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martedì 6 marzo 2018

LA PALLOTTOLA SENZA NOME

111_LA PALLOTTOLA SENZA NOME (No name on the bullet). Stati Uniti 1959;  Regia di Jack Arnold.

Un cowboy vestito di nero, a cavallo, passa accanto alla macchina da presa, che lo segue con un movimento laterale; poi l’immagine si ferma sul cavaliere che si allontana, lungo il pendio di una collina. Mentre compaiono i primi titoli di testa, l’uomo si allontana sempre più, poi i credits finiscono; a questo punto, con una magistrale dissolvenza incrociata su un carrello in avanti, ci troviamo in una fattoria, con un cane che si muove verso di noi, in contrapposizione con il movimento simulato dalla ripresa che sembrava farci avanzare. L’inquadratura adesso segue però il cane e vediamo che nella fattoria ci sono anche un uomo che ingrassa un carro e una donna che dà da mangiare alle galline; il cane abbaiando attraversa tutta l’aia e si ferma: sullo sfondo si vede l’uomo a cavallo. Intanto il fattore compie alcuni passi incuriosito dal comportamento del cane, la mdp lo segue con un carrello laterale, poi si muove con una panoramica e inquadra la collina sullo sfondo, da cui si vede giungere il cavaliere vestito di nero. Il cane non smette di abbaiare e la musica continua ad insinuare un sensazione inquieta. La precisione formale di questa sequenza, che non concede nulla a particolari virtuosismi ma è perfettamente calibrata, ci consegna già la cifra stilistica di questo western opera di quel Jack Arnold specialista in film di fantascienza. Il regista dimostra sin dalle prime inquadrature di poter gestire al meglio anche un genere come il western, che ha sue regole particolari e peculiari; ma Arnold ha troppo talento, e riesce in modo convincente a rimanere nei canoni di questo tipo di pellicole, pur mantenendo fede alle proprie e tipiche tematiche. 


L’uomo vestito di nero è John Gant (Audie Murphy), un sicario che svolge il suo lavoro con diligenza e attenzione, provocando le vittime in modo da poterle poi uccidere per legittima difesa. La fama lo precede, ed è soprattutto noto per questa sua caratteristica, che lo rende intoccabile dagli sceriffi, non avendo condanne a suo carico. Il suo arrivo nella città di Lordsburg (luogo che ritorna sullo schermo dopo essere stata l’ultima tappa della diligenza del mitico Ombre rosse), getta tutti nel panico. Chiunque nel selvaggio west può potenzialmente avere un nemico disposto ad ingaggiare un sicario per ucciderlo, ma solo chi ha realmente qualche scheletro nell’armadio comincia davvero ad agitarsi. 

Il problema è che a Lordsburg si agitano in tanti, troppi: è evidente che il ruolo di Gant nel film è anche quello di manifestarsi come coscienza cattiva dell’America, tenuta normalmente sopita dalla convenienza, ma che di fronte al pericolo si paventa in modo drammatico. Arnold non è un novizio del western, ma in ogni caso dimostra di saperlo manovrare in  modo personale e atipico: ne La pallottola senza nome il male arriva apparentemente da fuori, ma in realtà è già insito, connaturato nella comunità. E’ una critica pesante all’America, perché sono messe sotto accusa tutte le istituzioni principali che hanno costituito e sorretto il paese: dalle principali, come la legge (il giudice), la politica (il sindaco), il potere economico (il banchiere e l’affarista), a quelle minori, come i cacciatori di fortuna (il gambler o il cercatore d’oro), il ceto medio (il commerciante o il barman); solo lo sceriffo e il dottore con suo padre maniscalco, ci fanno una buona figura. Così la conquista del west non è rischiosa tanto per via dei pericoli dell’ambiente selvaggio, ma perché in un simile scenario si possono eludere ed aggirare le leggi. E il vero pericolo è che un giorno la propria coscienza si possa risvegliare, e allora non servirà nemmeno un angelo vendicatore come Gant, per punire i cattivi: e in effetti, anche ne La pallottola senza nome il sicario non arriva nemmeno a compiere il suo lavoro, visto che sono gli stessi individui poco pulititi che, rosi dalla paura, si autoeliminano. Una martellata del dottor Luke (Charles Drake), un umile e simbolico gesto più da operaio che da persona istruita, (audace il richiamo comunista) metterà comunque fine alla carriera di Gant.
Insomma, il lavoro, il lavoro manuale, può davvero essere l’unica salvezza della comunità. 



Joan Evans




Virginia Grey


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