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venerdì 3 giugno 2022

KOCISS, L'EROE INDIANO

1027_KOCISS, L'EROE INDIANO (The Battle at Apache Pass). Stati Uniti, 1952; Regia di George Sherman.

Il successo de L’amante indiana (1950, regia di Delmer Daves) e la magnetica interpretazione di Jeff Chandler nel ruolo del capo indiano Cochise, spinse la Universal a mettere in pista una sorta di prequel del film con James Stewart. L’idea fu di incentrare il lungometraggio sulla figura del capo Apache, in italiano divenuto Kociss, e di raccontare gli avvenimenti cruciali che andarono a innescare l’ostilità tra questa bellicosa tribù del sudovest e gli americani. Il che non è affatto una cosa banale o da sottovalutare: gli Apache passarono alla Storia come tra i più irriducibili indiani e con questo lungometraggio si andava ad indagare sull’origine della loro ostilità verso gli americani. E non era una cosa che deponeva contro gli Apache, anzi. Gli episodi in questione – che sono anche il piatto forte del film di George Sherman, questo Kociss l’eroe indiano – sono l’affare Bascom e la battaglia del Passo Apache (a quest’ultimo è anche dedicato il titolo originale dell’opera). Sherman era un solido regista di B-movie e sapeva muoversi molto bene nel western, oltretutto gli anni Cinquanta rappresentavano la Golden Age del genere per cui Kociss l’eroe indiano sembra molto spesso un vero e proprio classico. In realtà, più che nella mano in regia, si avverte qualche carenza da parte degli interpreti e nel canovaccio di finzione da sovrapporre agli eventi storici. Nel cast, a far davvero la differenza c’è forse solo Chandler nei panni di Kociss; bene, peraltro, anche John Lund (è il maggiore Colton), ma con un ruolo poco significativo mentre delude un po’ Jay Silverheels nella parte di Geronimo. 

Questo sebbene Geronimo sia il miglior villain della storia, certamente più intenso dell’anonimo e losco agente indiano Baylor (Bruce Cowling): non tutti gli indiani sono buoni, quindi, ma quelli cattivi sono comunque più interessanti dei corrispettivi bianchi. Tornando al cast, le ragazze se la cavano, sia Susan Cabot (Nono, la donna di Cochise) che Beverly Tyler (la giovane rapita), ma i loro personaggi hanno poco spessore. Tra i caratteristi, Jack Elam (è Mescal Jack) fa il suo, il solito cattivo un po’ fine a sé stesso, ma il bilancio generale del cast è un filo troppo deficitario. Il film, quindi, delude un po’, nel senso che ci si aspetta un filmone, per via dell’importanza storica di fatti e personaggi e per la confezione formale, ma poi ci si ritrova per le mani solo un onesto western. Poco male, perché la ricostruzione della battaglia del Passo Apache è notevole, con gli indiani che fanno conoscenza con l’artiglieria pesante americana; tra l’altro, le fasi degli scontri sono ambientate negli scenari spettacolari dell’Arches National Park nello stato dell’Utah, un’occasione davvero unica. La fotografia calda grazie ai colori intensi del Technicolor (Charles P. Boyle) e la canonica ma efficace musica western (Hans J. Salter) non tradiscono e confezionano al meglio il materiale girato con mestiere da Sherman. Insomma, un B-movie di lusso. Erano i primi anni Cinquanta e, a Hollywood, la figura degli indiani era già talmente affrancata dai falsi luoghi comuni che un film poteva venir dedicato esplicitamente ad un capo dei nativi americani. Certo, non si tratta di un prodotto di primissima fascia ma da qui a dire che gli indiani erano sempre relegati al ruolo di cattivi, come ogni tanto si sente ancora oggi dire in giro, ce ne corre. Perché, già a quei tempi, il cinema di Hollywood dava talmente per scontato che gli indiani avessero sostanzialmente ragione che la cosa era ritenuta un solido cliché narrativo.  




Susan Cabot







Beverly Tyler





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