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martedì 20 ottobre 2020

QUEL MALEDETTO PONTE SULL'ELBA

653_QUEL MALEDETTO PONTE SULL'ELBA (No importa morir). Spagna, Italia, 1969. Regia di Leòn Klimovsky. 

Tipico B-movie bellico di produzione europea (italo spagnola) che avrebbe tutti i presupposti per passare inosservato per via dei tanti evidenti limiti, Quel maledetto ponte sull’Elba è, a suo modo, un piccolo gioiello. D’accordo, bisogna trascurare le inesattezze storiche, le semplificazioni narrative, le incertezze nella direzione o nelle interpretazioni degli attori, e perfino sui dialoghi. E già che ci siamo, sorvolare anche su qualche soluzione un po’ estrosa nella sceneggiatura (basti citare le due prostitute polacche praticamente arruolate nel commando americano). Ma è un film di guerra di serie b e alcune di queste debolezze, magari non tutte insieme, d’accordo, si trovano anche nelle produzioni mainstream. Quello che sorprende, in Quel maledetto ponte sull’Elba è l’insistita coerenza narrativa nel mostrare l’insensatezza della guerra, che si concretizza in una concatenazione di eventi contrari alla comune logica dei racconti bellici, riuscendo a mantenere il testo tutto sommato godibile ed avvincente. Siamo agli sgoccioli della Seconda Guerra Mondiale, i tedeschi non mollano ma è chiaro a tutti, a parte ai loro fanatici ufficiali, che la partita è ormai chiusa. Un gruppo di nazisti presidia un ponte sull’Elba, per fermare, o più realisticamente rallentare, la rapida avanzata sovietica. Avanzata che preoccupa anche gli americani: di questo passo i russi si prenderebbero tutta quanta la Germania o quasi. Viene così inviato un manipolo di paracadutisti per far saltare il ponte e fermare l’armata rossa

Si tratta quindi di una motivazione di strategia politica più che di guerra vera e propria: in fondo sovietici e americani sono alleati e l’attacco yankee ad un ponte tedesco già destinato a cadere in mano ai russi, è volto solo ad ostacolare proprio quest’ultimi. Non è una questione di principio o di fair play tra compagni di squadra: i russi arriverebbero al ponte sull’Elba con tutto il loro fronte e avrebbero facile vittoria sui tedeschi; il commando americano verrà invece lanciato oltre le linee nemiche e, visto l’esiguo numero, va incontro a matematiche quanto superflue perdite. Al di là dei vari risvolti strategici delle manovre in questione, che il film evita di approfondire, quello che agli autori sembra interessare è mostrare, come spesso avvenne, che la convenienza nella scelta delle operazioni militari seguisse più gli interessi politici che non quelli strettamente connessi ad un tentativo di vincere la guerra col minor costo di vite umane possibile. 

C’è quindi una prima situazione discutibile in termini militari per come siamo abituati ad intenderli: il sergente Richards (Tab Hunter) è spedito con cinque uomini in una missione praticamente suicida, a guerra già quasi vinta, solo per ritardare l’avanzata degli alleati. Operazione pericolosissima ma sostanzialmente inutile ai fini della vittoria: prima operazione autolesionista. Dopo il lancio e aver liberato due prostitute polacche, Erika (Erika Wallner) e Christina (Rosanna Yanni), da alcuni tedeschi in modo non del tutto indolore, i nostri si acquattano per evitare di essere visti da una pattuglia nemica. Improvvisamente Hinds (Howard Ross) ha un attacco epilettico e, per zittirlo, Rod (Angel del Pozo) lo soffoca, uccidendolo. Prima vittima del commando, uccisa a mani nude da un compagno. Punto decisamente a sfavore per l’operazione. Superato lo choc, i nostri si scontrano con un’altra pattuglia, in un cimitero: qui sotto i colpi tedeschi cadono Rod e Christina. Il loro sacrificio non è però vano: i superstiti del nostro gruppo si impadroniscono del camion dei nemici, a bordo del quale salgono dopo aver indossato divise naziste, sperando di recuperare il tempo perduto potendo procedere allo scoperto.  

L’arrivo di una caccia americano li coglie proprio in un tratto di terreno all’aperto, li costringe a disperdersi oltre a far saltare il mezzo e ad eliminare direttamente Doyle (Indio Gonzalex). Attaccati e colpiti dal fuoco amico: dopo il passaggio precedente, siamo tornati in pieno autolesionismo. E’ notte: arrivati finalmente al ponte, due dei tre superstiti si prodigano per minarlo. Il giovane Johnny (Claude Triumph) è con Erika sulla riva, pronto col comando di innesco. I tedeschi sono ignari, si aspettano i russi, che stanno effettivamente per arrivare, ma dall’altra sponda. Intanto discutono tra loro: c’è l’ufficiale fanatico, il sergente comprensivo, il soldato dubbioso. Poi arrivano i ricognitori americani, che vogliono sapere se il ponte è stato fatto saltare: i bengala lanciati dagli aerei illuminano l’Elba quasi giorno, con il risultato che i nazisti scoprono l’attacco del commando. Per i due incursori è dura: Richards riesce a tornare a riva ma Sides resta sotto i colpi nemici; per di più la miccia si è scollegata e l’esplosivo non si innesca. 

Al che, Johnny prova a risollevare le sorti ma finisce anche lui trucidato. Per eccesso di zelo, mettiamola così, altri due morti e provvisorio fallimento dell’operazione: insomma, piovono autogol per gli yankee. Provvisorio perché Erika, la prostituta polacca sopravvissuta, si lancia decisa prendendo sul tempo l’ultimo americano rimasto in campo, il sergente Richards (non proprio un eroe memorabile, nella circostanza, nonostante il physique du rôle). La ragazza attraversa il fiume a nuoto, scansa le pallottole mentre si arrampica sui piloni del ponte e risistema il contatto. Non c’è tempo per la cavalleria, Richards preme il comando d’innesco e ciao ciao ponte sull’Elba. 

Naturalmente anche Erika viene spazzata via dal tremendo botto, ma non prima di aver marcato il punto della bandiera, per altro decisivo, per gli americani. I russi osservano il ponte crollato e a quel punto fermano la loro avanzata. Il bilancio è quanto mai bizzarro: dei sei uomini del commando, quattro sono morti per diretta responsabilità degli stessi americani. Solo uno è ucciso dai tedeschi in modo, diciamo così, lineare. Inoltre, nel film abbiamo assistito pure all’esecuzione da parte dei tedeschi di tre dei loro soldati per tradimento. Ma, tornando alla sponda americana, anche considerando le due prostitute, che in effetti hanno combattuto come validi soldati, volendo vedere, se Christina è morta sotto i mitra tedeschi, Erika è saltata con l’esplosivo americano. E, sempre a questo proposito, che il successo dell’operazione a stelle strisce sia arrivato così, significativamente messo a segno da una prostituta diplomata (con tanto di tessera) forse potrebbe voler dire che la guerra è soltanto questione di interessi economici. Il che è vero, ma questo non insudici la memoria della povera Erika di questa storia (come gli altri caduti in guerra, perfino quelle finte del cinema) perché non se lo merita davvero. 






Erika Wallner



Rosanna Yanni



2 commenti:

  1. coraggioso a suo modo, nel fornire una descrizione così sconsiderata degli americani...

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  2. Beh, è un film europeo del periodo della contestazione, gli americani non godevano di grande fama in quel contesto...

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