1696_MILLE PECCATI... NESSUNA VIRTU' , Italia 1969. Regia di Sergio Martino
Accanto ai paesi esotici, quelli ritenuti abitualmente
emancipati erano quindi ormai entrati definitivamente nelle mire dei Mondo-movie:
lì, evidentemente, la rivoluzione sessuale di quegli anni si era concretizzata
in modo sfacciato e i cineasti degli pseudo-documentari, perlopiù italiani,
dovettero esserne particolarmente colpiti. O, forse, scaltramente, colsero
negli effetti di quel fenomeno un modo per continuare a fare del
sensazionalismo a buon mercato, ma con l’alibi della morale costituita da
difendere. In effetti, che un autore come si dimostrerà in seguito Sergio
Martino, si erga nel suo esordio cinematografico ad araldo della morale suona
quantomeno curioso.
Il film in questione è Mille peccati… nessuna virtù, un classico
shockumentary che pescava i casi degni di interesse, morboso, beninteso – tra
Svezia, Germania, Olanda, Regno Unito, Danimarca, insomma, in quel nord Europa
ritenuto, già al tempo, all’avanguardia come emancipazione civile. Nel film, un
termine che ricorre in modo insistito è «morale», messa in discussione tanto
dai comportamenti disinibiti in ambito sessuale che in quello dell’uso degli
stupefacenti, due aspetti che caratterizzavano allora le società nordeuropee.
Come detto, a vedere oggi il film, salta all’occhio che a dirigerlo sia stato
Sergio Martino che della morale costituita non sarà certo un paladino, nel
proseguo della carriera. Ma, in quest’ottica, si può cogliere l’ipocrisia borghese
che criticava tali libertà che le nuove generazioni andavano a prendersi.
L’«uomo della strada», che incarna alla perfezione il punto di vista di questi
pseudo-documentari, non difendeva la morale tradizionale per convinzione, ma
perché, nella situazione precostituita, era in grado di infrangerla senza dare
troppo nell’occhio, o comunque senza incorrere in una sorta di «scomunica»
civile. Questo era vero in ottica complessiva: Jacopetti costituiva, con i suoi
estremismi, l’eccezione. La capacità di andare di poco oltre il limite,
pensandoci bene, fu proprio una caratteristica del cinema ‘di genere’
all’italiana, soprattutto nei gialli o nelle commedie sexy, di cui Martino fu
uno dei migliori interpreti. La ricetta era, grosso modo, spingersi sempre
vicino o al massimo poco oltre al limite concesso dalla morale comune, per
solleticare la pruderie dello spettatore, sia in campo erotico delle commediole
che della violenza dei thriller. Ma, per far questo, necessitava un limite, un
confine del lecito consentito, che, invece, la rivoluzione sessantottina voleva
abbattere e, nei paesi nordici, aveva praticamente abbattuto. Al tempo, Martino
era un regista esordiente e, di conseguenza, semisconosciuto. Nonostante ciò, e
prendendo quindi in esame solo Mille peccati… nessuna virtù, la critica
colse già una certa ipocrisia nel suo film: “Con un lavoro di montaggio non
troppo persuasivo, Sergio e Luciano Martino ci conducono per mano nel solito
itinerario del vizio europeo. Non c’è nulla di nuovo in quel finto matrimonio
tra anormali celebrato da uno spretato, in quella famiglia hippy dove tutti si
drogano, in quelle feste per donne sole. In più abbiamo un commento che parla
di decadenza, esalta l’amore, e biasima l’industria del «proibito» che attrae
gli ingenui. Ma al regista non fischiano le orecchie?”. [P. Per., I peccati
sono mille, Stampa Sera, anno 101 n. 286, 15, 16 dicembre 1969, pagina 9]. L’incoerenza indicata
nella recensione è, ovviamente, legata al fatto che il regista, con il suo
film, cercava di attrare gli spettatori proprio con quegli elementi che poi,
nel commento, criticava severamente. Il che è innegabile, anche perché si
tratta di una caratteristica non solo di Mille peccati… nessuna virtù ma
di tutto il genere Mondo movie. Andando nello specifico del lungometraggio,
Martino ha comunque delle intuizioni argute, che, a vederle oggi, sono
sorprendenti. Ad esempio, quando si lamenta che le istituzioni sociali
sconfinino arrivando nell’ambito dell’educazione famigliare –si fa l’esempio
che ai genitori, in Svezia, fosse proibito dalla Legge dare perfino uno
scappellotto ai propri figli– e, per quanto possa sembrare un passaggio
qualunquista, è purtroppo divenuto oggi un problema concreto anche nei nostri
lidi. E anche la lamentela per l’eccessiva esposizione ad immagini disinibite
in ambito sessuale, cui erano sottoposti i minori nei paesi nordici –al netto
del moralismo fastidioso che si avverte nel commento letto da Riccardo
Cucciolla– non è affatto detto che sia del tutto campata in aria. Aspetti delicati
e complessi che i Mondo movie affrontavano, onestamente, un po’ troppo a cuor
leggero e, al contrario, in sede di critica cinematografica è meglio evitare.
Ma a cui il beneficio del dubbio si può concedere anche perché l’ideologia
rivoluzionaria, di cui nel film vediamo i primi frutti applicati in pratica,
aveva quegli stessi sistemi dogmatici che criticava nella società tradizionale.
Un problema che, negli anni, si è perfino radicalizzato.
Il film presenta una moltitudine di segmenti, di varia natura ma, grosso modo,
tesi a contestare le nuove abitudini della generazione rivoluzionaria. Oltre
all’accento su cui, scaltramente, si insiste per i costumi disinibiti,
prevalentemente in ambito femminile, anche gli hippy e il loro sfacciato
opportunismo, in genere taciuto dall’intellighenzia e dall’élite culturale,
finiscono condannati dal severo moralismo della voce fuoricampo. Come
accennato, ci sono degli spunti anche condivisibili ma, nel calderone imbastito
da Sergio e Luciano Martino, è francamente difficile stabilire cosa davvero
meriti. Piuttosto di può notare la spiccata attitudine del regista, che
confermerà nei thriller successivi, alle allucinanti scene di riti satanici di
sette clandestine e affini, in questo abilmente aiutato dalla musica psichedelica
di Peppino De Luca. Verrebbe da dire con passaggi degni di un trip
allucinogeno, ma, visto la ferma condanna del film all’uso degli stupefacenti,
sembrerebbe voler evidenziare una contraddizione di troppo.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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