371_LE BACCANTI . Francia, Italia, 1961. Regia di Giorgio Ferroni.
Liberamente tratto dall’omonima tragedia greca, Le Baccanti di Giorgio Ferroni è un peplum mitologico ambientato a Tebe,
nell’antica Grecia. Il regista nato a Perugia ha la mano ancora calda dal
sorprendente horror Il mulino delle donne
di pietra e, al suo approccio al genere storico/mitologico all’italiana,
trova subito una sintonia personale e adeguata. Le Baccanti ha delle differenze, come è comprensibile, rispetto
alla tragedia di Euripide del 400
a .C. ma, in fondo, riesce a farne rivivere vividamente
alcuni echi sul grande schermo. Al centro del racconto è Dioniso (Pierre
Brice), il dio del vino, successivamente conosciuto a Roma come Bacco; da cui
il nome delle figure femminili a cui, un po’ impropriamente, il film è intitolato: le baccanti, ovvero le donne che
celebrano Bacco. In effetti il vino non è che abbia poi tutta questa rilevanza,
nella vicenda, che è piuttosto una storia di intrighi di potere, laddove Penteo
(un ottimo Alberto Lupo) usurpa il trono di sovrano di Tebe che sarebbe
spettato legittimamente a Lacdanos (Raf Mattioli). Beghe politiche a parte, è
curioso come la questione religiosa imbastita dal dio Dionisio, preveda un
culto che celebri non solo il vino, ma anche il piacere in senso generale. Penteo,
per contrastare una simile religione, si affida al culto della più parca e morigerata
dea Minerva, che però nel film non si palesa e rimane soltanto come presenza
evocata. La prospettiva del film in ogni caso è completamente sbilanciata a favore del
dio che sponsorizza il piacere e il divertimento, e questo è un assist che
Ferroni coglie al volo per declinare il suo peplum
ad una sorta di musical, con alcuni pregevoli numeri coreografici di danza.
Per
la verità, non sono solo i balletti capitanati
dalla bella e brava Taina Elg
(nel film è Birce), eccellenti anche grazie alle preziose coreografie di
Herbert Ross, ma sono anche i movimenti coordinati delle guardie, le entrate e
le uscite di scena, a richiamare un tipico spettacolo musicale. Il tutto
supportato dalle belle scenografie: geometrici e ariosi i palazzi e onirici e
un po’ psichedelici gli ambienti sotterranei. A suggellare una confezione
visiva di buon pregio, sia il formato panoramico e il colore sono ben sfruttati
da Ferroni. Della storia, oltre alle coordinate di base citate, va segnalato il
bel colpo di scena finale, con il fulmine che colpisce proprio all’ultimo
istante il sacerdote incaricato di sacrificare la povera Manto (Alessandra
Panaro), spiazzando non solo gli astanti ma anche gli spettatori. Insomma, un
film che ci parla di religione per dirci che dobbiamo bere vino, ballare e
divertirci. Cosa si vuole di più? Taina Elg
Alessandra Panaro
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