1720_I BANDITI DELLA CITTA' FANTASMA (Bad Men of Tombstone), Stati Uniti 1949. Regia di Kurt Neumann
I Quaranta si avvicinavano al termine ma il Western Romantico, che aveva imperversato in quegli anni, aveva ancora alcune cartucce da sparare, prima di lasciare campo alla Golden Age degli anni 50, vera e propria epica americana. Accettato, in un modo o nell’altro, la propria natura violenta, gli americani si poterono, a quel punto, dedicare a raccontarsi come erano stati in gamba a costruire il proprio Paese, e questo avvenne appunto nei Faboulous Fifties. Ma, come lasciato intendere, non fu esattamente una passeggiata fare i conti con la propria metà oscura: il Western Romantico fu tra i migliori espedienti cinematografici per cercare una qualche soluzione in questo senso. Le principali tematiche di questa corrente cinematografica erano due: quella sentimentale, a cui si deve il nome del sottogenere, e quella criminale. I protagonisti dei western Romantici erano sempre banditi, evidente punto di contato con altri generi coevi quali i Crime-movie o i Noir, con cui questi film condividevano anche l’utilizzo del bianco e nero della pellicola. Certo, un primo motivo di questa scelta era da ricercare nel contenimento dei costi, dal momento che questi generi non disponevano, abitualmente, di grossi budget. Comunque è un dato di fatto che la prime pellicole a colori furono a disposizione prima degli anni Quaranta e il western, nei successivi anni Cinquanta, farà di questa soluzione, potendo così sfruttare pienamente la policromia degli spettacolari scenari, uno dei suoi punto di forza. Ma, se anche produttori e registi dei Western Romantici rimasero fedeli al bianco e nero per una mera questione economica, certo è che il contrasto insito in questo tipo di fotografia ben esplicitava il bivio in cui si trovavano i personaggi dei film. La violenza, e condurre una vita randagia e solitaria come era tipica dei fuorilegge, o l’amore, dando retta al cuore e fermarsi per metter su famiglia, prima organizzazione sociale tipica della nostra civiltà? I banditi della città fantasma, godibile film di Kurt Neumann, è un western del 1949: ormai, come detto, siamo agli sgoccioli del periodo «romantico», e la questione è quindi chiarissima.
Non ci sono equivoci di sorta: Tom Horn (Barry Sullivan) è un bandito senza troppi scrupoli, la sua bella, Julie (Marjorie Reynolds) lo sa e decide perfino di non denunciarlo. A Julie non importa come si facciano i soldi, e men che meno importa a Tom: l’importante è averne per potersi godere una vita agiata in qualche rispettabile città. Tra l’altro, Tom Horn è un personaggio storico del West, prima esploratore e poi uomo di legge, che ebbe una sorte sfortunata: probabilmente venne accusato, condannato e impiccato ingiustamente. La scelta di utilizzare un nome simile per un protagonista che, ad onor del vero, lascia invece pochi dubbi a suo carico, serve forse ad alimentarne il fascino facendo riferimento ad un personaggio vittima della malagiustizia. Un po’ come dire che il Tom Horn del film non fosse cattivo d’animo ma semplicemente condizionato dalle circostanze e, in questo senso, si può leggere tutta la velocissima parte in cui il protagonista arriva a Gold City. Nel tempo record di un canonico incipit, una manciata scarsa di minuti, Tom giunge in paese, cerca da dormire, bere, mangiare, gioca a poker, perde 200 dollari, il cavallo, tenta una rapina, viene scoperto e finisce in prigione. Non troppo avveduto, insomma, del resto è un avventuriero, il tipico protagonista dei Western Romantici. Qui la sceneggiatura di Philip Yordan e Arthur Strawn è sottile: quando si siede al tavolo da poker, Tom comincia giocando solo un dollaro, a testimonianza di un’indole prudente; sarà solo il barare del gambler a portarlo alla perdita di una somma che non possiede e, di lì in poi, sulla cattiva strada. C’è anche, per dovere di cronaca, un altro passaggio che, forse, si iscrive in questo senso: prima di derubare la banca, Tom chiede un prestito al cassiere, per quanto potrebbe anche essere stata tutta una strategia nell’ottica della rapina. Senza garanzie da offrire, ottiene risposta negativa e, a quel punto, prova a forzare la mano finendo per rovinarsi.
In ogni caso la storia non manca di altri riferimenti di matrice politico-sociale, per così dire: ad esempio, è in prigione che il protagonista conosce Morgan (il grande Broderick Crawford), capo della banda di fuorilegge a cui Tom si unisce. Quasi a dire che la detenzione non sia una possibilità di redenzione quanto, piuttosto, quella per il definitivo passaggio sulla sponda sbagliata. La vera critica sociale arriva però quasi nel finale: il colpo con cui i banditi vogliono chiudere la propria attività è un affare enorme e viene proposto loro da una coppia di loschi ma distinti uomini d’affari che si oppone alla nuova Legge che prevede la lottizzazione del territorio dell’ovest. Questi rispettabili imprenditori detengono la stragrande maggioranza del bestiame della nazione e, se i terreni venissero recintati, non potrebbero più spostarlo a piacimento, vedendo andare in fumo tutto il loro business. La loro richiesta è semplice e, a suo modo, emblematica del razionalismo yankee che fu alla base della conquista del west: ai banditi viene chiesto di eliminare fisicamente le persone più in vista tra i potenziali acquirenti dei territori da lottizzare, in modo da scoraggiare il fenomeno. Né Tom, né tantomeno Morgan, hanno alcunché da obiettare: uccidere è un modo come un altro per far soldi, quindi, una volta trovato l’accordo economico, l’affare si può concludere. L’unica speranza di redenzione per l’eroe, se vogliamo chiamarlo così, non è quindi nella sua moralità, di cui è sostanzialmente privo, ma nell’amore. Julie, infatti, seppure in principio non sia differente dal suo uomo, col passare della storia si lascia sedurre da una prospettiva più quieta, un modo di vivere più consono alle persone civili. Al ballo, prima del giorno decisivo, lei e Tom conoscono un’altra giovane coppia con tre figli che, a differenza loro, non intende andare a vivere a San Francisco per spassarsela. Il loro obiettivo è, appunto, uno degli appezzamenti in attesa di essere assegnato; tra l’altro, il fatto che il «lavoro» propostogli dagli affaristi ostacoli i piani di brava gente con cui ha appena fatto amicizia, non pone nessuno scrupolo a Tom. Sarà invece l’esplicita pretesa di Julie a far cambiare idea all’uomo che, non per questo, tuttavia, intende lasciar perdere la sua parte di bottino dell’attività criminale della banda, cha aspetta ancora di essere divisa. Lo scontro con Morgan lo vede prevalere grazie alla sua astuzia nei duelli con la pistola: è quindi questa la chiave del sogno americano? In realtà, Neumann, europeo e solido cineasta di genere, non perde l’occasione per inframmettere grate, sbarre e steccate tra i suoi protagonisti, Tom e Julie, e lo schermo: non ci sono i presupposti per avere speranze, sembra volerci dire. Il pistolotto posticcio finale serve solo ad indorare la pillola e convincere produttori e uffici censori della moralità d’intenti della pellicola. Ma ciò che rende I banditi della città fantasma un film illuminante, è che espone quali furono i principi fondanti del nascente Paese: zero scrupoli, determinazione e scaltra intelligenza. Verità troppo brutale? Ci penseranno i film dell’imminente Golden Age del western, i classici degli anni 50, a renderla digeribile.
Marjorie Reynolds
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