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mercoledì 19 febbraio 2025

MONDO CANE 2

1625_MONDO CANE 2 . Italia 1963. Regia di Gualtiero Jacopetti, Franco Prosperi

Le citate premesse al film sono accertate. Jacopetti non fece mai mistero di aver realizzato Mondo cane n.2 unicamente per soddisfare la Cineriz. In ogni caso, specifica conferma si trova nella sua risposta alla domanda, se fosse il denaro la cosa a cui cedette nell’accettare l’incarico: “Onestamente sì. Al denaro. Ma non mi sento l’autore di quel film. Per me era una speculazione. Fu messo il mio nome per ragioni commerciali e non potei dire di no a Rizzoli (Angelo, NdA); il mio sembrava un capriccio. Sono situazioni delicate ed è difficile spiegarle”. [Jacopetti files, pagina 336]. Prosperi, abitualmente più riservato, chiarì la questione nella citata intervista tratta dal medesimo, preziosissimo volume: “É vero, invece, che per Mondo cane n.2 ci furono dei richiami di invenzione e di ricostruzione, che facemmo noi perché la casa di produzione voleva seguitare anche a guadagnare andando dietro al successo di Mondo cane imponendoci così il numero 2”. _ «Quindi ha vissuto Mondo cane n.2 come un’imposizione», riflette l’intervistatore.  “No. Proprio no, l’accettammo nel senso che a noi la parte economica ci faceva comodo e molto”.
_ «Si però Jacopetti poi l’ha disconosciuto dal punto di vista, come dire, del suo marchio di fabbrica». “Eh eh, però l’ha girato” [
Jacopetti Files, pagina 321]. Per completezza, è interessante considerare anche la testimonianza di Mario Morra, autore del montaggio di Mondo cane n.2. Alla domanda se effettivamente Jacopetti si adoperò solo professionalmente per soddisfare le richieste della Cineriz, Morra rispose così: “Tutto ciò risponde al vero. Lui non l’ha mai riconosciuto, ma in effetti ci hanno lavorato lui e Franco Prosperi. Poiché non partiva da una sua idea, non l’aveva vissuto come gli altri film. Pertanto, non l’ha mai amato molto”. [Conversazione con Mario Morra, Jacopetti Files, pagina 254].
Insomma, i presupposti, non sembrano tra i migliori. Ricapitolando: il secondo film, La donna nel mondo, non riesce a convincere come l’esordio, uno dei tre autori, decide di abbandonare, la produzione pretende la messa in cantiere di un secondo Mondo Cane cercando di ottimizzare il materiale ancora a disposizione. Eppure, Mondo cane n.2, nonostante non possa in nessun modo reggere il paragone con il capostipite, non manca di motivi di interesse.

Iniziando sin dall’incipit, che riprende e in pratica ripete il precedente, con una carrellata sui cani in cattività che sembra un omaggio a Georges Franju: un rimando evidente sin da subito, nel cinema di Jacopetti e compagni, appunto sin dall’apertura di Mondo cane, con la scena che ricorda il finale del cortometraggio Mon Chien [1955, Mon Chien, regia di Georges Franju] o il passaggio conclusivo del capolavoro Occhi senza volto [1960, Les yeux sans visage, regia di Georges Franju]. In effetti, anche l’autore francese, maestro del realismo fantastico, aveva avuto un avvio di carriera choc, con lo splendido e terribile cortometraggio documentario Le Sang des bêtes [1949, Le Sang des bêtes, regia di Georges Franju], che, almeno in patria, fece un certo scalpore, seppur non ai livelli planetari di Mondo cane. Jacopetti e Prosperi si servono della scena coi cani destinati alla vivisezione per polemizzare ironicamente con la censura britannica: segno, per altro, che qualche problema, i loro film, li avevano avuti, con le istituzioni censorie. La struttura del documentario, o pseudo-documentario secondo alcuni, è simile al precedente, ormai gli stilemi dei Mondo movie si erano affermati. Quello che cambia, in Mondo cane n.2, rispetto al precedente, è che gli autori devono ingegnarsi maggiormente, dal momento che i «tranci» migliori e più interessanti erano già stati utilizzati nei primi due lungometraggi. Da questo punto di vista, nonostante il «meccanismo» narrativo di Jacopetti sia ormai noto, questo numero 2 sembra addirittura sorprendente. Approfittando del pregevole lavoro del critico Giuseppe Previtali, si può infatti cogliere la raffinata costruzione dei primi venti minuti di Mondo cane n.2. Come detto, il film inizia con la scena dei cani, che ricorda la precedente ma si differenzia per via delle corde vocali degli animali tranciate dagli addetti alla vivisezione. E già ci sarebbe da riflettere di come, pur mettendo a tacere le vittime, la portata delle immagini sia potenziata: si passa, infatti, da un canile ad un laboratorio che ha tutta l’aria di essere un luogo meno salutare per gli sfortunati animali. Ma quello che interessa ora è la catena di successioni: il secondo segmento è, quindi, dedicato ad una curiosa mostra canina. Dal pelo dei cani, colorato nelle sfilate in accordanza con gli abiti delle indossatrici, si passa a quello umano, inteso come capelli. Dai capelli alla fabbricazione delle parrucche, prima in provincia di Aversa e poi negli Stati Uniti, dove ne scopriamo differenti utilizzi. Le donne lavoratrici la usano per sfoggiare acconciature perfette, ma ne fanno ricorso anche alcuni uomini, i cosiddetti travestiti, nei locali notturni; il tema dei maschi en-travesti –ormai un cliché dei Mondo movie– si ripete con i poliziotti della «Buon Costume» che cercano di cogliere in fallo i molestatori seriali. Gli agenti fungono da ideale ponte per trasferirsi in Messico, dove, dal poligono di tiro in cui alcuni di loro rischiano di morire ad ogni esercitazione, si può saltare direttamente alla Festa dei Morti. Il segmento con la celebrazione del 2 novembre messicana è uno dei più macabri del film, seppure in tono scherzoso, nel tipico stile jacopettiano. Si passa dal cranio coperto di zucchero e ripieno di crema chantilly in luogo della materia celebrare, ai cadaveri dello zio Giuda, fantocci di marzapane a grandezza naturale. La cosa più impressionante è che il torace e l’addome di queste dolci raffigurazioni sono completamente aperti, quasi fossimo di fronte ad un’autopsia, e i ragazzini vengono serviti con le zuccherose interiora del celebre traditore. In sede di studio dei generi del cinema estremo italiano, si cercano spesso i collegamenti tra i Mondo movie e i successivi Cannibal movie, e questo della Festa dei Morti in Mondo cane n.2 ne può far parte a buon diritto. Sempre ripercorrendo il tracciato ricostruito con abilità e competenza da Previtali, chiudiamo questa analisi del breve estratto iniziale del film, con l’abitudine dei messicani di mangiare tortillas guarnite da cimici vive, e il successivo focalizzarsi sull’uso degli insetti nelle locali gioiellerie. [Giuseppe Previtali. Costruire il reale. Primi rilievi per una ricontestualizzazione critica dei mondo movies italiani. Arabeschi, n. 8. Luglio Dicembre 2016].
In base anche a questo parziale esempio, si può azzardare ad ipotizzare un lavoro maggiore da parte degli autori in sede di raccordo ed intreccio dei vari segmenti filmati, quasi a sopperire una loro minore efficacia intrinseca. Inoltre, un’altra idea che sorge vedendo Mondo cane n.2, suffragata anche dalle dichiarazioni di Prosperi citate in precedenza, è che la componente artefatta sia sensibilmente maggiore e più esplicita rispetto al capostipite. Tuttavia ci sono alcuni passaggi che sembrano credibili e particolarmente drammatici: ad esempio, l’inquinamento del lago Magadi da parte di un’azienda di soda inglese, che ha messo a rischio la sopravvivenza dei fenicotteri. O il mercato degli schiavi sulle coste del Mar Rosso, oppure, e questo forse è anche più toccante, gli innocenti bambini che osservano rapiti ed eccitati il combattimento tra uccelli o pesci, con gusto palesemente sadico. Questo segmento è forse il più emblematico dell’intera produzione dei Mondo movie e, probabilmente, anche dei successivi Cannibal movie: bambini, ancora non del tutto condizionati dagli effetti dell’educazione di questa o quella cultura, rivelano senza alcun pudore la loro innata passione per la violenza più immotivata. Un momento di verità, curiosamente in uno dei testi meno accreditati in tal senso, come raramente se ne vedono al cinema. Anche al di là di questo aspetto, questi ultimi momenti sono, se non reali, quantomeno credibili, ma le evidenti mistificazioni sono sparse un po’ per tutto il documentario e diversificate, con quella che sembra tutta l’intenzione di lasciarle intuire dallo spettatore. Ad esempio, nessuno può convincersi che il segmento dei set per le fotografie per le copertine delle riviste Pulp sia in qualche modo spacciabile per vero, per un’autentica location per la realizzazione di questi lavori. Le zoomate invadenti, il montaggio che esalta i particolari e la carrellata finale, sanciscono inequivocabilmente che si tratti di un pezzo di cinema ricostruito. Se, in questo caso, la finzione è mostrata in bella vista, in altri è celata, ma in modo davvero troppo facile da smascherare: basta, infatti, un semplice controllo su un Atlante Geografico, per scoprire che Baturi, il paese della Sagra delle Teste Dure, non esiste. Il segmento in questione è stato invece girato a Villalago, in Abruzzo ma, forse, il passaggio fasullo più eclatante è quello del monaco buddista che si dà fuoco. Stando al sito IMDb  <
https://www.imdb.com/title/tt0058365/trivia/?ref_=tt_trv_trv visitato l’ultima volta il 27 maggio 2024> la ricostruzione è realistica grazie agli effetti speciali di Carlo Rambaldi, ma la cosa desta sicuramente qualche perplessità. Ad esempio, e anche per dovere di cronaca, va infatti citato il passaggio in cui Antonio Bruschini e Antonio Testori descrivono la scena in Nudi e Crudeli, i Mondo movies italiani, agile volumetto del 2013 e quindi relativamente recente. “(…) vengono mostrate le violente persecuzioni contro i buddisti di Saigon, seguita da quella che è l’immagine più agghiacciante del film: il primo caso di morte umana in diretta filmata in un Mondo movie. Si tratta del suicidio di un monaco buddista, che si dà pubblicamente fuoco per protestare contro le persecuzioni governative. Si sono avanzati dubbi sull’autenticità della sequenza, riferendosi comunque ad un fatto realmente accaduto e ripreso da alcuni cineasti locali che poi passarono il negativo a Jacopetti e alla sua troupe, la quale girò dei riempitivi perché la scena si svolgeva troppo rapidamente. La sequenza, analizzata attentamente, rivelerebbe qualche dettaglio che potrebbe svelare la non veridicità della stessa. L’impatto è comunque davvero notevole, e ancora di più deve esserlo stato al tempo”. [Antonio Bruschini e Antonio Testori. Nudi e Crudeli, i Mondo movies italiani; Bloodbuster, Milano. 2013]. Bruschini e Testori sembrano quasi possibilisti, circa l’attendibilità del pezzo cruciale di Mondo cane n.2, ma in realtà, di dubbi sembrano essercene pochi. Perché l’episodio in questione –il monaco buddista Thích Quảng Đức che si diede fuoco pubblicamente per protestare contro il totalitarismo di Ngô Đình Diệm, dittatore cattolico in carica nel Vietnam del Sud– non è un evento misconosciuto ma è, anzi, assai noto per essere stato ripreso unicamente dalla fotografia di Malcone Browne. Il giornalista americano vinse un Premio Pulitzer e un World Press Photo of the Year per l’immagine dell’autoimmolazione del monaco, e, quindi, suona quasi uno sberleffo, da parte di Jacopetti e Prosperi, saltar fuori con un’inedita ripresa video della scena. Ma, e qui occorre dare ragione agli autori, se ci fermassimo a disquisire sulla veridicità delle immagini –per altro perfettamente plausibili se confrontate con la citata fotografia accettata come documento reale– a fronte della tragedia trattata dal segmento narrativo, sarebbe, a suo modo, curioso. Va detto, ad onor del vero, che la questione della Rivolta dei Monaci Buddisti o Crisi Buddista nel Vietnam del Sud, era un argomento particolarmente scomodo, in Italia. Perché il citato dittatore Ngô Đình Diệm, insediatosi con l’appoggio americano, era cattolico, e, questo, a fronte dei comunisti del Vietnam del Nord, era visto con estremo favore dalle ingerenti amministrazioni yankee. Il fratello del presidente, Ngô Đình Nhu e sua moglie, l’influentissima «madame Nhu» –al secolo Trần Lệ Xuân, spesso presentata dal cognato come First Lady nazionale– tramarono contro i buddisti, che erano, per altro, la stragrande maggioranza del paese. Ecco, su questi particolari presupposti, si innesta la provocazione di Jacopetti e Prosperi, abitualmente accusati di fare unicamente del sensazionalismo. Qui, però, pur sapendo di avere l’agguerrita ostilità della sinistra italiana contro, gli autori sembrano offrir loro una sponda. Perché la Rivolta dei Monaci Buddisti era una questione un po’ spinosa, per la classe, al tempo, ancora egemone politicamente: cattolici, custodi della tradizione moderata del paese, e americani, ai quali il paese stesso si raccontava dovesse la libertà, non è che ci stessero facendo una gran figura. Ma si può star tranquilli che, al tempo, la stampa nazionale avrà dato alla Crisi Buddista del Vietnam del Sud il giusto risalto, anche a costo di inimicarsi il Vaticano e gli alleati a stelle e strisce. Del resto, non erano i Mondo movie a strumentalizzare le notizie? 



  


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