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venerdì 21 febbraio 2025

L'OMBRA DI STALIN

1626_L'OMBRA DI STALIN (Mr Jones). Polonia, Ucraina, Regno Unito 2019. Regia di Agnieszka Holland

Il tema principale di L’ombra di Stalin, film storico di Agnieszka Holland, è, fuor di ogni dubbio, la carestia che imperversò in Ucraina dal 1932 al 1933. Sulle cause dell’Holomodor, questo il nome con cui è conosciuta questa tragedia, ci sono ancora alcune divergenze d’opinioni ma su alcuni punti sembra ci sia poco da disquisire. Sia che fu pianificata strategicamente dal Cremlino, sia che fu un effetto collaterale di alcune manovre politiche volute da Stalin, le responsabilità rimangono, oltretutto perché si cercò di negare la tragedia anziché provare a porvi rimedio. E, a proposito delle politiche staliniane, non si può tacere che ebbero un impatto devastante sul tessuto sociale ucraino. In Ucraina, il Primo Piano Quinquennale prevedeva la trasformazione forzata della società da agricola ad industriale, con la collettivizzazione, l’esproprio delle proprietà private dei contadini, e la dekulakizzazione, la deportazione, quando non l’eliminazione fisica, dei kulaki, i piccoli agricoltori proprietari terrieri. Nel film della Holland, tutto questo non c’è in forma esplicita, del resto, al tempo in cui è ambientata la vicenda, ovvero proprio in quel 1933, l’Unione Sovietica manteneva il segreto sulla carestia grazie anche alla complicità di alcuni occidentali, come Walter Duranty (Peter Sarsgaard), giornalista Premio Pulizer e corrispondente da Mosca per il New York Times. Il protagonista di L’ombra di Stalin è, però, un altro giornalista, Gareth Jones (James Norton) che dubita qualcosa sulla credibilità della propaganda sovietica –e abbiamo visto poc’anzi cosa– e si reca, in modo alquanto pirotecnico, in Russia prima e in Ucraina poi, al fine di farsi un’idea di quello che vi sta accadendo. Naturalmente, pensare di andare in Unione Sovietica negli anni Trenta del XX secolo non era esattamente una gita di piacere e, men che meno, era concepibile essere il benvenuto –mettiamola così– se l’intenzione era ficcare il naso proprio dove si stava consumando una tragedia che il Cremlino voleva tenere nascosta. Questo, grosso modo, il canovaccio di L’ombra di Stalin su cui Andrea Chalupa, alla sceneggiatura, e la Holland in regia, imbastiscono una storia forse volutamente fumosa e confusa. Del resto, all’epoca, le conoscenze sulla reale condizione geopolitica, non solo dell’Unione Sovietica ma in generale, erano piuttosto approssimative, come testimonia, anche all’interno della storia del film stesso, la clamorosa sottovalutazione che nel Regno Unito fecero su Hitler e sul Nazismo. Jones, il protagonista, prima di recarsi in Unione Sovietica, aveva intervistato il Fuhrer insieme a Goebbels e si era invece reso conto del pericolo che incombeva sull’Europa e sul mondo intero. 

La classe politica inglese aveva però ignorato anche questo allarme, come farà, in seguito, con la testimonianza del giornalista a proposito della carestia in Ucraina. I temi sono importanti, soprattutto se pensiamo che, nel 2019, Mosca e Kyiv si trovano di nuovo ai ferri corti, con il Cremlino che alimenta le spinte secessioniste dell’area orientale dell’Ucraina. È probabile che sia stata proprio la crisi russo-ucraina ad ispirare la Holland, nella scelta del soggetto del suo film; tuttavia, l’autrice, per quanto il suo lungometraggio sia sicuramente un lavoro nel complesso apprezzabile, non regge pienamente le aspettative che lei stessa si pone. L’ombra di Stalin è certamente un buon film ma, da un simile argomento, ci si aspetta un capolavoro o quantomeno qualcosa di più lirico, epico. Tra l’altro, la Holland, coglie la coincidenza del nome del protagonista Jones per creare un collegamento con il romanzo di George Orwell, La fattoria degli animali. In effetti, il titolo originale del film è Mr. Jones, ovvero, non solo il Garret protagonista ma anche il personaggio umano del romanzo di Orwell a cui gli animali della fattoria si ribellano. È noto che La fattoria degli animali sia una metafora della Rivoluzione Russa e del potere staliniano ma, nel film, questi aspetti aggiungono poco a quanto risaputo e nemmeno aiutano in qualche modo L’ombra di Stalin a elevarsi da una certa prevedibilità che si fa strada man mano che la vicenda si snoda. A conti fatti, la sottotrama con Orwell finisce per ingolfare ulteriormente un’opera che si snoda e sviluppa nella scia dei moderni biopic ma non incide mai realmente. Alcuni colpi di regia, come il colore che si smorza nel bianco e nero naturale delle lande innevate della campagna ucraina, o la buffa corsa in bicicletta nel finale, sono dettagli a cui manca qualcosa di più sostanziale. Peccato: il tema era quanto mai attuale ma, per interpretarlo a dovere, occorreva più coraggio. La crudeltà di Stalin, l’ingannevolezza della Rivoluzione Russa o la miopia della classe dirigente inglese, non sono elementi confutabili. Ma nemmeno illuminanti. 






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