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giovedì 22 marzo 2018

THE DESCENT - DISCESA NELLE TENEBRE

119_THE DESCENT - DISCESA NELLE TENEBRE (The Descent). Regno Unito 2005;  Regia di Neil Marshall.

Prima di affrontare il tema più interessante rintracciabile in The Descent, cominciamo col dire che si tratta di un ottimo film horror, di quelli che fanno davvero paura. Dopo un incipit che introduce il genere della pellicola con gli espedienti classici (la musica, il colpo di scena, gli incubi), si passa ad una prima parte che ha il suo momento topico nell’escursione nelle grotte e che sfrutta a dovere l’ambientazione buia e claustrofobica. Ma queste non sono che le pur già inquietanti basi su cui si innesta poi il piatto forte dell’opera: una seconda fase a dir poco terrorizzante, con un eccellente utilizzo dell’elemento fantastico a quel punto davvero inaspettato. Peraltro non del tutto dichiarato: cosa sono i mostri che vivono nelle caverne? Esseri umani adattati nel tempo a vivere nell’oscurità? Non è dato a sapere. Sotto questo aspetto, la capacità di gestire la storia e le relative informazioni da comunicare allo spettatore, il regista Neil Marshall si dimostra molto abile. Da parte dell’autore, rinunciare a fornire troppe spiegazioni per la presenza dei mostri è sicuramente un atteggiamento maturo e che aiuta a rendere le creature stesse ancora più inquietanti. Ma la capacità narrativa del regista è notevole in tutto il racconto, con un costante lavoro di composizione di un mosaico che si va a definire dettaglio dopo dettaglio e svela poco a poco i rapporti all’interno del gruppo delle protagoniste. Rapporti che sono meno idilliaci di quanto possa sembrare a prima vista; e questo introduce l’aspetto più interessante dell’opera, di cui si accennava. 

Nel suo primo lungometraggio, Dog Soldiers, il regista inglese Neil Marshall metteva in azione un gruppo di sei uomini; in questo successivo The Descent, forse in ossequio ad una sorta di par-condicio, troviamo invece all’opera sei donne. Ma, se vedere un gruppo di uomini al centro di un film di azione (con fortissimi spunti horror, a onor del vero) è una cosa che passa del tutto inosservata, vedere che le protagoniste sono tutte rappresentanti del gentil sesso, da’ subito l’idea che ci possa essere un significato sottointeso, con buona pace delle femministe. Al cinema, infatti, non capita tutti i giorni di vedere sei ragazze che si danno all’avventura; forse per giustificare la situazione apparentemente insolita, lo stesso Marshall ci da’ come riferimento Lara Croft, che è una tipica eroina di questi tempi. Perché è vero che quello che capita sempre più spesso recentemente è che ci sia un personaggio di sesso femminile al centro della scena, anche nei film di azione (la citata protagonista di Tomb Raider, o quella dei Resident Evil oppure Catwoman, ma gli esempi si sprecano); ma raramente si è visto un gruppo di donne in un simile contesto. Insomma, forse il regista vuole spingere un po’ più in là il discorso: il ruolo femminile nella società in questi ultimi anni è divenuto sempre più rilevante e i film che vertono sulla figura di un eroina certificano anche sul piano cinematografico questa ascesa.

E questo discorso vale sicuramente per le imprese individuali, dove è l’eroe, o meglio l’eroina, che domina la scena, visto che ormai è quasi abitudine vedere le ragazze in questi ruoli. Vale la però pena ricordare che, parallelamente a questa evoluzione, si è diffusa anche una sorta di teoria, (o forse addirittura ne è precedente), secondo la quale, se le donne avessero più spazio in ambito sociopolitico, ci sarebbero meno guerre e conflitti. Ma, la capacità di fare squadra, di lavorare in equipe, fondamentale prima molecola della attitudine a gestire gli interessi di tutti gli esponenti della società, trova davvero posto in modo così naturale nelle corde del sesso femminile? 

O almeno, c’è una sostanziale differenza in meglio, rispetto alle capacità maschili? (posto che il sesso di appartenenza abbia una qualche influenza nel merito). Guardando il film di Marshall verrebbe di rispondere di no, anzi. Le sei ragazze che partecipano alla spedizione speleologa in The Descent non saranno mai una squadra, non avranno una leader realmente riconosciuta e, in alternativa, non avranno nemmeno un affiatamento di tipo democratico o comunque collettivo. In effetti, una figura che si erge sopra le altre c’è, per carisma ed intraprendenza, ed è Juno (una tostissima Natalie Mendoza); ma il gruppo non è affatto coeso quanto, piuttosto, frammentato in una serie di coppie e nello stesso tempo in due terzetti


Il primo dei quali, composto da Juno, Sarah (Shauna Macdonald) e Beth (Alex Reid), si era recato l’anno precedente a fare rafting in Scozia; sulla strada del ritorno un drammatico incidente aveva coinvolto il marito e il figlio di Sarah, morti sul colpo. Quel giorno, Paul, l’uomo in questione, si era recato a prendere la moglie, alla quale non era sfuggita la particolare attenzione che questi aveva prestato all’amica Juno; è forse anche per queste gelosie tra le due ragazze che in seguito all’incidente c’era stato una sorta di allontanamento tra loro? In ogni caso, nel terzetto di veterane di sport estremi si era creato un forte legame tra Beth e Sarah, con Juno più staccata. Ad un anno di distanza dal tragico evento, e forse per aiutare Sarah a superare lo choc, le ragazze decidono di ritrovarsi, stavolta per una escursione sotterranea. 
Il gruppo si allarga e si aggiunge ad esso un nuovo terzetto: sono Rebecca (Saskia Mulder) e Sam (MyAnna Buring) che sono legate tra loro in quanto sorelle, e la più scapestrata di tutte, Holly (Nora-Jane Noone), che sembra avere un feeling molto stretto con Juno. Come si vede l’idea che passa non è certo quella di un gruppo pronto per lavorare in squadra, sebbene si tratti di segnali e differenze appena accennati, e potenzialmente superabili: ma le difficoltà, previste e impreviste, dell’escursione sotterranea porteranno invece all’estremo questi primi avvisi di disaccordo. Se qualcosa di poco limpido, di scorretto, era già presente in origine (Juno era l’amante del marito di Sarah) il tragico incontro nel sottosuolo con una sorta di aggressivi umanoidi non provocherà tra le ragazze una maggior coesione, in un’ottica di difesa contro questi mostri, al contrario. Le tensioni interne al gruppo cresceranno in modo esponenziale con effetti devastanti: Beth è ferita in modo quasi letale da Juno (ma in modo involontario, per la verità), e viene abbandonata al suo destino; poi verrà finita (per compassione) da Sarah; che vendicherà l’amica (e il tradimento col marito, frattanto scoperto) ferendo e abbandonando a morte certa la stessa Juno, colpendola a sangue freddo. Sotto l’attacco dei mostri delle caverne le ragazze reagiscono sparpagliandosi, e, cosa assai peggiore, in definitiva si può dire che il fuoco amico mieta vittime quasi quanto il nemico: Beth e Juno periscono praticamente per mano delle compagne.

Insomma, questo primo esempio di squadra d’azione al femminile non solo naufraga completamente e sotto ogni punto di vista, ma lo fa anche nel peggiore dei modi. Per fortuna Marshall ci risparmia il lieto fine, non prima di avercene mostrato la possibilità. Sarah, ormai rimasta l’unica superstite, si assopisce e sogna di riuscire a salvarsi: ma lei è l’ultima che lo meriterebbe, e infatti si risveglia ancora nell’incubo. Il posto che si merita chi vigliaccamente ferisce a tradimento la rivale e la abbandona deliberatamente alla mercé dei mostri. E dire che un tempo si arrivava anche ad uccidere un nemico pur di risparmiagli un destino atroce: cose da uomini, evidentemente. 



Natalie Mendoza





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