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martedì 1 luglio 2025

MASTRO DON GESUALDO

1691_MASTRO DON GESUALDO , Italia 1964. Regia di Giacomo Vaccari

Il regista Giacomo Vaccari non ha una filmografia particolarmente corposa: una trentina scarsa di titoli per la televisione, perlopiù assai difficili da reperire. In compenso, i pochi film ancora disponibili per la visioni sono molto interessanti, come nel caso de Il club dei suicidi (1957), tratto da Robert Louis Stevenson o L’idiota (1959), da Fëdor Dostoevskij. Purtroppo, pare che La Pisana (1964), sceneggiato ispirato a Le confessioni di un italiano di Ippolito Nievo, sia andato perduto. In ogni caso, rimane reperibile quello che forse è il suo capolavoro: Mastro don Gesualdo, tratto dal sostanzialmente omonimo romanzo di Giovanni Verga. Lo sceneggiato venne trasmesso dal Secondo Programma della Rai nel 1964, quando lo sfortunato regista era già morto da un anno. L’opera detiene un paio di curiosità che possono essere utili a tratteggiarne alcune caratteristiche: è il primo sceneggiato ad essere impresso su pellicola cinematografica, ed è anche il primo inedito trasmesso dalla seconda rete Rai, che fino allora aveva mandato in onda solo repliche. Il che è un record quantomeno insolito: perché essere relegato sul «secondo» non può certo essere un vanto per l’opera in questione, in quanto il Nazionale, l’odierna Rai Uno, era anche più di oggi considerata universalmente l’ammiraglia dell’emittente di stato. Se consideriamo l’enorme sforzo produttivo di Mastro don Gesualdo, sia per l’uso della pellicola, ma anche per l’accuratezza delle ricostruzioni e della scelta delle location, per l’attenzione al linguaggio, ai passaggi della trama, la cosa desta un po’ di stupore. Tra gli attori, che dire poi di Enrico Maria Salerno, che per incarnare il protagonista dà corpo ad una prestazione di assoluto rilievo, riempendo lo schermo con la sua verve interpretativa. Benissimo poi anche Lydia Alfonsi, triste e dolente Bianca Trao, la moglie nobile presa da Mastro Gesualdo per provare, vanamente, ad agganciarsi alla nobiltà; ma tutto il cast è di ottimo livello, a partire da Sergio Tofano e Romolo Costa, nei panni degli stralunati fratelli Trao, personaggi caricaturali ed emblematici della vetusta e decadente nobiltà siciliana dell’epoca. 

Nonostante la ricchezza anche numerica del cast e una presenza ingombrante come quella di Salerno, Vaccari riesce a mettere in primo piano il contesto, per un risultato in cui, nonostante la verve di quello che è il protagonista assoluto della vicenda, a rimanere nella memoria è l’affresco generale. Un’operazione clamorosamente ben riuscita, perché la mano in regia di Vaccari è autorevole, e forse in questo senso è da pensare la scelta della pellicola in luogo dei tradizionali sistemi audiovisivi: il capolavoro di Verga trova quindi degna rappresentazione sullo schermo. Scrisse, in proposito, Aldo Grasso: “Vaccari firma il suo capolavoro, scardinando le regole linguistiche che fino allora avevano informato i teleromanzi, consuetudini ereditate dalla tradizione teatrale e tradotte in norme televisive tese a facilitare la sicura comprensione da parte del pubblico della vicenda raccontata. (…) Vaccari utilizza in parte il dialetto e riproduce i quadri corali di Verga attraverso il sovrapporsi di voci chiassose; anche queste scelte ribadiscono il rifiuto dell'impostazione pedagogica a vantaggio di un deciso accostamento alla sensibilità e alle suggestioni cinematografiche». [
dal blog di Silvia Iannello, pagina web https://silvia-iannello.blogspot.com/2013/06/giacomo-vaccari-e-i-grandi-sceneggiati.html, visitata l’ultima volta il 15 giugno 2025]. Ma, anche grazie a questo lavoro di attualizzazione, i temi del maestro siciliano risaltarono nitidamente, proprio quando stavano probabilmente divenendo davvero attuali, in quel 1964, dal momento che si può tranquillamente dire che per l’epoca di pubblicazione del romanzo fossero in anticipo. Ovviamente tali spunti erano presenti già ai tempi, al punto che un genio come Verga poté appunto coglierli, ma solo con il noto «miracolo italiano» la scalata sociale, l’individualismo materiale, l’ossessione per la ricchezza –la celebre «roba» verghiana– contageranno in modo diretto o indiretto grosso modo chiunque nel Belpaese, senza fare prigionieri. Verga non difendeva, come si evince splendidamente proprio da Mastro don Gesualdo – il sistema in vigore in precedenza, con la ferrea divisione in classi sociali, ma stigmatizza anche il nuovo corso sociale che propone come ricetta per superarlo l’arrivismo senza scrupoli. Un avvertimento inascoltato.  


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