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giovedì 12 novembre 2020

IL DIAVOLO E' FEMMINA

666_IL DIAVOLO E' FEMMINA (Sylvia Scarlett)Stati Uniti1935. Regia di George Cuckor.

Oggi Il diavolo è femmina, commedia del 1935 di George Cukor, è considerato un capolavoro; a suo tempo fu un clamoroso fiasco. Katharine Hepburn, davvero affranta dopo la disastrosa anteprima dell’opera, addirittura si offrì di riparare al flop girando un altro film gratuitamente. Ma Pan Berman, il produttore destinatario dell’offerta, era talmente stizzito che rispose, senza scherzare, che non li avrebbe mai più voluti rivedere: né lei né Cukor. E’ con un certo divertimento, in seguito, che il regista di origine ungherese riporterà questo aneddoto, ma soltanto per i successi che, sia lui che Kate, ottennero nel mondo del cinema, a discapito del senso erroneamente profetico nascosto nelle parole del produttore. Però Cukor non è mai per nulla divertito quando ricorda l’effettivo fallimento commerciale de Il diavolo è femmina; e ha piena ragione di non esserlo. Si tratta certo di un film interessante, gradevole e con alcuni spunti degni di merito, questo è innegabile. La fama attuale è legata al garbo con cui Cukor imbastisce una trama ricca di equivoci e di allusioni, prevalentemente di natura sessuale, senza mai scadere nel volgare. Sylvia Scarlett, il personaggio interpretato dalla Hepburn, spacciandosi per ragazzo, segue il padre in fuga verso l’Inghilterra dalla natia Francia. A corto di denaro e senza occupazione, la coppia si unisce a Jimmy Monkley (Cary Grant), un imbroglione, e a Maudie (Dennie Moore) una cameriera. I quattro mettono su un carrozzone di saltimbanchi e provano a vivere di espedienti, generalmente ben poco legali. 

Ovviamente l’attenzione di Cukor è posta, in questa fase, sulle schermaglie tra la Hepburn e Grant, con l’anomalia che la prima è nelle vesti maschili. Il vero salto di qualità l’opera lo prevede quando i quattro incontrano il facoltoso pittore Michael Fane (Brian Aherne), di cui Sylvia si innamorerà quasi subito. Fane, che tra l’altro ha una splendida fidanzata (Natalie Paley), prende in simpatia il giovinetto sbarbato: quale sia la natura di questa simpatia se lo chiede lo stesso uomo quando scopre che Sylvester, nome che assume Sylvia nei panni maschili, è in realtà una ragazza. In genere, questo tipo di storie che si basano su personaggi en-travesti, vertono in modo sotterraneo sull’interesse morboso verso l’attrazione omosessuale e sulla promiscuità di genere che sono inclinazioni assai meno rare, magari anche solo in forma latente, di quanto sia convenzionalmente accettato. In questi testi, che sfruttano sì la pruriginosità della situazione ma abitualmente preferiscono rimanere conformi alla norma, la rivelazione che sotto le spoglie del personaggio camuffato ce ne sia uno di sesso opposto, è in genere enfatizzata dall’avvenenza sessuale di questi: la bella ragazza che si spaccia per giovinetto o il macho che si finge gran dama, sfruttano la sorpresa della rivelazione legata non solo alla caduta del travestimento, ma anche al loro reale e marcato aspetto, per rimettere le cose a posto. Sotto la maschera i maschi son maschi e le femmine femmine: se il mascheramento confonde, una volta eliminato viene a galla la verità e le due categorie tornano ben distinte. Cukor opta per una scelta meno consueta perché pone nel ruolo equivoco una figura, quella della Hepburn, atipica nel suo essere femminile. 

Kate è una bella donna, indiscutibilmente, ma non ha un forte sex-appeal, anzi ne è quasi sprovvista. La questione non è che l’attrice sia attraente in modo differente rispetto ai cliché a cui siamo abituati, ma è che la sua figura non ostenta particolari richiami alla sfera sessuale. E il suo Sylvester è solo uno sbarbatello, un giovinetto non troppo dissimile da un ragazzino in età pre-puberale. L’operazione di Cukor è quindi davvero fuori dagli schemi: una storia che verte sullo scambio di genere sessuale della protagonista, ma che viene a mancare proprio sulle esternazioni di questo aspetto. Lo scartamento visivo tra la Hepburn in versione femminile e maschile è infatti minimo: il vestito a fiori con cui si presenta da Michael è molto femminile, è vero, ma la ragazza lo indossa in modo goffo, come sottolineato dall’uomo quando la vede seduta a gambe larghe. 

E questa asessualità della Hepburn è esaltata non solo dal confronto con la Paley, una modella dalla bellezza folgorante, ma anche dall’avvenenza dei maschi della storia, Grant ovviamente in primis ma anche Aherne. Cukor riteneva che ad inficiare l’efficienza del suo Sylvia Scarlett, questo il titolo originale, fossero stati lo struggente incipit, messo quasi a chiedere clemenza agli spettatori in anticipo, e il quarto d’ora finale, che faceva rientrare la storia grosso modo nei canonici ranghi. Secondo il regista il corpo centrale del film era però di natura completamente differente e poco centrava con queste due appendici che ne alteravano la resa complessiva. Per la verità, lo spettatore potrebbe facilmente dimenticare l’inizio, davvero un mero pretesto narrativo per far partire la vicenda, mentre il finale non sposta di molto l’impressione che è naturalmente incentrata sulla figura di Sylvia/Sylvester.

Per cui, a lasciare annoiati gli spettatori, potrebbero non essere stati questi passaggi, quanto proprio il nocciolo del discorso, che Cukor pensava invece si fosse un po’ perso. In realtà il regista avrebbe dovuto mettere in preventivo che il suo gusto nel merito poteva lasciar perplessi gli spettatori: non è che l’incertezza di genere sessuale fosse un problema, nemmeno al tempo, basti pensare a dive assolute dell’epoca come la Garbo o la Dietrich che furoreggiavano grazie anche alla loro ostentata androginia. Ma erano figure decise, in un senso o nell’altro e anche, come Marlene, in tutte e due contemporaneamente, mentre a Sylvia Scarlett la Hepburn dona una vaghezza di contenuti sessuali che cerca di supplire o mascherare con le parole della proverbiale verve dialettica. E’ forse questo aspetto che sembra mancare, ma non è tanto una carenza quanto piuttosto la delicatezza di Kate, una donna fragile nascosta in un guscio corazzato, gradevole anche se troppe volte spigoloso, comunque in grado di provare un sentimento candido e ingenuo da sembrare platonico. E per questo, per alcuni, persino legittimamente stucchevole. 



 Natalie Paley




Katharine Hepburn







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