363_LA SIGNORA IN ROSSO (The woman in red). Stati Uniti, 1984. Regia di Gene Wilder.
Commedia brillante che principalmente due fattori hanno reso
epocale: Kelly LeBrock e la canzone della colonna sonora I just called to say I love You di Steve Wonder (premio Oscar e
Golden Globe). Quest’ultima è una traccia in cui il musicista trova
mirabilmente l’equilibrio tra le varie anime della musica nera americana e il
pop di facile fruizione, assecondando in modo perfetto, con la sua romantica
melodia, la storia del film. Meno scontato è capire come la bellissima Kelly
possa aver fatto breccia nell’immaginario collettivo in modo tanto dirompente.
Certo, la LeBrock
è bellissima, al tempo già affermata modella; ma negli anni ’80 gli schermi
erano pieni di ragazze avvenenti. Tra l’altro, il film in questione, La signora in rosso, opera del simpatico
Gene Wilder, non è nemmeno un capolavoro; si ricorda certamente, oltre per i
motivi citati, per essere divertente e godibile. Ci sono passaggi spassosi,
come la gag del finto cieco, ma niente di trascendentale. E, volendo ben
vedere, nella valutazione della pellicola non dovrebbe giovare certo il fatto
di essere in sostanza la copia carbone, più che il remake, del film francese Certi piccolissimi peccati, uscito nel
1976 ad opera di Yves Robert. Anche la celeberrima scena, quella della gonna
alzata dall’aria sulla grata, in cui la LeBrock cita Marilyn Monroe in Quando la moglie è in vacanza (del
Wilder originale, Billy), è in realtà
ripresa dal film francese, con Anny Duperey che si presta al massaggio dell’aria proveniente dal
basso.
E giustamente questa, che è la scena cult
per eccellenza del film di Gene Wilder, ci offre una prima chiave di lettura:
all’interno di una generale struttura metalinguistica dell’opera, in quanto
tutta quanta l’impostazione si basa su un altro film (di fatto è un remake), la
scena clou cita una scena che già citava a sua volta un passaggio indimenticabile
della settima arte. Gene Wilder è poi
bravo nell’adeguare la storia di Certi
piccolissimi peccati agli anni ’80, eleggendola, in sostanza, a manifesto
della filosofia imperante. La scena principale è in pratica il frutto di un
doppio travaso (dal film di Billy
Wilder a quello di Yves Robert e quindi a quello Gene Wilder), e potrebbe
indicare che le nuove epoche siano
meramente contenitori che si possano
riempire dei contenuti, delle idee, che appartenevano all’età classica del cinema (e della società).
E
se Marilyn era comunque Marilyn, la quintessenza del cinema, e la protagonista
del film francese del 1976 addirittura Marianne, icona della Repubblica
Francese, la modella protagonista de La
signora in rosso sarà anche bellissima ma non si capisce bene cosa
reclamizzi: la campagna pubblicitaria recita frasi tipo “Scappa di nuovo” o slogan del genere. Quello che si vede è che si
tratta di qualcosa di sfuggente, senza un significato preciso se non quello di
essere un obiettivo da inseguire e sognare di raggiungere. In sostanza, il credo degli anni ottanta: arrivismo per
puro gusto di competere.
Questa mancanza di contenuti propri, in quanto finzione,
replica, è poi ribadita dalla falsità del gruppo di amici: Joe (Joseph Bologna)
è ricco e ha una bella famiglia ma segretamente dalla moglie è un dongiovanni
incallito e Buddy (Charlie Grodin) si finge eterosessuale pur essendo gay. Anche
Teddy (Gene Wilder), il protagonista principale, bravo a fare la morale a Joe
chiedendogli cosa penserebbe se la moglie lo tradisse a sua volta, non esita a
cogliere, anzi, a cercare insistentemente di cogliere, l’occasione della vita
rappresentata dalla bella Charlotte (la LeBrock ). Che è però un tradimento alla moglie e
alla sua famiglia.
Il suo, in fondo, è anche da considerare il comportamento
forse peggiore del lotto, perché in principio professa una dirittura morale che
invece è solo un opportunistico alibi per le proprie insicurezze e incapacità.
Tuttavia, anche se il finale in parte continua a seguire questa ottica, con la vigliacca fuga sul cornicione per non
affrontare il marito di Charlotte che viene intesa dall’opinione pubblica come
un tentativo di suicidio, (e quindi di un certo turbamento interiore invece del
tutto assente in Teddy), il nostro protagonista ha infine un ravvedimento che
si può definire cruciale. Il suo tuffo rappresenta uno stacco, un evento che lo
ribalta (più volte durante la caduta, ma comunque il film finisce con Teddy a
testa in giù) come a dire che occorra rovesciare completamente il nostro modo
di vedere le cose. Buon proposito ma, ancora in volo, (ovvero non ancora
arrivato sul telone dei Vigili del Fuoco), Teddy nota le gambe di un’avvenente
bionda: bisogna ammetterlo, gli eighties non erano certo
il periodo ideale per cercare una conversione morale.
Kelly LeBrock
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