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mercoledì 15 gennaio 2020

VERA CRUZ

503_VERA CRUZ ; Stati Uniti, 1954. Regia di Robert Aldrich.

Robert Aldrich e Burt Lancaster insistono nel loro congiunto approccio anticonvenzionale al western e, dopo lo splendido e insolito L’ultimo apache, spostano ulteriormente il tiro. Il film Vera Cruz è ambientato, e girato, interamente in Messico, e già questo, per un western del tempo, non è un aspetto secondario. Il genere è quello che negli anni 50 certifica e glorifica la nascita della nazione americana, ma questo presupposto viene meno se le vicende a cui assistiamo avvengono fuori dai confini degli Stati Uniti. Certo, una delle motivazioni è che il giovanissimo Aldrich era molto incuriosito dalla figura dell’imperatore Massimiliano I e dal conflitto del 1866 che lo opponeva ai sostenitori dell’ex presidente Benito Juarez; in ogni caso questa escursione fuori confine è considerata una delle maggiori fonti d’ispirazione per la corrente italiana degli spaghetti western e, trattandosi di un film risalente al periodo classico del genere, si può intuire quanto il regista americano fosse in anticipo sui tempi. Del resto il film che vede coinvolti due attori del calibro di Gary Cooper e Burt Lancaster, antepone il classico eroe western ad un modernissimo anti-eroe. Lancaster, coinvolto anche nella produzione del film, si ritaglia il ruolo a lui più congeniale, ovvero quello, diciamo così, meno eroico, che saggiamente lascia a Cooper. Una scelta anche per sfruttare il maggiore appeal sul pubblico di cui godeva Coop, un aspetto che Lancaster, nelle vesti di produttore, doveva comunque considerare. La trama è semplice: i protagonisti del film, Joe (Lancaster) e Ben (Cooper) sono due pistoleri che si recano in Messico in cerca di ingaggio come mercenari. 

Vicende narrative a parte, la pellicola si gioca sulla contrapposizione della personalità dei due uomini: sul momento sembrano entrambi cinici e ben poco idealisti, ma via via la loro vera natura porterà in luce significative differenze. Cooper, nonostante cerchi fino all’ultimo di sopprimere il nobile animo sotto una scorza disillusa, è un classico eroe dell’epopea western; Lancaster è invece una candida anima nera (come il vestito che indossa), un anti-eroe convinto, una figura un po’ sopra le righe ma resa credibile e sfaccettata da una magistrale interpretazione dell’attore. 

Notevole anche il cast di comprimari, tra cui spiccano Ernest Borgnine, Charles Bronson e Cesar Romero; meno efficace il contributo femminile: né Denise Darcel, né Sara Montiel, mantengono per la verità le promesse che la vicenda proponeva loro. Ma il film è comunque eccellente, con numerose scene di azione e di battaglia girate con perizia da una regia dal gran ritmo narrativo; il gioco psicologico tra i vari personaggi, che sono tutti più o meno ambigui, è sorretto da dialoghi efficaci e convincenti. Il lieto fine, dopo l’ultimo duello decisivo, liberatorio come da prammatica, consacra il protagonista ufficiale del film, pur se ancora un po’ riluttante, nel ruolo di buono della storia. L’happy ending non è quindi una formula di routine per appagare l’animo dello spettatore, ma un premio guadagnato col sangue dei jauristi morti sul campo di battaglia e, soprattutto, con la consapevole rinuncia ai milioni di dollari in oro da parte dell’eroe.
Nonostante i tanti elementi destabilizzanti, in chiave western, profusi da Aldrich nella storia, siamo pur sempre nel pieno degli anni cinquanta: è ancora tempo di eroi.









Denise Darcel




Sara Montiel




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