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mercoledì 26 giugno 2019

LA FREDDA ALBA DEL COMMISSARIO JOSS

370_LA FREDDA ALBA DEL COMMISSARIO JOSS (Le Pacha)Francia, Italia, 1968Regia di George Lautner.

Nel 1968 Jean Gabin ha 64 anni; ma sono stati evidentemente 64 anni molto intensi, perché quello che vediamo ne La fredda alba del commissario Joss (in cui l’attore francese interpreta il poliziotto protagonista) è un uomo appesantito e stanco, che dimostra più della sua età anagrafica. Il che non significa affatto che ci ritroviamo davanti ad un Jean Gabin fiaccato o minato nel carattere. Al contrario. Il monumentale attore interpreta perfettamente il commissario Joss, un uomo tutto d’un pezzo, ligio alla sua ferrea morale più che alla legge e che, ormai disgustato dalla corruzione del mondo che lo circonda, decide di andare dritto per la sua strada, senza perdere tempo con i cavilli e le pastoie dei regolamenti. I frequenti primi piani della regia di Geroge Lautner danno modo a Gabin di sfoderare una serie di espressioni tra loro anche variegate, ma costrette nella esigua gamma che va dal disilluso al disgustato. Gli ottimi dialoghi di Michel Audiard danno ritmo alla sceneggiatura, tra un interrogatorio ed una visita di cortesia, all’informatore o alla puttana frequentata dal collega Gouvion (Robert Dalban), rimasto ucciso in modo ambiguo. Ecco, questa è forse la goccia che fa traboccare il vaso del commissario Joss: per le morti dei malavitosi che si succedono nella storia l’uomo non sembra sprecare turbamento; e nemmeno quando a finire all’obitorio è Nathalie (Dany Carrel), la ragazza di vita di cui si diceva, sembra scomporsi. Quello che rode a Joss è che l’amico d’infanzia Gouvion fosse invischiato in un brutto giro, per colpa delle frequentazioni della stessa Nathalie e, soprattutto, per recuperare contante con cui coprirla di regali. 
E Joss, non solo non ne sospettava nulla, ma nemmeno lo avrebbe mai sospettato. Lautner scandaglia con l’obiettivo della sua macchina da presa tutte le rughe del volto di Gabin, e possiamo scorgere il contegno con cui il commissario Joss cerca, e tutto sommato riesce, a mascherare il disappunto: Gouvion era un corrotto. Ma Joss è prossimo alla pensione (e giustamente, verrebbe da dire vedendo l’aspetto invecchiato di Gabin), sei mesi e poi tanti saluti. E allora, al diavolo la corruzione da un lato e i formalismi burocratici dall’altro. E’ la definitiva sconfitta per Joss, e per i suoi metodi rigorosi ma onesti e corretti. Ma, prima di mollare tutto quanto, va archiviato questo caso, e andrà fatto per bene: perché non ci sarà nessuno scandalo. 
Gouvion era un poliziotto onesto, brontolone, forse pavido; ma onesto, e chiuso l’argomento. Anzi no: la sua morte non fu un incidente con la pistola, ma neppure suicidio (che lascerebbe intendere il rimorso e quindi la sua corruzione). No, Gouvion è stato ucciso dalla malavita che combatteva: e se lo dice Joss, o meglio Jean Gabin, difficile obiettare qualcosa anche a fronte di dubbi se non di evidenze vere e proprie, visto la condotta poco limpida del collega. Ma la scena finale, nella quale Joss prima prende la mira, preme il grilletto e senza farsi scrupoli fredda Quinquin (André Pousse) e solo dopo gli intima di arrendersi sparando un colpo in aria, rende l’idea di quanto sia saggio non contraddirlo. E’ davvero finita un’epoca se anche Jean Gabin si comporta come un ammazzasette qualsiasi.    





Dany Carrel




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