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venerdì 28 giugno 2019

LE BACCANTI

371_LE BACCANTI Francia, Italia, 1961Regia di Giorgio Ferroni.

Liberamente tratto dall’omonima tragedia greca, Le Baccanti di Giorgio Ferroni è un peplum mitologico ambientato a Tebe, nell’antica Grecia. Il regista nato a Perugia ha la mano ancora calda dal sorprendente horror Il mulino delle donne di pietra e, al suo approccio al genere storico/mitologico all’italiana, trova subito una sintonia personale e adeguata. Le Baccanti ha delle differenze, come è comprensibile, rispetto alla tragedia di Euripide del 400 a.C. ma, in fondo, riesce a farne rivivere vividamente alcuni echi sul grande schermo. Al centro del racconto è Dioniso (Pierre Brice), il dio del vino, successivamente conosciuto a Roma come Bacco; da cui il nome delle figure femminili a cui, un po’ impropriamente, il film è intitolato: le baccanti, ovvero le donne che celebrano Bacco. In effetti il vino non è che abbia poi tutta questa rilevanza, nella vicenda, che è piuttosto una storia di intrighi di potere, laddove Penteo (un ottimo Alberto Lupo) usurpa il trono di sovrano di Tebe che sarebbe spettato legittimamente a Lacdanos (Raf Mattioli). Beghe politiche a parte, è curioso come la questione religiosa imbastita dal dio Dionisio, preveda un culto che celebri non solo il vino, ma anche il piacere in senso generale. Penteo, per contrastare una simile religione, si affida al culto della più parca e morigerata dea Minerva, che però nel film non si palesa e rimane soltanto come presenza evocata. La prospettiva del film in ogni caso è completamente sbilanciata a favore del dio che sponsorizza il piacere e il divertimento, e questo è un assist che Ferroni coglie al volo per declinare il suo peplum ad una sorta di musical, con alcuni pregevoli numeri coreografici di danza. 
Per la verità, non sono solo i balletti capitanati
dalla bella e brava Taina Elg (nel film è Birce), eccellenti anche grazie alle preziose coreografie di Herbert Ross, ma sono anche i movimenti coordinati delle guardie, le entrate e le uscite di scena, a richiamare un tipico spettacolo musicale. Il tutto supportato dalle belle scenografie: geometrici e ariosi i palazzi e onirici e un po’ psichedelici gli ambienti sotterranei. A suggellare una confezione visiva di buon pregio, sia il formato panoramico e il colore sono ben sfruttati da Ferroni. Della storia, oltre alle coordinate di base citate, va segnalato il bel colpo di scena finale, con il fulmine che colpisce proprio all’ultimo istante il sacerdote incaricato di sacrificare la povera Manto (Alessandra Panaro), spiazzando non solo gli astanti ma anche gli spettatori. Insomma, un film che ci parla di religione per dirci che dobbiamo bere vino, ballare e divertirci. Cosa si vuole di più? 




Taina Elg



Alessandra Panaro

 

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