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domenica 2 giugno 2019

LA REGINA DI VENERE

358_LA REGINA DI VENERE (Queen of Outer Space). Stati Uniti, 1958Regia di Edward Bernds.

 Non fosse stato per la presenza di Zsa Zsa Gabor, probabilmente La regina di Venere sarebbe passato del tutto inosservato. Ma non solo c’è l’attrice Miss Ungheria 1936 (che sarebbe comunque bastata) a dar lustro alla pellicola; la diva è infatti affiancata da un corposo campione degli abitanti del pianeta Venere, opportunamente composto da sole ragazze di bella presenza, tutte in abitini che lasciano molti centimetri di pelle scoperta. Può bastare, per appagare lo spettatore? Speriamo di si, perché in verità c’è poco altro. Va beh, detta così è un po’ drastica, ma da un punto di vista tecnico, sia narrativo che prettamente cinematografico, Queen of the Outer Space è onestamente un disastro. Ispirato da Il pianeta proibito (di Fred M. Wilcox, 1956), di cui riutilizza le tute spaziali degli astronauti, curiosamente proprio sui costumi di scena La regina di Venere prova a giocare le sue carte: qui si enfatizza infatti la sponda erotica intuita vedendo Anne Francis che scorazzava in futuribili abiti succinti nel film di Wilcox. L’impressione è però che il regista Edward Bernds, che pure vanta una certa esperienza, non colga fino in fondo la natura farsesca di cui sembra intrisa la struttura dell’opera e provi a girare un film grosso modo normale, ma a quel punto si trovi senza elementi che sorreggano la sua operazione. Il soggetto è di Ben Hetcht, certo, forse ormai a fine carriera, ma sembra strano che una penna tanto valida (premio Oscar nel 1929) possa essere coinvolta in una simile baracconata. Ma, a ben vedere, soprattutto nei dialoghi, negli scambi di battute, spesso spassosi, affiora qua e là quello che sarebbe potuto essere La regina di Venere, se il tono  del soggetto fosse stato interpretato a dovere dal regista.

Con un pizzico di irriverenza in più, uno sviluppo maggiore degli spunti umoristici, allora anche la bellezza della Gabor (e delle altre ragazze), sarebbe stata meno fine a se stessa. Rimangono, dicevamo, alcuni spunti divertenti, come quando il professor Konrad ipotizza che, vista l’assenza degli uomini, su Venere si sia sviluppata una civiltà in cui il sesso è assente; al che il tenente Cruze, legittimamente, domanda allo scienziato: e la chiama civiltà?

Oppure quando ancora il professore (evidentemente preso un po’ di mira dagli autori, insieme alla febbrile enfasi tecnologica degli anni 50) da’ una spiegazione sociologica al velo che copre il volto della regina Yllana (una Laurie Mitchell fisicamente notevole). In questo caso non c’è una battuta ad’effetto, ma in seguito si scopre che la sovrana si copre perché sfigurata; non ci sono quindi motivi simili a quelli delle terrestri donne orientali, come aveva maldestramente ipotizzato Konrad. Rimane comunque uno sberleffo ai soloni acculturati che sembrano sempre avere la risposta pronta. Un’ultima cosa interessante è che il film sposa in modo vantaggioso il parallelo, tipico dei film di fantascienza del periodo, tra la guerra fredda e il confronto con gli alieni.
Zsa Zsa Gabor è infatti l’aliena, ma come attrice è una tipica e splendida esponente della bellezza dell’Europa orientale, e anche molte ragazze tra quelle che interpretano le abitanti di Venere hanno lineamenti simili, oltre che un linguaggio e modi bruschi che rimandano un po’ all’immagine collettiva che abbiamo dell’Unione Sovietica. L’iniziale incomprensione, le critiche al comportamento dei terrestri, e la finale riappacificazione, sembrano una bonaria analisi e al contempo un augurio, che la contrapposizione tra i due blocchi militari terrestri trovino anch’essi una via pacifica. Insomma, un film in cui non mancano gli spunti, ma che affonda nelle scenografie di cartapesta davvero troppo posticce, non sdoganate a dovere dal tenore della storia. 
Comunque imperdibile Zsa Zsa Gabor.  



Laurie Mitchell



Zsa Zsa Gabor















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