque fare una distinzione tra opere che avessero qualche spunto, se non proprio autoriale, quantomeno originale, personale o almeno ‘sentito’, e altre che ricalcavano pedestremente una formuletta di successo per cercare di sfruttarne la scia. In effetti, più che Ultime grida dalla savana, questo nuovo film firmato Climati & Morra, ricorda Mondo cane di Gualtiero Jacopetti e Franco Prosperi, il film che aveva dato il vero imprinting al genere. Prosperi aveva buone capacità registiche, la fotografia di Climati era eccellente e Morra, al montaggio, era indiscutibile: se ci aggiungiamo la musica allegra dei fratelli De Angelis, abbiamo quello che ha tutta l’aria di essere un film di finzione che, blandamente, si spaccia per documentario. Con alcuni passaggi anche gustosi, come quello celeberrimo del caimano catturato nelle fogne di New York.
“Gli argomenti e gli episodi basati sulla cruda realtà del mondo moderno sono stati realizzati con la tecnica del «Cinema Verité» in funzione di una vertà nozionistica alla quale ci siamo ispirati” recita in realtà una didascalia posta subito dopo i titoli di testa. Non esattamente il massimo della correttezza, se si vuol essere fiscali, ma questi erano i Mondo movie. A questo proposito, severo il commento apparso ai tempi sull’Eco di Bergamo: “La tecnica – avverte una didascalia iniziale – è quella del «cinema verità» e l’intento è quello «nozionistico». Non è vera né l’una né l’altra cosa. Il «cinema verità» è una tecnica (non disgiunta da finalità espressive: si vedano i registi della passata «nouvelle vague» francese) che consiste nel riprendere spicchi di vita all’insaputa di chi li sta vivendo (e quindi celebrare l’autenticità) e in Savana violenta questo non accade che raramente visto che chi è ripreso, animali compresi, partecipa attivamente alle riprese e poi perché su certi episodi non ci sarebbe proprio da mettere la mano sul fuoco”. [
Vice, «L’Eco di Bergamo», 8 settembre 1976, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 243].
Insomma, nemmeno Savana violenta convinse la critica: “Una sfida sottintesa al pubblico, del quale di proverà la resistenza con sequenze orripilanti ora autentiche, ora in odore di fasulla ricostruzione. E tanti spettatori accettano masochisticamente il cimento: riusciranno a non abbassare mai lo sguardo? Il rischio è forte. Gli autori ce la mettono tutta per raggiungere l’unico oggetto che sembrano proporsi. Non è facile reggere la vista di un fachiro che si taglia la lingua, dei miseri resti di una ragazza maciullata da uno squalo, di un diciottenne fucilato tra le rovine del recente terremoto in Guatemala, degli aborti procurati violentemente su ragazze africane.
Una rassegna di orrori offerti alla platea senza apparenti motivazioni plausibili con il comodo, e non sempre convincente, alibi del documento”. [s. c., Ancora violenza dalla savana, La Stampa, anno 110, n. 190, giovedì 2 settembre 1976, pagina 7]. Durissima, poi, la recensione su Rivista Cinematografica: “Esiste un «colonialismo delle immagini» molto pericoloso, in quanto operazione decisamente reazionaria. Con l’alibi del documentario-verità, si smercia, sotto una forma spregiudicata (apparentemente), tutto il vecchio ciarpame relativo ai popoli del terzo mondo visti, in genere, come un’accozzaglia di «selvaggi», al fine di tranquillizzare lo spettatore benpensante, ovvero a convincerlo che la sua «realtà» sia la migliore possibile. E ricorrendo ad un sensazionalismo di bassa lega, si sviluppa un discorso che non ha un minimo di logica (da un punto di vista antropologico-culturale), il cui unico obiettivo è far cassetta, sfruttando l’antico cliché di stampo manicheo che vede come «cattivo» e «strano» (ma sempre in negativo) tutto ciò che non è «bianco», cioè «civile». Savana violenta è da respingere senz’altro, perché «etnologicamente» subdolo, quindi pericoloso come e più di un «film d’ordine», anche se su un piano diverso”. [A. Ma., Rivista Cinematografica, 1-2/1977, Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 244].
Ancora una volta, leggendo certe critiche ad un Mondo movie, si rimane un po’ esterrefatti. Savana violenta è sicuramente un’operazione commerciale non particolarmente memorabile, questo va detto, ma il qualunquismo che la contraddistingue, è davvero così pericoloso? L’impressione, guardando il film dopo quasi mezzo secolo dalla sua uscita, è che l’opera non ambisse ad essere davvero credibile. Il film sembra quasi un divertissement e, in questo senso, oltre alle musiche dei fratelli De Angelis, la traccia audio sforna una serie di esempi dove l’ironia è perfino esagerata. Dagli urletti delle ragazze indigene addobbate come lucciole –termine inteso come insetto– alla radiocronaca calcistica in sottofondo alle gesta delle manguste, al canto gospel dei pinguini. Certo, si può discutere della sensibilità di accostare queste scene dal tono scanzonato ad altre ad alto tasso di drammaticità, con passaggi di estrema durezza. Ma è evidente che il genere Mondo ricercasse piuttosto l’antitesi al cosiddetto «buon gusto» e, su questo, si può discutere. È opportuna la scelta di passare da una scenetta divertita, magari un po’ scabrosa, alla fucilazione di un ragazzo, per poi tornare ad un altro momento palesemente artificioso? Secondo Franco Prosperi, nella citata intervista riportata su Jacopetti Files, sì; non c’era niente di male nel rallegrare lo spirito di chi guarda con una scena comica dopo averlo rattristato con una drammatica. Era una forma arcaica dello zapping che, in seguito, divenne in uso ai telespettatori e oggi può essere assimilato all’utilizzo anarchico dei social network. [
Postfazione. Sopravvivendo in una E. Da Mondo Cane a Belve Feroci. Conversazione con Franco Prosperi. Fabrizio Fogliato e Fabio Francione, Jacopetti Files, Milano-Udine, Mimesis Cinema, 2016, pagina 325]. Onestamente, questo aspetto, che è un po’ il tema dell’intero studio, passa in secondo piano quando la critica del tempo gettava la maschera, come già successo per Africa ama dei gemelli Castiglioni recensito da Bruno Damiani su Cineforum. Anche in questo caso, la critica pubblicata su Rivista Cinematografica sembra sproporzionata alle reali intenzioni del film. Certo, l’effetto positivo –ammesso che lo si possa considerare tale– di Mondo cane, lo scossone a suo modo salutare che aveva dato all’ambiente, era ormai scemato, ai tempi di Savana violenza, e ormai si era al mero sfruttamento di un fenomeno commerciale. Ma, se questo è ed era talmente palese, non poteva esserlo anche per gli spettatori? Il divieto ai minori di diciotto anni, eliminava, almeno da un punto di vista giuridico, il problema di eventuali minorenni: chi si trovava di fronte alle scene era lì di sua volontà, oltre che in grado, almeno in teoria, di affrontare certi argomenti. C’era sempre l’irrisolta questione della veridicità di quanto mostrato e degli effetti deleteri che informazioni sbagliate possano avere sul pubblico. Si narra, ad esempio, che la sequenza del caimano nelle fogne di Savana violenta abbia contribuito alla leggenda urbana dei coccodrilli che vivono sotto le grandi città ma, per la verità, tale fantomatica credenza popolare ha radici ben più antiche. Ma, quando il critico di Rivista Cinematografica scrive che tutto ciò che non è bianco è tacciato dal film di essere «cattivo», si era davvero scordato del bizzarro passaggio ambientato a Londra con le coppie di coniugi che si insultano, oppure di quello con i caucasici che ritornano a vivere come gli aborigeni? O finge opportunisticamente di dimenticarsene perché non fanno il gioco della sua filippica? Il punto di interesse, nei Mondo movie, non fu mai legato tanto al fenomeno cinematografico in sé, che è piuttosto trascurabile, per qualità media delle proposte. Il fatto che colpisce è la risposta che ebbero sul fronte della critica, perfino più di quello che ebbero sulla società. Questo perché, probabilmente, il citato pubblico «benpensante» era già stato, a metà anni Settanta, spodestato da un nuovo modello di spettatore conformato alle nuove linee guida progressiste, democratiche e corrette. E questo spettatore andava difeso, tutelato e, soprattutto, bisognava impedirgli di cambiare idea. E, se, il pubblico, non fosse già completamente assuefatto a questa nuova dottrina, la sua diffusione era appunto l’obiettivo dell’élite culturale. Da un lato, questa incessante propaganda culturale darà vita al cinema «impegnato», dall’altro sarà corresponsabile della morte del cinema ‘di genere’ italiano valido e serio. Il gotico italiano, gli spaghetti western, i thriller nostrani, noti all’estero come «gialli», i poliziotteschi, erano film duri, specchio di un paese dove era arduo cavarsela, e necessitavano di utilizzare la violenza come mezzo espressivo. L’Italia era un paese violento, negli anni Settanta in modo palese, ma lo era stato anche prima, nella strenua difesa del privilegio e della diffusa iniquità da parte della classe egemone. C’era stato il momento di dolersi, di riflettere sulla propria misera condizione, e fenomeni come il Neorealismo erano stati perfetti –e sublimi, cinematograficamente– per questo. Ma era poi giunto anche il momento di rialzare la testa, di provare a scuotersi. Questo avrebbe potuto avvenire in modi diversi, personali, non necessariamente assiepati sulle direttive della rivoluzione sessantottina che fu il fenomeno ‘di tendenza’ –per non dire di moda– in questo senso. Il paese fu attraversato da moti violenti, sia nella realtà che nella finzione artistica. La violenza nella vita quotidiana è sempre da condannare, ma in ambito artistico, può appunto essere un modo per condannare quella fisica e reale. A tal proposito, l’intellighenzia riuscì a compiere un capolavoro di ipocrisia: fu accettata, come inevitabile, perfino la violenza reale se contro il Sistema borghese; di contro, fu condannata addirittura quella in ambito artistico, se non fosse piegata e asservita alle logiche rivoluzionarie sessantottine. Tra i risultati, alla fine di questo processo, ci fu il cinema ‘di cassetta’, anestetizzato cerebralmente, degli anni Ottanta, che la buttava in caciara sperando di sfangarla con una paternalistica sottovalutazione da parte degli intellettuali, e poter continuare a fare soldi mostrando tette e culi. Prima che questo avvenne, ci fu ancora qualche sussulto, e avvenne proprio nei generi considerati più beceri, i Mondo – e i Cannibal, che ne furono una sorta di emanazione. Quasi per una sorta di reazione all’oppressione ideologica, i Mondo movie, in quella fase, divennero più sfacciati, dissacranti, e in questo senso, Savana violenta può essere, per assurdo, quasi un testo imprescindibile, una sorta di moto di protesta all’omologazione. Scanzonato nel suo complesso, ma, ogni tanto, capace di picchiare sotto la cintura. Questo non fa di Savana violenta un bel film, questo va detto; ma quei colpi, leggendo certe recensioni, devono aver fatto male.
E tanto basta.


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