1032_IL TRADITORE (The Informer). Stati Uniti, 1935; Regia di John Ford.
Il cinema è una forma d’arte quasi alchemica, frutto di un lavoro collettivo e spesso dipendente da una serie di fattori apparentemente ininfluenti. Certo, al prodotto finale, il film, si attribuisce una specifica paternità: la regia, che però indica appunto come l’autore principale guidi un’intera troupe verso l’obiettivo e quindi anche questa definizione non ne nega la natura collettiva. Ma non è tanto questo il punto interessante a proposito de Il traditore, quanto il fatto che l’eccellente risultato non sembrava affatto nelle aspettative e si può faticare a capire da cosa derivi. Con questo film John Ford vinse il suo primo oscar come miglior regista e il film ebbe un successo clamoroso di pubblico e critica, oltre a mettere in bacheca un totale di ben quattro statuette dell’Academy. Eppure, come detto, il film non nacque sotto questi grandi auspici. Costato pochissimo (243.000 dollari), girato in soli 17 giorni negli scalcinati teatri di posa “al di là della strada”, per usare le parole dello stesso Ford, basato su un libro (The informer di Liam O’Flaherty) che J. A. Place (autore di I film di John Ford, 1983, Gramese Editore) definisce realistico ma ben poco interessante, il film fu portato avanti senza il concreto appoggio della Produzione della RKO che avrebbe preferito che il regista dirigesse uno dei suoi classici western. Eppure Il traditore fu un successo. Una cartina tornasole che spieghi come, al cinema, il risultato possa ribaltare completamente le apparenti aspettative, può essere la prestazione di Victor McLaglen nel ruolo che gli valse l’Oscar in qualità di attore protagonista.
Quello di Gypo Nolan, il personaggio principale de Il traditore, fu l’apice artistico di McLaglen nonché, probabilmente, il punto di svolta della carriera. E non propriamente in senso positivo. Per ottenere il passaggio cruciale di una performance di tale portata, pare che Ford colse il buon Victor in uno stato poco presente: in pratica nella scena clou Gypo doveva essere completamente ubriaco e il regista approfittò che il corpulento attore si trovasse quasi nello stesso stato del personaggio per girare il processo che caratterizza il finale del lungometraggio. Non molto lusinghiero, per il McLaglen interprete. Del resto Ford ammise candidamente, nel libro intervista Il cinema secondo John Ford (1991, Pratiche Editrice) che non fornì alcun copione all’attore ma lo invitò ad improvvisare. McLaglen non era mai stato un attore poi così raffinato, è vero, eppure fino ad allora era stato in grado di reggere il ruolo di protagonista in diverse circostanze, alcune neppure semplici. Era stato la star de La pattuglia sperduta (1934) dello stesso Ford come anche ne La guardia nera (1929), dove aveva a che fare con una giovane ma già affascinante Myrna Loy. E che dire della sua interpretazione in Disonorata (1931) di Josef von Sternberg, dove riusciva addirittura a reggere lo schermo con Marlene Dietrich? Insomma, McLaglen non era John Wayne ma fino ad allora aveva spesso interpretato il ruolo del protagonista di peso della storia.
Ecco, forse con Il traditore, il film che corona giustamente la carriera dell’interprete con il meritato Oscar, Ford si rese definitivamente conto che McLaglen era un attore di cabotaggio minore e cominciò a confinarlo nella parte del sergente burbero, bonaccione e un po’ tonto, ruolo che rimarrà poi appiccicato addosso al povero Victor per sempre. Secondo questa interpretazione, Ford prende quindi un attore un po’ rozzo e non particolarmente dotato e ne sfrutta mirabilmente i limiti tecnici per cavarci una prestazione strepitosa; la stessa cosa che il regista farà con il soggetto e, in fondo, con tutto quanto il progetto cinematografico Il traditore nel suo complesso. Ad esempio, Ford approfitta della libertà concessagli dalla produzione, che lo confina nei teatri di posa praticamente dismessi dello studio, per impostare a proprio piacimento l’atmosfera della pellicola. Ne Il traditore si respira la stessa aria dei film espressionisti tedeschi, grazie ad un bianco e nero cupissimo opera del bravo Joseph H. August. La forza evocativa della fotografia è supportata dallo stile simbolico della composizione delle immagini: il vento che spinge l’avviso di taglia di Frankie (Wallace Ford) sulla gamba di Gypo o il testimone cieco sono due esempi lampanti in tal senso. La recitazione enfatizzata di McLaglen è forse unica ma anche gli altri interpreti si attengono ad un registro di stampo teatrale: del resto, con il primo dialogo che arriva dopo una decina di minuti, Il traditore sul momento può benissimo essere scambiato per un film muto.
Kate (Margot Grahame), ad esempio, mantiene per tutta la durata del film una doppia veste, la povera fidanzata preoccupata e la provocante prostituta, e le basta abbassare il velo sulle spalle cambiando atteggiamento per rendere esplicita la trasformazione. Il lavoro in sottrazione di Ford, stilizzato ed efficace, va ad esplorare gli aspetti umani e personali del soggetto, tralasciando il lato politico della vicenda. La rivolta irlandese contro l’occupazione inglese è lasciata infatti sullo sfondo: i funzionari dell’Impero Britannico sono descritti senza alcuna indulgenza dal regista ma, in fondo, nemmeno troppa simpatia è riservata ai capoccia tra gli attivisti irlandesi. Dan Gallagher (Preston Foster) ha tutto quello che serve per essere un buon personaggio, è un leader, è giovane, coraggioso, giusto e certamente preferibile ai suoi scagnozzi, ma non va oltre ad un gradimento di routine.
Occupa il ruolo dell’eroe di turno, ma Ford non gli concede nessuno spazio per guadagnarsi un minimo di simpatia, anzi, avrà sostanzialmente l’ingrato incarico di condannare Gypo. Dal canto suo Gypo è un vero babbeo: si lascia sedurre dall’idea di incassare la taglia sull’amico Frankie per portare in America Kate salvo poi farsi abbindolare da Terry (J. M. Kerrigan), spregevole opportunista, che gli fa sperperare il denaro in bevute colossali. Non è che sia di indole cattiva o infida, Gypo, ma certamente è uomo senza valori davvero saldi: in poco tempo tradisce due volte ma in seguito farà anche peggio, almeno da un punto di vista morale. Il primo tradimento, quello più evidente a cui si riferisce il titolo italiano del film, è ovviamente quello ai danni di Frankie; ma può essere considerato tale anche lo scialacquare in alcol i soldi della taglia anziché destinarli, come preventivato, a riscattare la condizione sociale della ragazza amata. Come tutti i tradimenti, si tratta innanzitutto di un tradimento verso sé stessi: condannare l’amico Frankie per evitare a Kate di prostituirsi era la giustificazione che Gypo aveva accettato tra sé e sé per decidere di recarsi alla polizia inglese. Una volta ricevuto il denaro, questi scrupoli morali erano stati traditi in vista dell’opportunità di poter recitare il ruolo di re del quartiere che offriva da bere a tutti. Ma, come detto, Gypo avrebbe avuto modo di fare anche di peggio.
Al processo, ormai praticamente smascherato, pur di salvare la propria reputazione non esita ad inventarsi di sana pianta l’accusa nei confronti di Mulligan (Donald Meek) di essere l’informatore degli inglesi. La paura di essere condannato a morte dagli ex compagni e lo stato di ubriachezza sono deboli attenuanti, ma più che gli alibi di un uomo senza forza morale sono gli alibi dell’uomo comune. Del non-eroe – e qui forse McLaglen come status di attore viene in un certo senso retrocesso – perché il tema del tradimento ci riguarda molto da vicino, assai di più rispetto alle gesta degli eroi. L’uomo è debole e le circostanze della vita, più che la sua eventuale indole, possono indurlo a tradire più volte. In quest’ottica il tema del tradimento è visto in senso lasco: Gypo tradisce l’amico Frankie, tradisce l’organizzazione, tradisce Kate, tradisce la sua onorabilità infamando un innocente, tradisce la verità mentendo a ripetizione.
Le sue continue cadute sono indice dell’estrema debolezza dell’uomo. Ma quando decide di pagare il suo debito, ammettendo la sua colpa e cercando la madre di Frankie per chiederle perdono, allora Gypo diviene quasi immortale. Avanzando incurante dei colpi di arma da fuoco in corpo, finalmente cade ai piedi del crocefisso: è divenuto una figura cristologica, salvifica. Facendosi carico di tutte le malefatte della comunità, pagando poi la giusta punizione, simbolicamente riesce in quello che era il suo intento primario, quello di essere fonte di salvezza. Voleva salvare Kate dalla miseria, con la sua espiazione ha finito per divenire il simbolo della salvezza della comunità. Nel 1935 l’America, però, aveva ancora bisogno di eroi, per celebrare la propria grandezza, e un profilo così moderno come si era rivelato poter essere McLaglen, con le sue debolezze morali a pareggiare la forza del suo fisico, non sarebbe stato adeguato. Per questo, guardando il pur simpatico sergente Quincannon dei successivi western di Ford, che diverrà il cliché del buon Victor, un filo di rimpianto affiorerà sempre.
Margor Grahame
Heather Angel
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