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mercoledì 15 ottobre 2025

PASSAGGIO A NORD-OVEST

1745_PASSAGGIO A NORD-OVEST (Northwest Passage), Stati Uniti 1940. Regia di King Vidor

L’obiettivo della missione era compiuto, ora non restava che riportare a casa la pelle, cosa tutt’altro che semplice considerata l’ostilità del territorio e del nemico. Langdon Towne (Robert Young) è ferito gravemente e fatica a camminare e il suo amico Hunk (Walter Brennan) chiede al comandante dei Rangers, l’intrepido Maggiore Robert Roger (un debordante energia Spencer Tracy) se può unirsi al suo gruppo per assisterlo. La risposta di Roger è, come suo solito, tranciante: “Gli sarai più utile tenendo a bada i francesi che cercando di badare a Towne quando è in gradi di bastare a sé stesso”. “Avete ragione, Maggiore”, ammette Hunk, e si incammina con il suo reparto; poi, però, si ferma e replica piccato “Ma non vorrei mai essere un uomo che non sbaglia mai come voi”. Roger non dà neanche il tempo al suo sottoposto di finire: “Non sono un uomo adesso ma un soldato a comando di uomini”. Hunk è zittito (e gli spettatori con lui). La musica si addolcisce, King Vidor cambia prospettiva lasciando il piano americano che includeva i due personaggi e riprende il solo Spencer Tracy in primo piano, che smorza il tono delle sue parole: “Se mi incontrerai quando non sarò quell’uomo forse ti farò compassione”. Hunk apprezza le parole e si scusa e il maggiore riprende subito il tono marziale: l’intermezzo umanitario è già finito. In questo breve ma significativo passaggio non c’è solo il senso di Passaggio a Nord-Ovest ma dell’intera civiltà occidentale, quella che Marshall McLuhan definiva alfabetizzata. Secondo il geniale studioso canadese l’estrema razionalizzazione del linguaggio introdotta dalla stampa a caratteri mobili inventata da Gutemberg, aveva contagiato l’intera nostra società, diventandone la caratteristica principale in ogni ambito. Passaggio a Nord-Ovest ne è una conferma e il suo protagonista, il maggiore Rogers, la perfetta incarnazione. Rogers non ha dubbi, non vacilla, tira dritto sulla sua strada, sia se c’è da trucidare un’intera tribù di Abenaki, sia se c’è da abbandonare un ferito al suo destino perché la missione viene prima di tutto. 

Non è un uomo, il maggiore Rogers, è una macchina: una macchina di morte. Il film doveva essere la prima parte della trasposizione del romanzo omonimo di Kenneth Roberts ma la seconda parte, con la ricerca della via verso l’estremo oriente, il «passaggio a Nord-Ovest» a cui fa riferimento il titolo, non verrà mai realizzata. Probabilmente le difficoltà incontrate nel realizzare il film di Vidor, ad esempio la catena umana in mezzo ad un fiume in piena o il trasporto delle barche sulla collina, sconsigliarono la MGM, lo studio di Produzione, di insistere ulteriormente. Francamente, nonostante il racconto filmico sia indiscutibilmente avvincente, non si avverte un rimpianto per ulteriori imprese di Rogers e compagni. Oltre due ore di fatica, resistenza e, aimè, violenza inaudita e purtroppo gratuita, senza alcuna concessione a qualsivoglia sentimento, possono bastare. Certo, ogni tanto, nel film, l’amicizia fa capolino, ad esempio nella citata scena, dove viene appunto frustrata dall’ordine di Rogers di attenersi agli ordini. Non si tratta, beninteso, di disciplina astratta o sterile che spesso vige nelle formazioni militari; i Rangers di Rogers sembrano piuttosto un corpo paramilitare totalmente proteso al raggiungimento dell’obiettivo, senza concedere concessioni a niente e nessuno. Il codice morale è sì contemplato, ma solo per quel che concerne la fedeltà al proprio compito: non si applica, invece, se diviene un ostacolo ad esso, ad esempio se si deve abbandonare un ferito al suo destino. Né tantomeno lo si tiene in considerazione per indagare la natura della missione: in quel caso vige la Legge del Taglione del Vecchio Testamento, per cui gli Abenaki hanno sterminato e dovranno venire sterminati senza se e senza ma. Il film, infatti, racconta romanzandolo, il Raid di St. Francis, un episodio storico della Guerra Franco Indiana, sponda americana della Guerra dei Sette Anni tra Francia e Inghilterra. Più genericamente, questi fatti fanno parte di quelle che vengono spesse indicate come Guerre di Frontiera e che infiammarono il Nord-Est americano nel corso del XVIII secolo. È un fatto certo che il grado di crudeltà in quegli scontri era fuori da ogni forma di controllo, ma Passaggio a Nord-Ovest è comunque un film del 1940 e lascia sgomenti più che perplessi che non vi sia alcuna nota critica di fronte alle atrocità commesse dagli stessi protagonisti del racconto. Ad esempio, si fa fatica ad accettare che i Ranger attacchino nel sonno il forte nemico e che Rogers in persona spari con un cannone contro l’alloggio degli ufficiali francesi a pochi passi, polverizzandoli mentre stavano ancora dormendo. Intanto gli Abenaki, rei secondo Rogers e il film di immani crudeltà inflitte ai coloni inglesi, vengono massacrati senza alcuno scrupolo. 

Come detto, ogni tanto, qualcuno si rammenta, nello specifico Langdon, di appartenere al genere umano e allora un indiano troppo giovane viene risparmiato dalla furia dei Rangers, che fa riduce in cenere tanto il forte francese che l’accampamento indiano. Langdon è una pallida figura che, forse, avrebbe dovuto risaltare per contrasto al cospetto di una simile masnada di barbari: al contrario dei Rangers è istruito ed è anche pittore, e ha quindi l’animo artistico. Tuttavia mai lo vedremo all’opera, e i suoi schizzi sono infine mostrati, ad un certo punto, quasi come giustificazione al fatto che il giovane sia effettivamente un artista. E dire che Langtown, in principio, dichiara a più riprese di voler dipingere gli indiani; un’idea che fa trapelare un approccio per nulla pregiudiziale nei confronti dei nativi ma, semmai, un tentativo di comprenderli. Questo aspetto, che sembra positivo nell’impostazione della storia, viene poi clamorosamente smentito dallo sviluppo del racconto che, a questo punto, sembra dirci che persino un artista, una volta che si trova a tu per tu con gli Indiani, sia costretto a trattarli col fucile anziché col pennello. È un film brutto, quindi, Passaggio a Nord-Ovest? Forse brutto no, perché King Vidor conosce il mestiere e la Produzione MGM ha profuso una tale quantità di mezzi che la storia, estenuante quanto una maratona, ha un impatto scenico per niente trascurabile. Ma certo è un film deludente. Non è questione dei massacri mostrati, della violenza esibita, perché il punto non è essere o meno politicamente corretto. Tuttavia un racconto di matrice storica non può esimersi dall’avere un quadro morale, perché la Storia non può essere una legittimazione per l’omicidio o la barbarie. In nessun modo il comportamento dei Ranger è accettabile e sarebbe bastata una minima forma di obiezione, da parte di uno dei personaggi, per cambiare completamente la prospettiva del racconto. In Passaggio a Nord-Ovest, resta il dubbio che il personaggio chiave possa essere il tenente Crofton (Addison Richards) che si porta via da Fort St. Francis la testa mozzata di un guerriero abenaki con cui sfamarsi. Circostanza che sembra orribile sotto ogni aspetto e, quindi, dove sarebbe il dubbio? Il dubbio riguarda la natura della follia di Crofton: è un’aberrazione della ferrea determinazione di Rogers o, forse, una sua semplice enfatizzazione? 



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