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venerdì 7 febbraio 2025

NUDO E CRUDELE

1619_NUDO E CRUDELE . Italia 1984. Regia di Bitto Albertini 

Direttore della fotografia di lungo corso, Bitto Albertini era poi approdato alla regia –per quanto avesse fatto quasi di tutto, all’interno del processo produttivo di un film– con risultati, per la verità, non certo indimenticabili. Quasi in chiusura della propria carriera di cineasta, Albertini pescò un jolly che, oltre che del tutto inaspettato al tempo, è, ancor oggi, quasi inspiegabile. Il fenomeno Mondo movie era esploso con Mondo cane negli anni Sessanta, si era poi affievolito col tempo fino a quasi sparire a metà del decennio successivo quando, del tutto inaspettatamente, aveva rialzato prepotentemente la testa con Ultime grida dalla savana. Si sta analizzando, più che altro, il riscontro generale, sia in termine di incassi, che di eco mediatica o influenza sul genere: tuttavia fa specie che, la terza e ultima vampata improvvisa arrivi con Nudo e crudele, anno 1985, regia di Bitto Albertini, appunto. Non che i citati precedenti siano capolavori della Settima Arte –o meglio, a suo mondo Mondo cane lo è– però il livello qualitativo di Nudo e crudele, al confronto, è davvero deprimente. Eppure ci fu qualcosa, in quel 1985, che trascinò flotte di ragazzini a vedere questo «documentario» in cui un uomo veniva mangiato dagli alligatori, scena peraltro ripresa da Le facce della morte [Faces of death, regia di John Alan Schwartz, 1978]. O come, analogamente al ladro a cui veniva amputata la mano, uno stupratore veniva punito, in Arabia, o ancora, l’esibizione degli «uomini proboscide», bizzarri individui africani la cui caratteristica principale non era legata al naso lunghissimo ma a qualcosa che stuzzicava maggiormente gli adolescenti del tempo. Vedendo oggi il film, si potrebbe pensare che Albertini sia stato anche «onesto»: il suo lungometraggio è smaccatamente una ricostruzione in troppi passaggi, e sembra quasi incredibile che il pubblico ci possa essere cascato. Tuttavia, se Nudo e crudele fosse stato preso per quello che è, una discreta collezione di bufale, difficilmente avrebbe avuto quel riscontro: gli spettatori accorsero e, per la maggior parte, c’è da credere che fossero ingenuamente convinti di andare a vedere un documentario. Chi scrive può dare la sua piccola testimonianza, essendo lui stesso stato spettatore partecipe e testimone del clamore che Nudo e crudele ebbe tra i giovanissimi dell’epoca. In effetti, stupisce che un film che, tutto sommato, aveva ancora qualche spunto valido come Dimensione violenza [regia di Mario Morra, 1983] abbia avuto un impatto minore; pur essendo prodotto l’anno precedente, anche quello di Morra uscì in quella stessa estate dell’84, approfittando degli spazi lasciati dai blockbuster che, ad agosto, non venivano certo sprecati con le città deserte per via delle vacanze. Il segreto del successo di Nudo e crudele è forse in uno degli aspetti che, a vederlo oggi, lascia maggiormente perplessi: il commento letto da Romano Malaspina e scritto da Vincenzo Mannino, è di per sé ironico ma ci sono molti passaggi spudoratamente comici, di quella comicità grossolana e becera della commedia italiana del tempo. Tra tutte, si erge forse la scena del fuoristrada che attraversa i confini tra gli emirati arabi, talmente ridicola da far perdere qualsiasi pretesa di credibilità al testo; ma non è certo l’unica di quel tenore, forse solo la più insulsa. Per altro, poco diverse sono le scazzottate con il rumore dei pugni che ricorda i film di Bud Spencer e Terence Hill o il segmento dei giochi di guerra che si conclude in modo tragicomico; questo umorismo di bassa lega contamina anche le scene naturaliste, si vedano le avances del rinoceronte alla giraffa. La vicenda di padre Lagrange, che finisce nei piatti dei suoi fedeli che, evidentemente, non si erano del tutto redenti dalla pratica cannibale, oltre all’ironia palese, affronta anche il tema antropofago, uno dei topoi dei Mondo movie. Argomento che ormai aveva avuto la sua consacrazione con la nascita dei Cannibal movie, ma su cui Albertini insiste inserendo anche la scena del cuore mangiato durante un rito indigeno, oggettivamente tra i punti più bassi del film dal punto di vista della confezione formale. L’impressione, insomma, è quella di un fumettone autocompiaciuto che interpreta, probabilmente meglio del coevo citato Dimensione violenza, la superficialità e la «leggerezza» degli anni Ottanta. Si trattò di un’alchimia fortunata e irripetibile, frutto più di situazioni circostanziali che di intuizioni autoriali; perché l’ironia c’era già alla base, all’origine dei Mondo movie, al tempo gestita sagacemente da Jacopetti, mentre per altri il dosaggio del tema leggero fu una difficoltà di non semplice soluzione. E così, negli anni Settanta, si era preferito stemperare la matrice umoristica, privilegiando il lato violento, perché se la si metteva sul ridicolo si rischiava di perdere anche gli ultimi barlumi di credibilità. Nel decennio successivo, Nudo e crudele si giocò, probabilmente, l’ultima carta; il tal senso e va dato atto ad Albertini di averla sfruttata a dovere. Innanzitutto già il titolo lavora nell’ottica scelta dal regista, cioè di non rivelare la vera natura farsesca dell’opera. Nudo e crudele è composto da due sostantivi, in ossequio, almeno in apparenza, ai due filoni del genere Mondo, quello sexy e quello violento; ad indicare quest’ultima tendenza è la seconda parola, decisamente «cattiva», ma anche la prima, che dovrebbe richiamare il versante «sexy» è quantomeno ambigua. «Nudo», infatti, abbinato a «crudele» rievoca, anche solo foneticamente, un terzo termine, «crudo» che potrebbe essere la crasi dei due e spesso è utilizzato per enfatizzare il primo nella formula «nudo e crudo», e che ci riporta in un «clima» violento più che sexy. In sostanza, pur senza essere esplicito come Dimensione violenza, anche Nudo e crudele lascia intendere che, ad attenderci, ci sia un testo duro e pesante. In coerenza con questa sorta di inganno, anche il film ha un approccio serio: le iniziali scene dei parti, per quanto esenti da violenza, sono molto esplicite mentre il primo segmento palesemente artificiale, quello del bambino abbandonato, sembra quasi introdurre un film dai nobili intenti. Questa vena socialmente impegnata è confermata dal successivo passaggio, quello dei ragazzini storpiati volutamente dai genitori per poter essere poi più «persuasivi» nell’atto di chiedere l’elemosina; ciliegina sulla torta, la partita di calcio dei menomati, è un passaggio quasi commovente. Ma, in seguito, Nudo e crudele comincia a concentrarsi con troppa insistenza sulla questione organi genitali, da quelli degli animali, al cambio di sesso di un omosessuale con tanto di operazione chirurgica, fino ad arrivare al «culto del fallo» in Giappone, scivolando via via, nel suo affrontare l’argomento, nel pecoreccio sempre più manifesto. Oggi, guardando Nudo e crudele, le possibilità di non rimanere infastiditi dalle fandonie che ci propina sono davvero poche ma, come detto, al tempo, per qualche sortilegio dovuto forse anche alla disattenzione, che era lo stato in cui versava un’intera generazione, il film riuscì in qualche modo a funzionare. E, almeno di questo, gli va dato atto.  




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