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mercoledì 14 febbraio 2018

M - IL MOSTRO DI DUSSELDORF

101_M - IL MOSTRO DI DUSSELDORF  (M - Eine Stadt Sucht einen Morder). Germania, 1931;  Regia di Fritz Lang.

Fritz Lang è un regista geniale, nel puro senso del termine: in M- il mostro di Dusseldorf  ne abbiamo un’ulteriore dimostrazione, dopo le tante già esibite dall’autore nella sua carriera, dalla forza visiva di Metropolis all’invenzione del ‘conto alla rovescia’ in Una donna nella luna. Ora il regista austriaco si cimenta per la prima volta con il sonoro, vi trova subito la giusta sintonia e, grazie a questo, aggiunge l’ennesimo colpo che il suo genio regala al suo cinema, un cinema sempre all’avanguardia. L’idea di accompagnare un motivetto fischiettato alle gesta del mostro, un Peter Lorre straordinario nella parte dell’assassino, è sublime, anche perché crea la giusta asincronia tra i drammatici eventi e la musichetta che li accompagna. E, ad onor del vero, questo effetto, adattissimo alle atmosfere paurose, è già presente nell’incipit della pellicola, quando le bambine giocano cantando una tiritera che romanza le imprese del mostro stesso. E questo, come si è accennato, non è altro che l’ennesimo colpo di genio del regista, che apre in modo adeguato la sua carriera con il cinema sonoro. Ci sono altre trovate geniali di Lang, in questa pellicola: il processo finale, ad opera delle organizzazioni criminali ed emarginate congiunte, è un’altra gemma di rara genialità. Forse meno sopraffina ma comunque di grandissimo effetto è la M che viene impressa con uno stratagemma sulla spalla del mostro, un’altra acuta intuizione di forte impatto visivo.
L’aspetto simbolico delle immagini è altresì importante: si va dall’uso di alcune metafore esplicite (il palloncino che rimane impigliato, la palla che rotola via) ai collegamenti visivi (le figure del mostro e della bambina che si alternano nel riflesso di una vetrina, contornate, incorniciate, dai coltelli in esposizione), fino al montaggio alternato tra le riunioni degli inquirenti e delle organizzazioni criminali che finiscono per confondersi.  Lang ci ha ormai abituato a questi spunti, basti pensare all’enormità in questo senso di un’opera come Metropolis ma, sebbene siano facili e comode da trovare in sede di commento ai suoi film, esse non rappresentano certo la cifra stilistica più importante del grandissimo regista austriaco. Lang è principalmente un regista, un uomo, dai nervi saldissimi. 

Questo lo si era già capito, con le coraggiose sue opere precedenti, ma in M - il mostro di Dusseldorf il regista si supera, e affronta a piè fermo un tema di una potenza devastante. Hans Beckert, il mostro di Dusseldorf protagonista del film, è un assassino che uccide bambine. E il fatto che siano tutte bambine, è già più che un sinistro campanello di allarme che il mostro non si limiti ad ucciderle. E, in ogni caso, in una riunione tra gli inquirenti, uno dei personaggi lascia intendere della violenza subita dalle vittime, fermandosi giusto in tempo per motivi di censura. Si parla quindi del crimine più odioso, più aberrante, perché somma la violenza verso ogni tipo di debole, la donna e il bambino, e di atrocità,  quella sessuale e quella definitiva (l’omicidio), in un unico gesto. Ci vuole una bella dose di coraggio, per affrontare questo tema. Certo se ne potrebbe fare un inno alla sete di giustizia, a fronte di un crimine che è un oltraggio all’umanità. Ma Lang ha molto più coraggio e molta più fermezza, e non cerca un facile consenso popolare; egli affronta il tema in modo spietato, lucido, senza alibi o scusanti. Il criminale è mostrato in tutta la sua meschinità ma, nel momento topico, quando i criminali stessi lo accusano, Lang cala l’ennesimo asso, e mostra il lato umano della belva, (e qui deve ringraziare anche Peter Lorre la cui interpretazione è davvero magistrale). Il mostro non è più l’altro, il diverso: il mostro siamo noi, che non possiamo sottrarci e non riconoscerci nelle  disperate parole di Beckert, nell’insostenibile e finale arringa difensiva.
Lucidità, implacabilità: il narrare, il descrivere, il filmare di Fritz Lang ha queste coordinate che inchiodano lo spettatore davanti non solo ad uno spettacolo sublime, ma anche alla propria coscienza.









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