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lunedì 13 gennaio 2020

YOU AND ME

501_YOU AND ME ; Stati Uniti, 1938. Regia di Fritz Lang.

Considerata l’unica commedia nella filmografia di Fritz Lang, You and Me è un’opera curiosa e anticonvenzionale. Spesso è ritenuto come uno dei punti più bassi della carriera del genio nato a Vienna, e fu comunque un fiasco al botteghino. Tuttavia si tratta di un film gradevole, a tratti davvero divertente e, soprattutto, con alcune trovate sorprendenti. Del resto l’inventiva di Lang è nota, basti pensare alle scenografie di Metropolis (1927), al motivo che accompagna i delitti in M- Il mostro di Dusseldorf (1931) o addirittura al conto alla rovescia utilizzato per la prima volta in assoluto (non solo al cinema) in Una donna nella Luna (1929). I primi due film americani del regista erano stati Furia (1936) e Sono innocente (1937) e avevano entrambi tematiche sociali e, visto che anche You and Me si inserisce in quel solco, si parla spesso di loro come della trilogia sociale di Lang. Rispetto ai due precedenti film citati, in You and Me l’autore ricercava però qualcosa di diverso, ovvero una commedia che avesse anche uno scopo didattico, che insegnasse qualcosa. Prendendo ispirazione dal Lehrstück  (da Lehren: insegnare e stück:commedia in tedesco) di Bertold Brecht, Lang imbastisce con il musicista Kurt Weill un’opera in apparenza alleggerita da divertenti canzoni didattiche. In realtà il clima un po’ surreale che si crea, tipico della commedia americana, serve al regista per far passare alcuni aspetti difficilmente credibili e comunque spiazzanti, del resto in linea con la sua visione delle cose. Non è troppo plausibile (per usare un eufemismo) che Morris (Harry Carey), il proprietario di un grande magazzino, decida di assumere una torma di individui ex detenuti o in libertà vigilata. 

Ma la volontà di andare contro quello che si potrebbe definire il comune buonsenso è in fondo assai simile alla volontà di opporsi al Destino e, quindi, già l’impostazione della vicenda è tipicamente langhiana. In effetti è solo questione di tempo e poi i pregiudicati assunti da Morris tradiranno la sua fiducia, così come gli aveva saggiamente pronosticato la moglie; ma naturalmente l’esito di questi sviluppi non sarà così scontato. Essendo una commedia americana al centro della scena c’è una coppia, Helen (Sylvia Sidney) e Joe (George Raft), entrambi dipendenti ai magazzini Morris: gli equivoci, indispensabili in ogni commedia, sono in questo caso legati al loro passato. Si tratta di due tra gli ex detenuti assunti da Morris ma, mentre Joe rivela la cosa a Helen, la ragazza tace circa il fatto di essere fuori da carcere in liberà vigilata. Un tradimento della fiducia dell’uomo reiterato da parte di Helen che più volte mente a riguardo; anche se ciò può essere comprensibile per via dell’avversità di Joe verso le donne che abbiano un passato poco limpido. 

Questa ipocrisia profonda dell’uomo (che disprezza le donne che sono state in galera ma è lui stesso un ex detenuto) bilancia le parti che sono quindi pari nel computo delle manchevolezze reciproche. Del resto il tema del doppio è uno degli elementi tipici di Lang e i due personaggi possono dire di essere uno lo specchio dell’altra, uguali sotto certi aspetti (ad esempio nella professione al negozio di Morris e nella fedina penale non immacolata), contrari in altri (nel sesso di appartenenza o nel confessare o meno all’altro la propria condizione). C’è anche qualche passaggio, nel film, che ricorda il tema del doppio, ad esempio quando Morris si gratta perplesso il capo mentre alle sue spalle la posa è replicata da un manichino dell’emporio, oppure nella scena delle mani di Helen e Joe che si toccano romanticamente sulla scala mobile, con lo schermo tagliato a metà lungo la diagonale.


Nel rapporto tra i due personaggi, pure interpretati in modo egregio dagli attori, il film palesa forse qualche disarmonia non ricercata: la Sidney è spontaneamente spumeggiante (e un filino zuccherosa), mentre Raft appare molto più impostato nella recitazione. Questo aspetto pare fosse legato alle differenti scuole di recitazione dei due protagonisti, con l’uomo che necessitava di ripetere molte volte le scene per trovare il ciak giusto, mentre la Sidney preferiva recitare in modo spontaneo ed immediato. Oltre a queste noie durante le riprese, a metà del film, Kurt Weill abbandonò la produzione e così l’idea di Lang di sostenere la narrazione con canzoni che dessero istruzioni anche educative andò a ramengo. C’è comunque una sequenza praticamente astratta e onirica, in cui gli ex detenuti riorganizzatisi nella banda criminale rievocano i tempi della prigionia quasi con nostalgia, abbozzando anche musiche e cori improvvisati particolarmente stranianti. 

E’ un passaggio molto ardito ma è assai difficile stabilire se sia funzionale o no, tanto è estraneo al flusso del racconto. Più conciso ed efficace il momento in cui Helen si improvvisa maestra alla lavagna (ecco la funzione educativa che ritorna) e dà una interpretazione matematica del famoso detto il crimine non paga. Utilizzando anche la ‘a commerciale’ (ovvero la oggi notissima @, la chiocciola dell’informatica), come una provetta contabile, la ragazza mette a bilancio gli elevati costi sostenuti per il colpo e il misero ricavo dell’ipotetico furto ai magazzini Morris, convincendo la banda criminale a desistere e a tornare al lavoro (legale) il giorno dopo. L’unico che, sul momento, la prende male è Joe, che farà in tempo a ravvedersi prima del lieto fine con tanto di pupo in arrivo.
Nel complesso il film è certamente valido, sia per gli intenti lodevoli di promuovere l’idea di reintrodurre chi ha sbagliato in società, sia per come sono tratteggiati i personaggi, in modo sempre credibile: a cominciare dai due protagonisti, persone in fin dei conti positive che qualche difetto rende verosimili. 

Oltre a qualche gangster convintamente cattivo, che il regista sa come descrivere, nella storia ci sono alcuni characters di spiccata simpatia, che alleggeriscono il tono mantenendolo adeguato a quello di una commedia: da segnalare almeno Gil Gimpy (Warren Hymer) l’ex bandito un po’ pasticcione, e i coniugi Levins, padroni di casa di Helen.   
Quanto alla vena didattica mostrata da Lang in questo film, pur se esplicita, non è certo pedante essendo affidata a bizzarre canzoni o ad una ex detenuta che cerca di convertire all’onestà altri ex detenuti. Come al solito, Land non fa sconti: non serve nessun aiuto dall’alto, abbiamo già quanto ci serve per migliorarci. Sia che ci arrivi da una canzone popolare di una commediola o da una donna che ha sbagliato quanto noi: niente alibi, la verità morale è sempre a portata di mano.    









Sylvia Sidney





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