360_LA FONTANA DELLA VERGINE (Jungfrukällan). Svezia 1960. Regia di Ingmar Bergman.
C’è una leggenda che aveva ispirato una ballata del
quattordicesimo secolo, in cui si raccontavano le origini dell’edificazione di
una chiesa in un piccolo villaggio della Svezia medioevale. In pratica la concreta
conversione al cristianesimo di una remota regione del paese scandinavo dove
ancora era diffuso il paganesimo. Ed è questo il tema cardine alla base de La fontana della vergine, capolavoro del
maestro Ingmar Bergman. I passi cruciali del film sono naturalmente posti nello
splendido finale: la conversione completa di Töre (Max Von Sydow), che promette
a Dio l’edificazione della chiesa di cui si diceva, e il miracolo della
sorgente. Quest’ultimo passaggio è davvero significativo: dal luogo dove
giaceva la testa della povera Karin (Birgitta Pettersson), stuprata e uccisa,
una volta levato il cadavere della sventurata, comincia a zampillare acqua
cristallina e purissima. E, a quel punto, a compimento di una conversione che
deve riguardare idealmente tutta l’umanità e non solo gli sparuti protagonisti
del film di Bergman, perfino Ingeri (Gunnel Lindblom), pagana convinta e devota
ad Odino, si abbevera all’acqua che sgorga dalla fontana. Accetta anche lei il
cristianesimo, quindi; lei, la ragazza senza famiglia legittima e disonorata da
un membro del villaggio. E questo è il finale, ricco di speranza, con il quale
Bergman si congeda dal dilemma religioso proposto dal suo film. Ma il percorso
per arrivarci è tutt’altro che semplice. Uno dei passaggi obbligati sembra
essere il dolore. Tra i protagonisti, sia negli scrupoli dell’osservanza alle
consuetudini religiose, che nel passaggio drammatico delle vendetta, Märeta
(Birgitta Valberg), si dimostra già predisposta
alla conversione rispetto al marito Töre.
E forse non è un caso che sia solita
infliggersi punizioni corporee in segno di penitenza. Anche se la sofferenza
che conduce alla redenzione è quella interiore, è il dolore della perdita della
figlia, e non certo quello della cera colata sul braccio. Forse, la sofferenza
fisica che la donna si provoca può anzi essere retaggio del paganesimo, a cui
nel film viene opposto il cristianesimo, già nel confronto Karin cristiana vs Ingeri
pagana presentato ad inizio del racconto. Un confronto nient’affatto
bilanciato: la prima è dolce, vergine e pura, ed è la figlia del padrone; la
seconda è lascivamente sensuale, è rimasta incita ancora ragazza, e fa la serva. Tornando al dolore come forma di penitenza,
quando Töre si flagella prima di purificarsi col vapore, sembra prepararsi per
un rito pagano. Il rito della vendetta: prende il “coltello per scannare”, proprio come se si apprestasse a
sacrificare una bestia.
In realtà vuole farla pagare ai criminali che hanno
stuprato e ucciso la sua Karin ma, in quel momento, il confine sembra
abbastanza sottile. Non è però questo genere di sacrifici che può portare alla
redenzione cristiana. E’ possibile salvare la propria anima solo attraverso il
dolore, ma non tanto fisico quanto piuttosto interiore: il primo passo è la
consapevolezza del male. E poi il proprio sacrificio; e non quello di altri. In La fontana della vergine i sacrifici
importanti sono due, e insieme portano alla salvezza la comunità. Uno è
naturalmente quello di Karin: lei rappresenta la purezza, la gioia di vivere, la
felicità di tutto lo sparuto villaggio.
Non è un sacrificio volontario ma l’effetto
sulla collettività è comunque determinante. La sua morte è un colpo tremendo
per i genitori ma anche per tutti quanti, soprattutto per il modo e le ragioni per cui avviene. Ma è solo
attraverso l’accettazione di questa tremenda ingiustizia, di questo enorme
dolore, che si può arrivare davvero alla salvezza. Occorre conoscere il male,
per poterlo superare nel perdono. L’altro sacrificio è quello del ragazzino,
fratello dei due stupratori. Nella furia vendicatrice Töre lo uccide, mentre Märeta
lo scongiura di risparmiarlo; forse perché già più convintamente convertita,
forse per istinto materno, forse per le due cose insieme. Anche il terzetto di
finti pastori offre così il suo sacrificio alla collettività; si tratta del
solo fratello minore, mentre nel caso dei due depravati stupratori di fanciulle
si può solo discutere se sia legittima la legge del taglione applicata da Töre
nei loro confronti.
Ma il loro non è e non può essere ritenuto un sacrificio, non essendo loro in alcun
modo puri; e dalla loro morte la comunità non trae alcun vantaggio (se non
levarseli di torno). Il che non vuole significare, naturalmente, che una
collettività debba ricercare simili sacrifici: è però solo attraverso questo
che si può realmente fare un qualche progresso (ovviamente sperando di non
arrivare agli eccessi mostrati dal simbolico film di Bergman). Il crocefisso
che il regista inquadra più volte, ricorda come la religione e la cultura cristiana
si fondino esattamente su questo concetto. Anche se da parte di Nostro Signore
c’è una scelta più consapevole del proprio destino, mentre né Karin né il
ragazzino avranno questa opportunità. Ma lo strazio e il rimorso, rimangono, e
devono essere il primo mattone per costruire una società più giusta dove cose
del genere non accadano.
Bergman, per un racconto di tale forza simbolica, sceglie
una messa in scena spoglia e minimale, un ritmo narrativo lento, ma
inesorabile. Pur in un contesto così scarno, la sua capacità narrativa è
eccelsa. Il primo passaggio di alta drammaticità, quello dello stupro, è
preparato e portato avanti con grandissima maestria. Karin e Ingeri stanno
andando alla chiesa, al di là della foresta. L’incontro con l’uomo della casa
sul fiume getta un po’ di inquietudine, con Ingeri che abbandona Karin sola nel
bosco. Poi la ragazza è notata dai tre finti pastori dall’alto di un pendio; i
quali, seguiti dalle loro caprette, fanno un lungo giro per riuscire ad
incontrarla in seguito, lungo la strada, per
caso. La situazione presenta già elementi di inquietudine per la doppiezza
dei tre ragazzi che, ovviamente, fanno finta di niente, come si fossero trovati
lì per via del loro cammino. Dopo qualche convenevole, i quattro decidono di
fare merenda con il cibo che Karin porta con se.
Qui l’inquietudine aumenta,
perché in precedenza si è visto Ingeri mettere un rospo vivo (!) all’interno
della pagnotta preparata per Karin. Forse solo un brutto scherzo, certo. Da un
lato poco più che antipatico: pur essendo a loro modo benestanti, non sembra
avessero cibo da gettare; ma, visto il contesto, salta all’occhio l’aspetto
simbolico del pane (il corpo di Cristo) insozzato da un animale come il rospo,
facilmente associabile al fango. Ora Karin taglia la pagnotta e i quattro
mangiano: ma il rospo non c’è e non succede niente, evidentemente le pagnotte
erano più d’una. Poi Karin si accorge che le capre hanno il marchio del loro
vicini: i tre non sono pastori. Dall’altra pagnotta salta fuori il rospo, ma è
il colpo di scena meno importante. E di molto.
Da un punto di vista
strettamente narrativo, è un passaggio sopraffino di grande efficacia, che
sottolinea, col rigore formale, l’importanza tragica più che drammatica del
momento. Bergman filma lo stupro di Karin, la sua uccisione, senza
compiacimento ma senza sconti, e ce lo fa vivere in presa diretta al fianco di
Ingeri. La ragazza afferra una pietra per difendere la figlia del padrone, ma
poi preferisce rimanere nascosta a guardare l’orrore, dando sfogo ad una
piccola rivalsa per la rivale fin lì
ben più fortunata. Del resto lo ammetterà lei stessa, in seguito. Ma, come si è
visto, anche lei, attraverso il rimorso, arriverà alla meritata salvezza. E in
fondo, proprio Ingeri, come noi spettatrice del tragico evento, ci rappresenta
meglio di chiunque altro all’interno nel film. Il cinema di Bergman, limpido ed
essenziale, ci racconta della massima violenza concepibile, (stupro e uccisione
di una giovane ragazza), una violenza che probabilmente anche noi non saremmo
in grado di scongiurare a causa della nostra viltà, della nostra invidia, della
nostra debolezza. Ma ce lo racconta per rivelarci come è possibile salvare
almeno la nostra anima.
Birgitta Pettersson
Gunnell Lindblom
Nessun commento:
Posta un commento