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mercoledì 12 giugno 2019

LA SIGNORA IN ROSSO

363_LA SIGNORA IN ROSSO (The woman in red). Stati Uniti, 1984Regia di Gene Wilder.

Commedia brillante che principalmente due fattori hanno reso epocale: Kelly LeBrock e la canzone della colonna sonora I just called to say I love You di Steve Wonder (premio Oscar e Golden Globe). Quest’ultima è una traccia in cui il musicista trova mirabilmente l’equilibrio tra le varie anime della musica nera americana e il pop di facile fruizione, assecondando in modo perfetto, con la sua romantica melodia, la storia del film. Meno scontato è capire come la bellissima Kelly possa aver fatto breccia nell’immaginario collettivo in modo tanto dirompente. Certo, la LeBrock è bellissima, al tempo già affermata modella; ma negli anni ’80 gli schermi erano pieni di ragazze avvenenti. Tra l’altro, il film in questione, La signora in rosso, opera del simpatico Gene Wilder, non è nemmeno un capolavoro; si ricorda certamente, oltre per i motivi citati, per essere divertente e godibile. Ci sono passaggi spassosi, come la gag del finto cieco, ma niente di trascendentale. E, volendo ben vedere, nella valutazione della pellicola non dovrebbe giovare certo il fatto di essere in sostanza la copia carbone, più che il remake, del film francese Certi piccolissimi peccati, uscito nel 1976 ad opera di Yves Robert. Anche la celeberrima scena, quella della gonna alzata dall’aria sulla grata, in cui la LeBrock cita Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza (del Wilder originale, Billy), è in realtà ripresa dal film francese, con Anny Duperey che si presta al massaggio dell’aria proveniente dal basso. 
E giustamente questa, che è la scena cult per eccellenza del film di Gene Wilder, ci offre una prima chiave di lettura: all’interno di una generale struttura metalinguistica dell’opera, in quanto tutta quanta l’impostazione si basa su un altro film (di fatto è un remake), la scena clou cita una scena che già citava a sua volta un passaggio indimenticabile della settima arte. Gene Wilder è poi bravo nell’adeguare la storia di Certi piccolissimi peccati agli anni ’80, eleggendola, in sostanza, a manifesto della filosofia imperante. La scena principale è in pratica il frutto di un doppio travaso (dal film di Billy Wilder a quello di Yves Robert e quindi a quello Gene Wilder), e potrebbe indicare che le nuove epoche siano meramente contenitori che si possano riempire dei contenuti, delle idee, che appartenevano all’età classica del cinema (e della società). 
E se Marilyn era comunque Marilyn, la quintessenza del cinema, e la protagonista del film francese del 1976 addirittura Marianne, icona della Repubblica Francese, la modella protagonista de La signora in rosso sarà anche bellissima ma non si capisce bene cosa reclamizzi: la campagna pubblicitaria recita frasi tipo “Scappa di nuovo” o slogan del genere. Quello che si vede è che si tratta di qualcosa di sfuggente, senza un significato preciso se non quello di essere un obiettivo da inseguire e sognare di raggiungere. In sostanza, il credo degli anni ottanta: arrivismo per puro gusto di competere. 
Questa mancanza di contenuti propri, in quanto finzione, replica, è poi ribadita dalla falsità del gruppo di amici: Joe (Joseph Bologna) è ricco e ha una bella famiglia ma segretamente dalla moglie è un dongiovanni incallito e Buddy (Charlie Grodin) si finge eterosessuale pur essendo gay. Anche Teddy (Gene Wilder), il protagonista principale, bravo a fare la morale a Joe chiedendogli cosa penserebbe se la moglie lo tradisse a sua volta, non esita a cogliere, anzi, a cercare insistentemente di cogliere, l’occasione della vita rappresentata dalla bella Charlotte (la LeBrock). Che è però un tradimento alla moglie e alla sua famiglia. 
Il suo, in fondo, è anche da considerare il comportamento forse peggiore del lotto, perché in principio professa una dirittura morale che invece è solo un opportunistico alibi per le proprie insicurezze e incapacità. Tuttavia, anche se il finale in parte continua a seguire questa ottica, con la vigliacca fuga sul cornicione per non affrontare il marito di Charlotte che viene intesa dall’opinione pubblica come un tentativo di suicidio, (e quindi di un certo turbamento interiore invece del tutto assente in Teddy), il nostro protagonista ha infine un ravvedimento che si può definire cruciale. Il suo tuffo rappresenta uno stacco, un evento che lo ribalta (più volte durante la caduta, ma comunque il film finisce con Teddy a testa in giù) come a dire che occorra rovesciare completamente il nostro modo di vedere le cose. Buon proposito ma, ancora in volo, (ovvero non ancora arrivato sul telone dei Vigili del Fuoco), Teddy nota le gambe di un’avvenente bionda: bisogna ammetterlo, gli eighties non erano certo il periodo ideale per cercare una conversione morale. 




Kelly LeBrock














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