1619_NUDO E CRUDELE . Italia 1984. Regia di Bitto Albertini
Direttore della fotografia di lungo corso, Bitto Albertini era poi
approdato alla regia –per quanto avesse fatto quasi di tutto, all’interno del
processo produttivo di un film– con risultati, per la verità, non certo
indimenticabili. Quasi in chiusura della propria carriera di cineasta,
Albertini pescò un jolly che, oltre che del tutto inaspettato al tempo, è,
ancor oggi, quasi inspiegabile. Il fenomeno Mondo movie era esploso con Mondo
cane negli anni Sessanta, si era poi affievolito col tempo fino a quasi
sparire a metà del decennio successivo quando, del tutto inaspettatamente, aveva
rialzato prepotentemente la testa con Ultime grida dalla savana. Si sta
analizzando, più che altro, il riscontro generale, sia in termine di incassi,
che di eco mediatica o influenza sul genere: tuttavia fa specie che, la terza e
ultima vampata improvvisa arrivi con Nudo e crudele, anno 1985, regia di
Bitto Albertini, appunto. Non che i citati precedenti siano capolavori della
Settima Arte –o meglio, a suo mondo Mondo cane lo è– però il livello qualitativo
di Nudo e crudele, al confronto, è davvero deprimente. Eppure ci fu
qualcosa, in quel 1985, che trascinò flotte di ragazzini a vedere questo «documentario» in cui un
uomo veniva mangiato dagli alligatori, scena peraltro ripresa da Le facce
della morte [Faces of death, regia di John Alan Schwartz, 1978]. O come, analogamente al ladro a cui veniva
amputata la mano, uno stupratore veniva punito, in Arabia, o ancora, l’esibizione
degli «uomini proboscide», bizzarri individui
africani la cui caratteristica principale non era legata al naso lunghissimo ma
a qualcosa che stuzzicava maggiormente gli adolescenti del tempo. Vedendo oggi
il film, si potrebbe pensare che Albertini sia stato anche «onesto»: il suo lungometraggio
è smaccatamente una ricostruzione in troppi passaggi, e sembra quasi
incredibile che il pubblico ci possa essere cascato. Tuttavia, se Nudo e
crudele fosse stato preso per quello che è, una discreta collezione di
bufale, difficilmente avrebbe avuto quel riscontro: gli spettatori accorsero e,
per la maggior parte, c’è da credere che fossero ingenuamente convinti di
andare a vedere un documentario. Chi scrive può dare la sua piccola
testimonianza, essendo lui stesso stato spettatore partecipe e testimone del
clamore che Nudo e crudele ebbe tra i giovanissimi dell’epoca. In
effetti, stupisce che un film che, tutto sommato, aveva ancora qualche spunto
valido come Dimensione violenza [regia di Mario Morra, 1983] abbia avuto un impatto
minore; pur essendo prodotto l’anno precedente, anche quello di Morra uscì in quella
stessa estate dell’84, approfittando degli spazi lasciati dai blockbuster che,
ad agosto, non venivano certo sprecati con le città deserte per via delle
vacanze. Il segreto del successo di Nudo e crudele è forse in uno degli
aspetti che, a vederlo oggi, lascia maggiormente perplessi: il commento letto
da Romano Malaspina e scritto da Vincenzo Mannino, è di per sé ironico ma ci
sono molti passaggi spudoratamente comici, di quella comicità grossolana e
becera della commedia italiana del tempo. Tra tutte, si erge forse la scena del
fuoristrada che attraversa i confini tra gli emirati arabi, talmente ridicola da
far perdere qualsiasi pretesa di credibilità al testo; ma non è certo l’unica
di quel tenore, forse solo la più insulsa. Per altro, poco diverse sono le
scazzottate con il rumore dei pugni che ricorda i film di Bud Spencer e Terence
Hill o il segmento dei giochi di guerra che si conclude in modo tragicomico; questo
umorismo di bassa lega contamina anche le scene naturaliste, si vedano le
avances del rinoceronte alla giraffa. La vicenda di padre Lagrange, che finisce
nei piatti dei suoi fedeli che, evidentemente, non si erano del tutto redenti
dalla pratica cannibale, oltre all’ironia palese, affronta anche il tema
antropofago, uno dei topoi dei Mondo movie. Argomento che ormai aveva
avuto la sua consacrazione con la nascita dei Cannibal movie, ma su cui
Albertini insiste inserendo anche la scena del cuore mangiato durante un rito indigeno,
oggettivamente tra i punti più bassi del film dal punto di vista della
confezione formale. L’impressione, insomma, è quella di un fumettone
autocompiaciuto che interpreta, probabilmente meglio del coevo citato Dimensione
violenza, la superficialità e la «leggerezza» degli anni Ottanta. Si trattò
di un’alchimia fortunata e irripetibile, frutto più di situazioni
circostanziali che di intuizioni autoriali; perché l’ironia c’era già alla
base, all’origine dei Mondo movie, al tempo gestita sagacemente da Jacopetti,
mentre per altri il dosaggio del tema leggero fu una difficoltà di non semplice
soluzione. E così, negli anni Settanta, si era preferito stemperare la matrice
umoristica, privilegiando il lato violento, perché se la si metteva sul
ridicolo si rischiava di perdere anche gli ultimi barlumi di credibilità. Nel
decennio successivo, Nudo e crudele si giocò, probabilmente, l’ultima
carta; il tal senso e va dato atto ad Albertini di averla sfruttata a dovere.
Innanzitutto già il titolo lavora nell’ottica scelta dal regista, cioè di non
rivelare la vera natura farsesca dell’opera. Nudo e crudele è composto
da due sostantivi, in ossequio, almeno in apparenza, ai due filoni del genere
Mondo, quello sexy e quello violento; ad indicare quest’ultima tendenza è la
seconda parola, decisamente «cattiva», ma anche la prima, che dovrebbe
richiamare il versante «sexy» è quantomeno ambigua. «Nudo», infatti, abbinato a
«crudele» rievoca, anche solo foneticamente, un terzo termine, «crudo» che
potrebbe essere la crasi dei due e spesso è utilizzato per enfatizzare il primo
nella formula «nudo e crudo», e che ci riporta in un «clima» violento più che
sexy. In sostanza, pur senza essere esplicito come Dimensione violenza,
anche Nudo e crudele lascia intendere che, ad attenderci, ci sia un
testo duro e pesante. In coerenza con questa sorta di inganno, anche il film ha
un approccio serio: le iniziali scene dei parti, per quanto esenti da violenza,
sono molto esplicite mentre il primo segmento palesemente artificiale, quello
del bambino abbandonato, sembra quasi introdurre un film dai nobili intenti.
Questa vena socialmente impegnata è confermata dal successivo passaggio, quello
dei ragazzini storpiati volutamente dai genitori per poter essere poi più «persuasivi»
nell’atto di chiedere l’elemosina; ciliegina sulla torta, la partita di calcio
dei menomati, è un passaggio quasi commovente. Ma, in seguito, Nudo e
crudele comincia a concentrarsi con troppa insistenza sulla questione
organi genitali, da quelli degli animali, al cambio di sesso di un omosessuale
con tanto di operazione chirurgica, fino ad arrivare al «culto del fallo» in Giappone, scivolando via via, nel
suo affrontare l’argomento, nel pecoreccio sempre più manifesto. Oggi, guardando
Nudo e crudele, le possibilità di non rimanere infastiditi dalle
fandonie che ci propina sono davvero poche ma, come detto, al tempo, per
qualche sortilegio dovuto forse anche alla disattenzione, che era lo stato in
cui versava un’intera generazione, il film riuscì in qualche modo a funzionare.
E, almeno di questo, gli va dato atto.
Al fenomeno dei Mondo Movie, Quando la Città Dorme ha dedicato il secondo volume di studi attraverso il cinema: MONDO MOVIE, AUTOPSIA DI UN GENERE, AUTOPSIA DI PAESE
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